Canto dei bambini perduti
di Gianmario Lucini è una nenia d’amore infinita in cui i lettori/spettatori partecipano a un prolungato raggio di vita e
di morte in tutte le dinamiche
sociali e intellettuali che il poeta sa, con ebbrezza elastica ed
empatica, evidenziare nei molteplici drammi umani: la disperazione e lo
scandalo del
sopruso, il silenzio del dolore impietoso della perdita, lo sgomento
cosmico di fronte alla torturata coscienza etica sempre in crisi e in
bilico rispetto
al nichilismo del sistema. Lucini mette in scena il rimosso, le
condizioni estreme, le ombre adornate del lutto che prendono voce,
musica, movenze e
silenzi: i personaggi acquisiscono volti, nomi, sembianze che,
l’esperienza visionaria di Giacomo Cuttone, sgola e tocca, incarnando e
attestando, sia i
personaggi concettuali che quelli emozionali. I bambini perduti
ritornano in tutto il loro simbolismo sovrabbondando in modo quasi
esilarante;
corpi che in qualche modo hanno bisogno di gridare e invocare, mettere
in ansia, sussurrare, ma, soprattutto, ricordare la bellezza della loro
semplicità ( Una terribile bellezza è nata – William Butler
Yeats), la loro fiducia estrema con cui sono stati immediati e presenti
in questo mondo. Ci sono
appartenuti così, terribilmente intensi e luminosi, senza
interferenze o filtri. Adesso, in questa sceneggiatura teatrale, ossuta e
a volte gonfia di
tormento, terribilmente grigia (G. Cuttone disegna in bianco e nero)
l’autore ci pone di fronte a mille domande, a mille cantilene. Siamo
riallacciati alla
traccia, alla parte che viene lesa, negata: capirne i meccanismi
perversi, le sostanze intime, la malattia sociale originaria, il perché
della formazione
familiare marcia, far riemergere la struttura primaria, risalire al
detto, al non detto, al ridetto, ricostruire la parte, rimettere in
scena i dialoghi,
le paure, le forme postume. Gli equilibri sono precari, i miracoli
non avvengono, le preghiere assumono forme laiche, emorragiche,
diventano
denunce/rinunce. Il mondo non è più apparenza, ma forza
autoriflessiva, visibilità, scoperta della luminosità e del buio su cui
si muove l’impresa
dell’incorporeo nel corporeo. È un dono fertile: la poesia si veste
di umanità, vuole superare la spoliazione della tragicità nel suo
profondo, in modo
estremo e autentico, riemergendo dalla stessa eco, dalla stessa vita,
dal sorriso compiuto di un bambino, dall’armonia che la sua bellezza ci
insegna. (rita pacilio)
Poesia del cuore minuscolo Ho un cuore minuscolo e mondi
sbozzati appena e mani
di cielo e sogni
ancora antelucani;
non mi vedesti, mai, trasfigurare
impercettibile segno e luce
mai, nel pudore di Dio
che nel sorriso dell'alba mi avvolgeva?
Io sono l'arancia selvatica
che splende sul ramo più alto
e tu non la vedi.
Sono un piccolo nome che si affaccia
al solstizio dell'estate ed eco
dell'Eden perduto.
Dove sono i tuoi occhi?
Dove sta la tua bocca?
In quella profonda voragine
fruga l’avidità delle tue mani?
stacco musicale di qualche secondo
Sono l’arancia più rossa
che brilla nel sole del tramonto
quel raggio di sole sul ramo più alto
e tu, occhio morto e respiro di pietra,
neppure la vedi...
voce in calando negli ultimi due versi, la musica aumenta e prosegue per circa un minuto
[...]
Recitativo secondo
(Schermo spento. Senza musica)
La domanda non sarà: “chi ha fatto questo?” ma, piuttosto, “perché tutto questo accade?”
Questa è la domanda, perché ognuno di noi, anche chi vi parla, in qualche modo è correo di un male. La società non si divide in buoni e cattivi: questa visione è manichea, cattiva letteratura, deformazione percettiva causata dalla paura di un contagio morale, di una insanità mentale che ci fa dire ad alta voce “il bene siamo noi, il male sono gli altri!”.
Tutti, in diversa misura,
siamo infatti buoni, cattivi,
distratti, insensibili, diffidenti
dell’innocenza, del suo candore,
della sua forza aurorale.
Ci è aliena la sua Poesia, o forse
è terrore soltanto, il nostro,
di ritrovare l’essere autentico
che potevamo essere e non siamo.
stacco musicale di qualche secondo, poi la musica cessa di nuovo
Perché tutto questo accade? questa è la domanda.
E, prima ancora, che cosa significano per noi queste vite
che scompaiono nel nulla senza lasciare traccia alcuna,
soltanto un nome, un’eco, la grazia
Schermo:sbiadita di un’immagine, un sorriso?
Scorrono titoli di giornali attinenti il tema della scomparsa di bambini
Che cos’hanno da dire queste vite alle nostre
vite di anni colme e di oggetti,
di stanchi sentimenti e corrispondenze,
a noi che crediamo di essere pienamente
ed esse che lo sono e non lo sanno?
Intervento musicale di qualche secondo e poi la musica prosegue
Li vediamo ogni giorno, i bambini. Li scrutiamo dall’alto di un giudizio. Li diciamo imperfezione che si evolve, piccoli esseri tesi al futuro, desiderosi di futuro, di elevarsi alla pienezza del futuro, aiutati da noi, verso la perfetta felice adultità di uomini e donne, madre e padri, operai e operaie, sfruttatori e sfruttati,
piccoli esseri che avranno sulle spalle la cura del mondo e che si preparano, imparando quello che si deve imparare
o a “fare la cosa giusta” come si dice nei film americani.Li consideriamo casseforti da riempire di norme, visioni della vita, idee, ideali, valori, conoscenza, rispetto per l’autorità più o meno legalmente costituita, anche se frivola, immorale, corrotta, persino sanguinaria... Imperfezione che tende a perfezione
- e la perfezione saremmo noi,
con la nostra saggezza fatta in casa, il buonsenso dei nostri schemi pelosi, rodati e validati da secoli di esistenze clonate, guidati da pensieri clonati che crediamo nostri, dalla nostra gaia scienza artigianale della vita, costruita su pochi frantumi di esperienza.
stacco musicale di qualche secondo
Non ci sovviene neppure per un attimo che essi potrebbero invece insegnarci molte verità, che essi sono un simbolo, sono la metafora di ogni cosa bella e perfetta che nasce perfetta dalla natura
stacco musicale di qualche secondo e poi senza musica
E quando essi se ne vanno
è come se accadesse un vuoto,
una bolla di nulla dentro la coscienza,
un lutto che non sappiamo elaborare:
fingiamo di capire ma non sappiamo interpretare.
Riprende la musica, da sola per qualche secondo e prosegue
Ed essi non sono più con noi perché si sono fidati noi, fidando che sono al mondo per essere protetti, che il mondo è meraviglioso e una grande avventura. È così che se ne vanno.
Sappiamo che essi sopportano ogni orrore senza mai perdere la speranza, e questo consola la nostra ipocrisia.
Sappiamo che non tentano di immaginare l’ignoto, il nulla, perché il nulla, per loro, è semplicemente ciò che ancora non conoscono, che non hanno ancora esplorato, ciò a cui devono ancora dare senso con un’avventura, una storia, uno stupore...
Pausa musicale di 1 minuto
* Dello stesso autore, nel catalogo CFR, per la poesia:A futura memoria, Il disgusto, Monologo del dittatore, Ballata avvelenata,Sapienziali, Poemetti del dito, bestiario e altre confessioni,Krisis, Per il bosco
* Per la saggistica: Editore impostore,Ipotesi sulla nascita della poesia, Cattivo maestro libro
http://ellisse.altervista.org/index.php?/archives/686-Gianmario-Lucini-Canto-dei-bambini-perduti,-nota-di-Rita-Pacilio.html
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