Recensione - Rita Pacilio su 'Ombre di vita' di Bruno Brunini - La Vita Felice 2012



L’esperienza poetica di Bruno Brunini riduce in modo energico gli spazi narrativi e la metafora mimetica di cui è ricca molta scrittura post moderna. Ombra di vita è un’opera caratterizzata dalla sovrapposizione dello spazio-tempo in cui le cose passate e quelle presenti sconfinano in una testimonianza ben distinta della realtà quotidiana che è pur sempre in bilico tra la vita e la morte Il tempo che non coincide/con ciò che si pensa/ritornava cancellato. Il percorso tra le sezioni del libro è lineare ed è segnato dal vissuto personale dell’autore fino ad arrivare a cambi di prospettiva in cui la visione soggettiva diventa situazione cosmica Essere aria, un soffio/nel tempo del ritmo cosmico … le ore possono diventare anni. L’attraversamento delle tenebre della morte ci introducono in una lunga notte in cui Brunini accompagna ogni lettore per meglio entrare in dialogo con il tempo e le sue voci passate. La frequentazione dei confini vitali ci mette di fronte alle immagini di luogo e persona attraverso impulsi inconsci che ci affidano alla quiete del mare o alla riva Torneremo ad essere mare. La materialità dell’uomo si consuma nel corpo e nella forma mentale che, nonostante l’avvicinarsi della sua fine, combatte per mantenere saldo il racconto, la dimora, l’identificazione, l’unicità. L’autore, mentre piange lacrime asciutte, sorveglia il lettore e lo rassicura sull’approdo del resto materico, che non va disperso, ma reso al mondo, all’essenza vitale dell’acqua che nutre e si nutre di vita Ti vedo partire/nel fondo del mare/dove non finirai mai di sparire. Questa stessa energia viene collocata in quel mare che ci rende visibili, che ci risorge al mondo, che ci fa emergere da una elegia drammatica e pessimistica, che lenisce e rinnova la cava di sale che portiamo dentro. La metamorfosi del corpo malato entra in contrasto con l’impulso dell’atto della parola poetica che è pienamente sana, viva. La poesia è l’antitodo sostanziale che ci spinge ad aprire un altro spazio-tempo in cui immortalare il ricordo, la memoria dell’altro (da noi e in noi) che viene a mancare, che scompare a se stesso I fogli delle tue poesie … conservano la traccia di te.  L’elaborazione del lutto è affidata alla capacità dell’intelligenza colta che non si dispera, ma che impara a spostare l’occhio su un piano d’osservazione diverso. Il dolore nutrito dalle emozioni primarie entra in contatto immediato con l’agire delle stesse emozioni traducendo la crudeltà della sorte in una ‘poesia del destino’.  

 http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-r-pacilio-su-brunini-787.html

Recensione - Rita Pacilio su La memoria non ha palpebre di Luciana Moretto - La Vita Felice 2012


Le parole poetiche non hanno solo un senso estetico di bellezza relativo al suono, ma come nel caso della poesia di Luciana Moretto, conservano anche un’esperienza di significato che consente, al lettore, l’esplorazione di luoghi ignoti in cui la vita e l’assenza costruiscono fili e legami. C’è una voce, come sottofondo ai testi, che disegna inattese spaziature di conoscenza e maturità del senso della storia umana e dei suoi misteri. Le attenzioni ricadono, inevitabilmente, sull’inconscio e sul vissuto doloroso di chi scrive il dramma dell’elaborazione di un lutto. La poesia, però, non si lascia demonizzare dalla compassione personale: ogni memoria riportata nei versi, diventa valore e urgenza universale capace di piangere e governare l’enorme silenzio che si insinua tra la vita terrena e la vita eterna. L’autrice mette in discussione tutte le filosofie che giustificano il trapasso e non si arrende ai meccanismi di difesa della psicoanalisi: la sintassi e il lessico sono gli unici strumenti per dire, con la poesia, le più semplici e radicali direzioni dove, in modo indispensabile, vanno a depositarsi  le visioni potenti della nostra esistenza. Bisogna riconquistare le ombre smarrite nelle fotografie o nei fiori che si tramutano in corpo, spirito, per essere in grado di esprimere una separazione dall’essenza/assenza fraterna amata. Il tono che risuona in tutto il testo ammutolisce il destino e sfida la sorte preannunciata che disfa e trasforma il processo di elaborazione del lutto: il corpo è in continua metamorfosi, non smette di ricercare l’approdo all’immenso regno dell’indicibile, nell’oltre tempo. Il corpo si sposta in una pausa/improvvisata di vacanza per continuare il suo percorso verso la cenere/reliquia così da incidere, culturalmente, sulla riflessione logica dell’anticorpo. Pare che si possa davvero aleggiare se le presenze letterarie e poetiche diventano calchi singolari di riferimento, attraversamento o conquista di quella terra di nessuno che da sempre esiste tra chi è rimasto e coloro che ci hanno lasciato (Piero Marelli). 

 http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-r-pacilio-su-moretto-783.html

Recensione - Rita Pacilio su 'Solo minuscola scrittura' di Silvia Rosa - La Vita Felice 2012




Solo minuscola scrittura di Silvia Rosa può essere considerato una variazione su tema riconducibile a un valore linguistico simbolico che avvicina la valenza della bellezza poetica alla prosa colta e raffinata dell’età moderna.  Rosa genera pensieri poetici che entrano in intimità con il lettore: un Tu immaginato che recepisce la descrizione metaforica di importanti problemi sociali come la difficoltà a comunicare o la presenza nel mondo di marginalità esistenziale. Nella scrittura, quando si incrociano poesia e prosa, si sprigionano trasfigurazioni di immagini e significati. Il lettore si identifica negli slanci emotivi descritti che non inibiscono l’accoglimento di figure retoriche e allusive alle caratteristiche interiori di chi scrive. La meraviglia dei paesaggi intimistici, attraversati da visioni o apparenze misteriose, suggestiona e, al tempo stesso, rivela dinamiche tra avvenimenti distanti dal destino narrante. Si evocano le percorrenze come spazi temporali esposti a turbamenti emblematici che hanno un doppio fondo, una straordinaria  architettura multistratica. L’autrice misura, con pertinenza tecnica, il ritmo delle scelte estetiche e contenutistiche sfociando deliberatamente  in una serie di domande implicite sul cogito. Le risposte sviluppano sensibilità tutte femminili. Sentimenti in contrasto ragionano sull’anti-figurativo per delinearsi, in modo certo, nella narrazione del reale. Le forze cosmiche sembrano penetrare le parole-chiave rispondendo ad un tam-tam di impulsi ad agire la voce poetica su ciò che è impercettibile a chi non sa ascoltare gli altri in modo empatico. Il titolo dell’opera è emblematico: un resto, uno scarto, la parte più indecifrabile del linguaggio diventa la forza e la strada per arrivare al corpo vivo dell’universo che dice e muove un tempo cronologico distante dai nodi irrisolti dell’insensibilità. La mediazione resta la saggezza dell’autrice di esprimere dubbio e ambiguità nei confronti dell’identità umana desiderata, esplorata, attesa, sperata.

 http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-r-pacilio-su-rosa-782.html


Poesia - CONFINI (MARCO BELLINI)


           Davvero non si pensava che anche un fosso,
           lì, appena discosto dallo sterrato,
           potesse essere un nido, quasi un letto;
           che fossero uno stelo d’erba e una ciglia
           legate alle stesse ore. La paura
           una coperta per l’età di questi uomini
           che si contano le unghie scure nella terra
           e sul vicino il sudore animale. Oggi è così
           i rumori sparati, i rumori lanciati si diradano,
           tornano nel fosso i movimenti, le articolazioni allungate.
           Tra loro non si guardano, non fanno domande
           nessuno si riconosce, nessuno
           racconterà quelle ore. E il giorno dopo:
un tronco cavo, una corda,
agivano sulle cose attorno per tenersi saldi.
Misuravano il rischio da prendere, la forza
della corrente. Di là un argine fiorito
la cadenza di un nome diverso, di una bandiera,
i suoi colori mai incontrati. Cercavano
un’altra opportunità; da lì sarebbero passati.
Lo studio del terreno, le curve,
la spinta della bracciata; per avere un riscontro
non bastavano, come credevano. 

http://golfedombre.blogspot.it/



Van-gogh (Seminatore)

Recensione - Rita Pacilio per "Inversi panici" di Maurizio A. Molinari - La Vita Felice 2012

Rita Pacilio per "Inversi panici" di Maurizio A. Molinari
Inversi panici
di Maurizio Alberto Molinari - La Vita Felice 2012
Commento di Rita Pacilio

Inversi Panici, ultimo lavoro poetico di Maurizio Molinari, si presenta al lettore come un’opera che ricerca l’identificazione tra l’emozione leopardiana e il paesaggio. Le descrizioni passano attraverso il deviare le forme semantiche precostituite per rendere costante il ritmo dell’essenza del suono e del contenuto della parola/verbo. Emerge un’offerta poetica che indossa la necessità di denudare la solitudine: i linguaggi sono molteplici e sfociano in un registro compenetrato dal dramma, attualissimo, del destino di tutti. Il lettore si trova di fronte a una raccolta di poesia quasi antipoetica: i temi, nati da un atto creativo, poiesis, si fondono in uno sperimentalismo della forma tipica della metà-scrittura, propria dell’espressione poetica lapidaria. Il testo ci viene presentato dall’autore con un linguaggio completamente sradicato dal verso di cui ci ha abituato il novecento. Spariscono, quindi, le terminologie composte e architettate secondo l’autentico senso del ‘fare poesia’. Molinari afferma in più codici l’ermetismo mentale di una non-confessione implicita, dai contrasti assolutamente antitetici, ma originali. Si avvale di fotografie, scattate da lui stesso, per sottolineare l’esistenzialismo della parola essenziale, certa, urgente. Le figure simboliche sono imprevedibili e in forte opposizione alla sapiente e quotidiana realtà: non si tratta di un rifiuto, ma di una consapevole celebrazione dello sguardo obliquo, diverso, sopportabile. Chi legge viene attraversato da una parabola immaginaria in cui non ci si stanca di incamminarsi, tra energie create dall’incontro con il rischio poetico e l’arrendesi al significato singolo, potente. La parola poetica, nello scarnificarsi, dichiara, a gran voce, lo stile comunicativo epigrafico del nostro tempo: un tempo sociale in cui l’interazione ha, come chiave di volta, il ribaltamento dei moduli comunicativi codificati. Non può essere negato il desiderio di seguire il flusso della bellezza come forza vitale, ben distinta dal guizzo dell’ispirazione, che squadra gli orizzonti delle immagini posti sempre come paravento del creazionismo illusorio.

http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-r-pacilio-per-molinari-769.html


Recensione - Rita Pacilio per "Studi lirici" (solo parole d'amore) di Francesco Palmieri – La Vita Felice 2012

Rita Pacilio per "Studi lirici" di Francesco Palmieri
Studi lirici (solo parole d’amore)
di Francesco Palmieri – La Vita Felice 2012
commento di Rita Pacilio

Francesco Palmieri nella raccolta poetica Studi lirici (solo parole d’amore) comincia un dialogo amoroso con un’onda intima che nasce nel suo invisibile fino a diventare potenza e forte emozione, mai indignazione. Il TU è rivolto all’amore reale, vissuto nel mondo, e al suo abbandono mai elaborato, mai consapevolmente diviso.   I versi toccanti, che rimandano ad alcune atmosfere nerudiane, evidenziano le problematiche di convivenza e di accoglimento dell’altro-amato, attraverso l’intensa e dolorosa vicenda umana. Perché abbiamo bisogno d’amore? Perché l’amore si trasforma in disamore? Sono quesiti irrisolti da sempre, ma Palmieri sa accompagnarci nei meandri delle domande più comuni, ma non banali, sucui si interrogano tutte le generazioni. Il lettore percepisce la maturità e la fragilità dell’essere umano, che sa lottare per dire-fare la cosa più elementare: amare; che sa attendere, rischiando tutto, per non peccare di superficialità, di mancanza di coraggio. Il percorso è lento e faticoso, quasi corporale: a ogni pezzo di carne corrisponde un disagio o una forte commozione. La filosofia e la psicologia riflettono insieme, agiscono e si inoltrano nell’indifferenza dell’amato/a, nel suo tacere, nella rabbia di chi scrive, di chi subisce il torto, nella rassegnazione. Freud, qui, leggerebbe i sensi di colpa che si scatenano dalle emozioni ferite e Borgna le risoluzioni all’isolamento che diventa silenzio erotico profondo. Non emerge la falsa coscienza consolatoria, ma il grande dramma esistenziale in tutto il suo sentire. L’interiorità del verso non lascia fuori la realtà sublimata, ma recupera il momento di criticità relativo alla libertà desiderata dall’una e percepita come solitudine- abbandono dall’altro. Il materiale poetico registra meridiani di bellezza e ispirazione degni dell’epica moderna. La funzione crepuscolare dell’amore offeso e allontanato ci riporta a figure romantiche, che in controluce, colgono una epifania altrove, ancora possibile. Un’opera prima, questa di Palmieri, che ci fa gustare il ritorno a ritratti esistenziali smarriti e soffocati dalle sovrastrutture del quotidiano sociopolitico. Eppure l’amore è una questione quotidiana, primaria e, tra i bisogni più urgenti, l’uomo necessita di affetto, bene, amore. Un amore da dare, offrire, da distribuire in modo equo, ogni giorno.

 http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-r-pacilio-per-palmieri-768.html

Partecipazione - Seminario: Fare e leggere poesia Seconda sessione La Vita Felice - Milano 19 ottobre 2012


 Seconda sessione del Seminario di Poesia LVF del 19 ottobre 2012: relatori: Anna Maria Carpi, Anna Toscano, Piero Marelli, Rita Pacilio





http://www.lavitafelice.it/news-galleria-fotografica-seminario-di-poesia-lvf-fare-e-leggere-poesia-oggi-album-2-sessione-763.html

Recensione - Rita Pacilio su 'Eros, il dio lontano - Visioni sull'amore in occidente' di Lidia Sella - La Vita Felice 2012



Eros, il dio lontano - Visioni sull’amore in occidente
di Lidia Sella – La Vita Felice 2012
Commento di Rita Pacilio 

La visione dell’amore in occidente nasce sicuramente in Grecia, in cui più di centinaia di testi, quasi tutti in decapentasillabo (il verso greco per eccellenza di quindici sillabe) costruiscono una mappa geografica degna di bellezza e di arte. La lingua degli dei, da oltre tre millenni, ci arriva ancora con organica consistenza attraverso poeti che parlano di poeti con la forza del cuore e della carnalità (Ghiannis Ritsos, Ghiorgos Seferis, Odisseas Elitis). Lidia Sella nel suo lavoro in versi Eros, il dio lontano – Visioni sull’amore in occidente attraversa il pensare degli antichi per ricondurlo ad una circolarità moderna, in cui la metamorfosi e la similitudine della passionalità greca si riappropria del segreto aureo primitivo. Sembra che il passato sacro si tramuti in una continua fabbricazione di nuovi meridiani laici come modelli metrici secolari. La parola poetica, infatti, viaggia nel profondo cosmo che Sella definisce innamorato (Una virgola nel buio, la Via Lattea/ attorno, cento miliardi di galassie/ già svelate./ E nelle pieghe desolate del cosmo /astri solitari/danzano in eterno/ senza mai incontrarsi./ Ma tutti gli inquilini del tempo…/ affiorano alla vita/il loro destino d’amore/ ricamano) svelando al lettore le intemperie emozionali che il dio Eros, quasi con ironia elegante, produce in chi lo incontra. È un discorso di continua seduzione e vittoriosa riscossa tra i terrestri e l’Olimpo, tra materia, che diventa una puntata di insuccessi e spiritualità, vissuta come una maestria di ricchi doni elargiti. L’autrice si interroga sulla temporalità del discorso amoroso se ora atterrasse/ sul nostro pianeta verde acqua/ Eros resterebbe sconcertato… procedendo in una serie di riflessioni sociologiche, che aprono un fossato tra il significato dell’amore sociale e l’esperienza egoistica dell’uomo. La strategia della comunicazione sprona il poeta a individuare l’esatta congiunzione tra l’effimera esistenza del bello e l’elevata euforia/ dell’innamoramento affinché l’umanità possa risollevarsi dal torpore della mediocrità; ma non solo. L’autrice guarda all’amore costituito e reso offeso e/o deturpato dalle regole sociali, che lo sviscerano di forza sentimentale per renderlo mera mercanzia. Le donne sono geografie problematiche su cui gli aggettivi eleganti e raffinati vivono in bilico. La donna diventa terra di piaceri, di predatori, di viaggi, di anticipazioni libertine, di battaglie sacrosante e di nostalgie enigmatiche Crociera avvincente – ma pericolosa – nel cuore dell’enigma: solo riconoscendo le proprie fragilità emotive (noi donne periremo insieme a loro?) e considerando l’Amore come un intervento urgente ogni essere umano può sperare nella salvezza universale. La comunicazione, nell’età contemporanea, rischia di mutarsi in incomprensione sociale Alla porta accanto/ due spasimanti del terzo millennio/ sintonizzati su frequenze diverse/ traducono sentimenti complessi /in una lingua straniera a entrambi: quindi Sella sottolinea che si eleva un silenzio angoscioso tra gli esseri umani, in seguito alla mancanza di ascolto empatico dell’altro da noi. L’esortazione a riequilibrare la coscienza sociale sensibile viene espressa, con responsabilità autentica, in una forma di gestazione saggistica che passa attraverso il tempo di un istante eterno.




http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-r-pacilio-per-sella-748.html

Poesia - 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' - Rita Pacilio - La Vita Felice 2012


Gli imperfetti sono gente bizzarra

di Rita Pacilio - La Vita Felice 2012


VOLUME DISPONIBILE PER META' NOVEMBRE

Poche opere di poesia mi hanno colpito recentemente come questa raccolta di Rita Pacilio. Un dolente e splendente diario, personalissimo, dove la forza dei versi fila, tesse e spacca la mormorazione in cui pure restano raccolti, pronunciati da quel luogo inespugnabile che è lo spazio dell’essere sorella. «La prigione di mio fratello/ ha le finestre sorde».
E allora la sorella-poesia accetta di farsi finestra e specchio, voce, canto nel mormorio. Grazie a lei vediamo il lago «mordere nuvole». E «l’azzurro elementare». E vediamo che «I folli hanno labbra di rosa vermiglio/ ginocchia conficcate nella gola».
Il libro è visionario e intimo, ma in forza di una speciale qualità di composizione e di concentrazione, evita tutti i rischi che si incontrano in un corpo a corpo così stretto con l’abisso. Voglio dire i rischi del ripararsi, del coprirsi dietro la letteratura, i luoghi comuni, lo stereotipo. Ci vogliono molti anni di consuetudine con tale corpo a corpo. Molti anni di buio e di una concentrazione che ha la stessa dismisura dell’abbandono per vedere «il falco pallido sul collo»; in «loro quella composta di cose». Ci vuole una consuetudine disarmata, casta, povera, che abbia visitato le ombre senza innalzare il maledetto occhio dell’osservatore, quel patetico punto di vista con cui ci hanno ammorbato – a riguardo di questi luoghi di custodia dell’incustodibile – persino canzoni portate a Sanremo o mielose scritture. No, qui, la voce di Rita Pacilio viene da un luogo intimo e indifeso. La poesia-sorella non osserva, è una destinazione comune, un luogo carne sangue comuni e indivisibili. Un amore che è conoscenza. L’osservatore è in un luogo altro rispetto al gorgo, alla pena, la sorella no. La sorella, lei sola conosce. Il che non vale come salutare scandalo solo a riguardo di quanto accade e muto grida in queste pagine, ma per tutto, per ogni dove in un’epoca a cui stanno crollando addosso tutte le presunzioni di “conoscenza obiettiva”, di ragione senza affezione, di razionalismo senza fuoco. L’attraversamento duro di Rita Pacilio non offre il suo valore appena in riferimento alla vicenda che qui tocca e la riguarda, ma indica qualcosa che oggi investe ogni campo della vasta crisi della conoscenza, troppo spesso isterilita in falsi obiettivismi, tradotti infine in soffocanti burocrazie, o in minuetti senza pathos. Il libro è un viaggio di conoscenza, non un affresco patetico. Sia detto non solo per rispetto al lavoro della poetessa e agli abitanti delle stanze che ha attraversato, ma della poesia intera, attuale e passata, che in prove come questa trova conferma e rilancio della sua vocazione: poetare e conoscere sono lo stesso movimento. E qui la poetessa si è disposta – a quale costo – a un viaggio di conoscenza del pianeta sperduto e vicinissimo...
Rita Pacilio mostra in questo libro una qualità di misura e di potenza emblematica che la accosta ad alcune voci della migliore poesia italiana. Penso a De Angelis certo, di cui condivide taluni scarti, ma anche più precipuamente a voci di poesia femminili come Francesca Serragnoli o Franca Mancinelli.
Il tema che lei attraversa con la speciale veste sacrificale di sorella è di inesauribile vastità. Si prendano per bussola i saggi di Eugenio Borgna. Ma il punto in cui si colloca quest’opera è speciale, ha un posto speciale nella infinta rete di rimandi possibili tra studi sul rapporto tra arte e disagio mentale, da un lato, e dall’altro tra opere, figure e poesie direttamente dedicate all’argomento, anche recenti. E se dunque si vorrà cercare un altro gruppo di pagine a cui accostare queste, per luminosa impenetrabilità, per rispettosa forza e arrendevolezza, si dovranno aprire le lettere di Paul Claudel alla sorella Camille. Anche là bruciava inintelligibile una fraternità scossa, devastata e pur incrollabile. E una forza delle parole, una loro sorprendente poesia, ancora, e ancora, e ancora. Perché la parola che scava l’abisso è il primo segno di una luce possibile.
«Nel dubbio serrano le palpebre per ritrovare la notte, per non perderla».
dalla prefazione di Davide Rondoni


Si increspa il lago di Nemi
in un gesto di doloroso silenzio
a vederlo mordere nuvole
l’affanno arriverebbe in cima.

Salgono visitatori
in una strada scoperta riaffiorano
in mezzo alle piante
ragazze di colore nude a metà

pascolano paure
e cosce raggelate. E fissano
l’inquieta luce della sera
come fosse un contatto.


Chiedo perdono al mondo/ come lo chiedo a te/ per il mio peregrinare stanco/ per l’urlo muto/ per la corsa che mi affanna e dice./ Il destino è un cerchio senza fine.


***
Verso nord-ovest aumenta la scogliera
si arrampicano le acque
dove si posa la clemenza
le alghe consegnano umori tra dita.
Convulsi baci a pieni polmoni
all’abisso che rimane tra i denti.

I folli hanno labbra di rosa vermiglio
ginocchia conficcate nella gola
quelli del primo piano chiedono l’ora
collezionano dossi per l’inverno.

Scrivono sui marmi con il trucco
e sbavano meduse sul mento
quelli del secondo piano tremano
il morbo che cresce nell’addio.


***

La prigione di mio fratello
ha le finestre sorde
esala l’anima ancora sbalordita
dalla paura del lampo
suoni di saluti nella campana
a morte
e sul collo il respiro che non vuole finire.

L’ecatombe ogni notte si maschera
impaziente il mormorio nei reparti
è illecito l’omaggio agli dei
si arriva sempre presto sottovento
menzogne e sacrilegi nascosti.

La prigione di mio fratello
è oracolo timido
probabile occhio spia
una pietra desolata
nella recinzione gli uccelli dormono
di là
nessuna barca esiste più.

***
È un morso prudente l’oscurità
un disegno fatto di assenze.
Si denuda l’incavo della spalla
svuotato dalla mano
come un gheriglio
una lumaca.
Amore mio io sono questa:
la bellezza del circo,
la colpa di aver gridato
nel tuo gambo mendicante.
O forse
l’inquieto participio
e l’ora scandita del risveglio.
Non capirò mai niente del nome della sera
dei lampioni spogliati come donne
e di te che ti sfaldi sul muro di casa.


Mad Parade 12, fotografia di Stefano Bonazzi, per gentile concessione



Rita Pacilio è nata a Benevento. Sociologa, si occupa di poesia e di musica jazz, di Orientamento e Formazione, di Mediazione familiare e dei conflitti interpersonali, di Prevenzione delle dipendenze.
Per le sue opere, ha ricevuto numerosi riconoscimenti della critica di settore.
Pubblicazioni di poesia:
Luna, stelle… e altri pezzi di cielo (Edizioni Scientifiche Italiane, 2003);
Tu che mi nutri di Amore Immenso - silloge sacra – (Nicola Calabria Editore, 2005);
Nessuno sa che l’urlo arriva al mare (Nicola Calabria Editore, 2005);
Ciliegio Forestiero (LietoColle, 2006);
Tra sbarre di tulipani (LietoColle, 2008)
Alle lumache di aprile (LietoColle, 2010);
Di ala in ala (con C. Moica – dialogo poetico) LietoColle, 2011).
Narrativa:
Non camminare scalzo (Edilet Edilazio Letteraria, 2012).

Nell’agosto 2006 l’autrice presenta al grande pubblico il progetto “Parole e musica” –  Jazz in versi: contaminazioni.
Discografia: ‘Infedele’ Splasc(h)Records

 http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-novita-poesia-rita-pacilio-gli-imperfetti-sono-gente-bizzarra-730.html

Rassegna stampa - L' Anteprima: 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' di Rita Pacilio - La Vita Felice 2012



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Poesia - Novità editoriale La Vita Felice - Rita Pacilio 'Gli imperfetti sono gente bizzarra'




VOLUME DISPONIBILE PER META' NOVEMBRE

Poche opere di poesia mi hanno colpito recentemente come questa raccolta di Rita Pacilio. Un dolente e splendente diario, personalissimo, dove la forza dei versi fila, tesse e spacca la mormorazione in cui pure restano raccolti, pronunciati da quel luogo inespugnabile che è lo spazio dell’essere sorella. «La prigione di mio fratello/ ha le finestre sorde».
E allora la sorella-poesia accetta di farsi finestra e specchio, voce, canto nel mormorio. Grazie a lei vediamo il lago «mordere nuvole». E «l’azzurro elementare». E vediamo che «I folli hanno labbra di rosa vermiglio/ ginocchia conficcate nella gola».
Il libro è visionario e intimo, ma in forza di una speciale qualità di composizione e di concentrazione, evita tutti i rischi che si incontrano in un corpo a corpo così stretto con l’abisso. Voglio dire i rischi del ripararsi, del coprirsi dietro la letteratura, i luoghi comuni, lo stereotipo. Ci vogliono molti anni di consuetudine con tale corpo a corpo. Molti anni di buio e di una concentrazione che ha la stessa dismisura dell’abbandono per vedere «il falco pallido sul collo»; in «loro quella composta di cose». Ci vuole una consuetudine disarmata, casta, povera, che abbia visitato le ombre senza innalzare il maledetto occhio dell’osservatore, quel patetico punto di vista con cui ci hanno ammorbato – a riguardo di questi luoghi di custodia dell’incustodibile – persino canzoni portate a Sanremo o mielose scritture. No, qui, la voce di Rita Pacilio viene da un luogo intimo e indifeso. La poesia-sorella non osserva, è una destinazione comune, un luogo carne sangue comuni e indivisibili. Un amore che è conoscenza. L’osservatore è in un luogo altro rispetto al gorgo, alla pena, la sorella no. La sorella, lei sola conosce. Il che non vale come salutare scandalo solo a riguardo di quanto accade e muto grida in queste pagine, ma per tutto, per ogni dove in un’epoca a cui stanno crollando addosso tutte le presunzioni di “conoscenza obiettiva”, di ragione senza affezione, di razionalismo senza fuoco. L’attraversamento duro di Rita Pacilio non offre il suo valore appena in riferimento alla vicenda che qui tocca e la riguarda, ma indica qualcosa che oggi investe ogni campo della vasta crisi della conoscenza, troppo spesso isterilita in falsi obiettivismi, tradotti infine in soffocanti burocrazie, o in minuetti senza pathos. Il libro è un viaggio di conoscenza, non un affresco patetico. Sia detto non solo per rispetto al lavoro della poetessa e agli abitanti delle stanze che ha attraversato, ma della poesia intera, attuale e passata, che in prove come questa trova conferma e rilancio della sua vocazione: poetare e conoscere sono lo stesso movimento. E qui la poetessa si è disposta – a quale costo – a un viaggio di conoscenza del pianeta sperduto e vicinissimo...
Rita Pacilio mostra in questo libro una qualità di misura e di potenza emblematica che la accosta ad alcune voci della migliore poesia italiana. Penso a De Angelis certo, di cui condivide taluni scarti, ma anche più precipuamente a voci di poesia femminili come Francesca Serragnoli o Franca Mancinelli.
Il tema che lei attraversa con la speciale veste sacrificale di sorella è di inesauribile vastità. Si prendano per bussola i saggi di Eugenio Borgna. Ma il punto in cui si colloca quest’opera è speciale, ha un posto speciale nella infinta rete di rimandi possibili tra studi sul rapporto tra arte e disagio mentale, da un lato, e dall’altro tra opere, figure e poesie direttamente dedicate all’argomento, anche recenti. E se dunque si vorrà cercare un altro gruppo di pagine a cui accostare queste, per luminosa impenetrabilità, per rispettosa forza e arrendevolezza, si dovranno aprire le lettere di Paul Claudel alla sorella Camille. Anche là bruciava inintelligibile una fraternità scossa, devastata e pur incrollabile. E una forza delle parole, una loro sorprendente poesia, ancora, e ancora, e ancora. Perché la parola che scava l’abisso è il primo segno di una luce possibile.
«Nel dubbio serrano le palpebre per ritrovare la notte, per non perderla».
dalla prefazione di Davide Rondoni


Si increspa il lago di Nemi
in un gesto di doloroso silenzio
a vederlo mordere nuvole
l’affanno arriverebbe in cima.

Salgono visitatori
in una strada scoperta riaffiorano
in mezzo alle piante
ragazze di colore nude a metà

pascolano paure
e cosce raggelate. E fissano
l’inquieta luce della sera
come fosse un contatto.


Chiedo perdono al mondo/ come lo chiedo a te/ per il mio peregrinare stanco/ per l’urlo muto/ per la corsa che mi affanna e dice./ Il destino è un cerchio senza fine.


***
Verso nord-ovest aumenta la scogliera
si arrampicano le acque
dove si posa la clemenza
le alghe consegnano umori tra dita.
Convulsi baci a pieni polmoni
all’abisso che rimane tra i denti.

I folli hanno labbra di rosa vermiglio
ginocchia conficcate nella gola
quelli del primo piano chiedono l’ora
collezionano dossi per l’inverno.

Scrivono sui marmi con il trucco
e sbavano meduse sul mento
quelli del secondo piano tremano
il morbo che cresce nell’addio.


***

La prigione di mio fratello
ha le finestre sorde
esala l’anima ancora sbalordita
dalla paura del lampo
suoni di saluti nella campana
a morte
e sul collo il respiro che non vuole finire.

L’ecatombe ogni notte si maschera
impaziente il mormorio nei reparti
è illecito l’omaggio agli dei
si arriva sempre presto sottovento
menzogne e sacrilegi nascosti.

La prigione di mio fratello
è oracolo timido
probabile occhio spia
una pietra desolata
nella recinzione gli uccelli dormono
di là
nessuna barca esiste più.

***
È un morso prudente l’oscurità
un disegno fatto di assenze.
Si denuda l’incavo della spalla
svuotato dalla mano
come un gheriglio
una lumaca.
Amore mio io sono questa:
la bellezza del circo,
la colpa di aver gridato
nel tuo gambo mendicante.
O forse
l’inquieto participio
e l’ora scandita del risveglio.
Non capirò mai niente del nome della sera
dei lampioni spogliati come donne
e di te che ti sfaldi sul muro di casa.





Rita Pacilio è nata a Benevento. Sociologa, si occupa di poesia e di musica jazz, di Orientamento e Formazione, di Mediazione familiare e dei conflitti interpersonali, di Prevenzione delle dipendenze.
Per le sue opere, ha ricevuto numerosi riconoscimenti della critica di settore.
Pubblicazioni di poesia:
Luna, stelle… e altri pezzi di cielo (Edizioni Scientifiche Italiane, 2003);
Tu che mi nutri di Amore Immenso - silloge sacra – (Nicola Calabria Editore, 2005);
Nessuno sa che l’urlo arriva al mare (Nicola Calabria Editore, 2005);
Ciliegio Forestiero (LietoColle, 2006);
Tra sbarre di tulipani (LietoColle, 2008)
Alle lumache di aprile (LietoColle, 2010);
Di ala in ala (con C. Moica – dialogo poetico) LietoColle, 2011).
Narrativa:
Non camminare scalzo (Edilet Edilazio Letteraria, 2012).

Nell’agosto 2006 l’autrice presenta al grande pubblico il progetto “Parole e musica” –  Jazz in versi: contaminazioni.
Discografia: ‘Infedele’ Splasc(h)Records

 http://www.lavitafelice.it/scheda-libro/rita-pacilio/gli-imperfetti-sono-gente-bizzarra-9788877990039-116235.html

http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-novita-poesia-rita-pacilio-gli-imperfetti-sono-gente-bizzarra-730.html




Recensione - Rita Pacilio su 'Attraverso la tela' - La Vita Felice 2010 di Marco Bellini



Attraverso la tela – La Vita Felice 2010
di Marco Bellini
commento di Rita Pacilio

Attraverso la tela, di Marco Bellini, è una lucida raccolta di versi e narrazioni che ricorda le svolte dello spazio cosmico del destino dell’umanità già lette nei lavori di Elena Svarc. Il lettore si trova di fronte ad una colloquialità  che dal ‘basso’ procede verso il ‘laterale’ perché le esperienze vissute e conosciute, di cui l’autore parla, sono condivisibili e donate in una forma di confidenza amicale, quasi confessate. Bellini sa che ogni elemento del reale appartiene al mondo e che nessuno ne può cambiare l’irreparabile fatalità. Il tempo è localizzato nelle casuali intonazioni ideologiche e sociologiche: e allora ho chiesto di uscire dal tempo. Questa poesia ci consente di avvicinarci all’attività conoscitiva dei pensieri compiuti e all’importanza delle sue motivazioni. L’autore esce ed entra nel reale, infatti, per trasformare in poesia gli attimi che si annullano quando la definizione psicologica diventa corpo-materia. Il ritmo lessicale e l’evidente estetica romantica delle visioni proposte si mescola ad un raro senso poetico: tutto viene partorito da un subconscio che vuole rivelarsi come razionale, ma che conserva ed evidenzia una forte pulsione emozionale. La rifrazione del verso, espresso in una prosa poetica curata e coerentemente aperta, sprigiona una tensione fenomenologica che appare, a chi entra nel racconto poetico, come una sequenza di specchi sovrapposti. Il senso metaforico presenta un’ ‘essenza parallela’ che può determinare un nuovo flusso vitale possibile, dettato da regole eterogenee, e una nuova filosofia dello spazio-tempo che ci catapulta nel monologo, assai profondo, che misura, nel nostro animo, la percezione delle cose sensibili. In questa raccolta leggiamo, tra le righe, la consapevolezza della negazione filosofica del Novecento in cui Montale preferiva sottolineare il suo ‘non volere’ o il suo ‘non essere’. La lettura sincera del mondo, come straordinaria aderenza poetica, è l’elaborazione della fine del silenzio della perdita-assenza. Bellini definisce in modo acuto le distanze temporali tra ciò che è stato e ciò che rimane: non sfugge la definizione dei parametri che indicano gli abissi e ci dona, con autentico rigore, i movimenti armonici tra l’esistenza morale e la sapienza dell’intelletto.

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