Recensione - Rita Pacilio su Eventi in versi di Enrica Meloni - La rondine 2012

Eventi in versi
Di Enrica Meloni – La rondine 2012
Commento di Rita Pacilio

Per leggere l’opera prima di Enrica Meloni, Eventi in versi, La Rondine 2012,  bisogna avere uno sguardo storico/letterario retrospettivo al fine di comprendere appieno la scelta morfologica del suo poetare. Il lettore si trova di fronte ad uno stravolgimento temporale che, seppur con diverse sfumature, si colloca in un azzeramento della clessidra per meglio evidenziare concetti sociali e forza morale intesi come assiomi validi in ogni epoca umana. La parola è cesellata di innumerevoli significati, per questo motivo l’Autrice, ottima conoscitrice della lingua italiana, la utilizza come a non volerne perdere le etimologie e i messaggi verbo-acustici incompiuti che le appartengono, affinché nel presente si possano sempre più acquisire ulteriori accezioni (Di vital sospiro sortirà ogni vocabolo p. 35)
L’interesse per tematiche sociali e romantiche si contrappone e converge in un impegno coraggioso che non vuol rimanere indecifrabile o enigmatico. I versi raccolti in una sere di eventi ricompongono un percorso emozionale atavico lottando contro la facilità di ‘pedalare verso il Nulla’ sperando e aspettando che qualcosa nel macrocosmo accada senza il nostro intervento. La Meloni diviene osservatrice dotta e non polemica del sistema che la circonda; si mette in discussione in prima persona impegnandosi a cogliere, come studiosa, la frattura che c’è e cresce sempre più, tra e l’altro. Non ci sono ombre di pessimismo intimo: il poeta ama la scena e il fuori-scena, ama la fragile e temuta vita futura rimandando ai posteri un coro di voci che citano il ritorno ai valori.
( Sii tu umana mano, verbo indiscusso d’ogni terrena azione p. 61)
Le metafore rischiano di confondere le figure umane rappresentate come in un palcoscenico teatrale, ma non sparisce il male e il bene, il caos e il silenzio, il buio e la luce: non si avverte confusione tra le due identità che la Meloni rappresenta: donna - figlia, corpo – esperienza.

Recensione - Enrica Meloni su 'Non camminare scalzo' di Rita Pacilio - Edilet Edilazio Letteraria 2012

SCALZO DI RITA PACILIO

ULTIULTIME NEWS - NON CAMMINARE SCALZO DI RITA PACILIO



Non camminare scalzo
Un annoverarsi  di  sintagmi emotivi, coscienziosi stati d’animo nel percorso dell’udibile travaglio umano.
Da Editrice Edilazio, un romanzo dall’inopinabile evocazione delle intime diatribe femminee.
di  
Enrica Meloni

Un excursus d’intrinseche e confessate circostanze esenti da ipocrite limitazioni morali. La sagacia d’una donna che priva di timori non osa occultare il subliminale d’ogni scenario esistenziale, essa lo annovera, riproponendolo nella più incorrotta e libera narrazione. Un privato esprimersi che diviene la lettura interpretativa d’ogni individuo che nella stesura riconosce eventi da lui similarmente vissuti. Un’opera, inopinabilmente incontestata, dalla quale natura elaborativa non smentisce mai l’onesto stile dell’autrice, la quale, nel titolo racchiude in primis il fulcro essenziale del testo. Non camminare scalzo di Rita Pacilio (Casa Editrice Edilazio, pp. 87, € 12,00), un accattivante ed introspettivo volto letterario della sofferenza, questa, emancipata attraverso l’eco d’uno scrivere che mai lascia indifferenti. Rita Pacilio, sociologa, mediatrice familiare e dei conflitti interpersonali. Esperta in Comunicazione strategica, si occupa di Orientamento e di Bilancio delle Competenze. Il suo curriculum artistico annovera diverse pubblicazioni precedenti, si ricordino: Luna, stelle e altri pezzi di cielo (Edizioni scientifiche italiane,2003); Tu che mi nutri di Amore Immenso (Nicola Calabria Editore,2005); Nessuno sa che l’urlo arriva al mare (Nicola Calabria Editore, 2005); Ciliegio forestiero (Lieto Colle,2006); Tra sbarre di tulipani (Lieto Colle,2008): Alle lumache di Aprile (Lieto Colle, 2010); di Ala in Ala (Lieto Colle,2010), un connubio poetico tra la Pacilio ed il poeta scrittore Claudio Moica. I suoi componimenti poetici vantano la pubblicazione in diverse Antologie di stampo nazionale, pluripremiata ai concorsi letterari. Artista poliedrica,aspetto palesemente inequivocabile date le sue doti canore e musicali, nota musicista e cantante jazz. Nel 2006 esordì con “Jazz in versi”, discografia L’Infedele (Splasch Records).
Una prosa insita a dar maggior vigore presenziando  all’interno  della dialogica del testo. Un bipartirsi narrativo tra reminiscenze riflessive ed esternazioni confidenziali, rivolte ad un lettore attento e maturo. La sessualità, appare come tematica portante, assimilabile perfettamente all’intima essenza dell’intero narrare. L’utilizzo della prima persona non è casuale bensì ammicca l’intensa curiosità del lettore, un’impostazione che travolge la lettura, lasciando che il destinatario dell’opera possa sentirsi inconsciamente parte integrante delle confessioni, eletto ascoltatore, onorario consigliere. Una penna che appunta non solo quotidianità di crescita femminile, dai tormenti di un’infante sottoposta ai deliri della perversione adulta, ai mutamenti di una fisicità che diviene appetibile coinvolgimento godurioso, un dolorifico percorso di crescita divenuto obiettivo irrinunciabile d’una mente maschia, accanita divoratrice di piaceri, silenziosamente incarnati nel dolore d’una donna attiva nei silenzi del patimento. Il simbolismo del passo scalzo è circoscritto al camminare di chi non si è esentato dal fruire della dignitosa sofferenza della protagonista, denudata del suo pianto, versato timidamente sui palmi di chi le ha teso la mano per dissetarsene. Metafora esistenziale nella quale, anonime donne scorgono il proprio vissuto. Capitoli di vita, sradicati alla quiete ed offerti  inaspettatamente alle grida del dolore. Soglie di speranza trapelano nel nefasto di alcuni episodi che rendono la narratrice forza innata di reazione spirituale. Luoghi di formazione che divengono un rude tirocinio sociale, attraverso il quale, la donna attinge sofferenza per poi tramutare quest’ultima in una veridica forza, caparbia nella sopportazione di altrettanti futuri travagli.

Visione sociologica.
Attenta è la scrupolosa presenza del contesto familiare, loco d’essenziale importanza  per la pedagogia interiore della protagonista. Diatribe tra superficialità, intorpidimento genitoriale e grida silenti d’una progenie in cerca d’una pietas mai ottenuta. Mancata tregua nei patimenti d’una “predonna”, la quale nonostante la tenera età, incarna aspetti d’adulta conoscenza. Pag.37 (… Ogni volta perdevo sangue ma non morivo. Mi picchiava nella schiena, mi tirava calci nei reni, mi diceva che ero malata e che ero la sua croce, la sua spina…). Turbolenze non desiderate ma vissute nella disgrazia d’una coercizione immeritata. Un lamento che nel “ Restituiscimi ciò che mi hai rubato! Voglio ritornare la bambina che ero” pag.43, vacilla nell’infausta peccaminosità di chi la derubò della sua innocenza. Lacrime di depauperante agonia, fisica e morale, un manifesto innalzato ad un messaggio d’aiuto che solo chi ha patito il medesimo dolore si capacita d’ascoltare. Non camminare scalzo, un confronto esistenziale tra chi mai è stato sordo alla penitenza d’una vita sviluppatasi nelle tribolazioni. Un’imposizione sessuale che ne agogna l’anima, pag.48 (…Il suo sonno andava oltre le spinte e tagliava come quella mazza dura e lunga nelle mie fessure intime, nelle mie pieghe, nella mia bocca. Lui mi tappava la bocca con quella carne dura che martellava ad intermittenza contro la gola…). Antagonismi tra una verginità negata che permea negli anni in un’innocenza ancora instancabilmente bramata, una disperata ricerca della propria onorabilità femminile, incompresa, scarsamente valorizzata anche nei periodi dell’avvenire. Fanciulla divenuta moglie e consorte, una maternità che mai ha saputo cancellare il ricordo d’un remoto, un seno che mai sgorga in un latte rifocillante, realtà unicamente indelebile agli occhi di chi piange accostandosi al suo dolore. Moglie insaziata da un amore che altrettanto scalzo, calpesta il suo spirito come un ventre pressato da un acre spasmo. Un’opera volta alla non censura della sofferenza, un gemellaggio del dolore che consola le sconosciute schiavitù anonime della società.

http://www.edilet.it/pubblicazioni.asp?action=readone&idpubblicazione=96
http://www.intervistandowebtv.it/index.php?keyword=comunicati&com=405 




Partecipazione - VI Edizione del Festival Internazionale di Poesia 'Palabra en el mundo' - La Pace 2012

http://enricameloni.blogspot.it/2012/04/vi-festival-internazionale-della-poesia.html?spref=fb



La Pace
La poesia è una gioia che si partorisce tra destini complici nelle radici delle cose. E se la poesia non è altro che l'immagine meravigliosa dell’ esistenza stessa posso tranquillamente affermare che anche la Pace, l'Amore universale o la Tolleranza sono gioie, come la poesia, che si trovano nelle radici semplici delle cose e che nascono dalla comunione di forze interiori. Ecco il segreto che le accomuna: la semplicità! Hanno origine nella chiarezza elementare tutte le cose che appartengono all’universo infinito. La Pace intesa in questo senso, non è solo un valore sociale o un concetto filosofico, applicabile ad un macrocosmo più o meno organizzato, ma diventa comunicazione e metro di valutazione, di consapevolezza personale attraverso cui educarsi per meglio formare ed istruire. ‘Chi altro può parlare di Pace con la certezza che essa è possibile, se non tu, che hai il vantaggio di attingere a piene mani al fondo di quella riserva utopica che ti ha dato il Signore?’ (‘Omelie e scritti quaresimali’ don Antonio Bello.) La Pace è un percorso intimo di rispetto dell’altro e di confronto al fine di conoscere i propri limiti e quelli altrui camminando verso la sacralità delle persone. Infatti non c’è Pace quando ci si inorgoglisce di fronte allo sgarbo ricevuto, di fronte ad un torto, una mancanza, anche non volontaria. La Pace dovrebbe essere un modus vivendi, una continua applicazione possibile affinché la crescita umana e sociale vada verso evoluzioni sostanziali sul piano intellettivo ed emozionale di ciascun individuo.  


Le cose distanti
assenti al nodo delle mani
si lasciano alla corrente dei venti
come si fa con la vela in mare.
Dimmi
questo spartiacque diradato
è il mio passo breve?

Rita Pacilio




Recensione - Rita Pacilio su Gli stagni di Mosca di Francesca Tuscano (La Vita Felice 2012)

Gli stagni di Mosca
di Francesca Tuscano - La Vita Felice 2012
commento di Rita Pacilio

Luca Barbareschi nel suo discorso del 18 novembre 2008, presso la Biblioteca e Museo Teatrale di Burcardo, a Roma, dove si è tenuta una Giornata Studi dedicata a Gabriele D’Annunzio, ha spiegato che c’è una notevole differenza tra coloro che hanno la grande capacità di inventare nuovi linguaggi, rompendo gli schemi, e coloro che invece utilizzano la scrittura in modo ‘politically correct’. Se è vero che D’Annunzio ha anticipato i movimenti trasformativi dell’immaginario collettivo, è pur vero che le dinamiche della scrittura post moderna, come quella di Francesca Tuscano, soddisfano in pieno il desiderio di ricondurre l’uomo alla realizzazione dell’appagamento. Ciascun individuo è una estensione della individualità comunitaria ed evolvendosi i processi sociali, non vive più per un fantasma creativo, ma cerca di ridimensionare il proprio carattere creativo. L’innovazione è nell’invisibilità del protagonista che cede il posto all’ascoltatore/lettore che con entusiasmo sperimenta l’esperienza poetica/narrativa modernizzando i propri sentiti emozionali. Il ventaglio di possibilità ancora inesplorate che la Tuscano propone  nel suo viaggio Gli stagni di Mosca, edito da La Vita Felice, 2012 conducono ad un racconto di eventi letterari e storici con una funzione di denuncia sociale inscindibile da una teatralità semantica complessa di movenze. Ogni luogo visitato, conosciuto o sconosciuto al lettore, modifica l’affascinante substrato di storie e vissuti che ognuno di noi ha a disposizione. L’Autore, così, sviscera la ricchezza etnica e attuale di un palcoscenico socio-antropologico che decompone e analizza fino agli spazi nuovi in cui l’essere umano mette in scena, nel microcosmo, se stesso e la sua funzione civile. Il percorso di lettura dell’opera della Tuscano è fatto di chiaroscuri in cui abilmente chi scrive pone illuminazioni ad intermittenza lasciando volutamente zone d’ombra, affinché l’idea della cultura e della conoscenza portino a riflessioni sempre più somiglianti alla ragione risparmiando l’evocazione del sogno immaginato. La poesia, la letteratura e l’Arte in genere, resta comunque un grande progetto di ricerca: un vero e proprio recupero e/o ricostruzione di percezioni che non diano mai come risultato il dualismo bianco/nero. Credo che la poesia, in particolare, ha come grande funzione sociale la comunicazione risvegliata dall’intendimento e dall’ascolto empatico dell’altro e delle cose intorno! Il lavoro poetico della Tuscano pone l’attenzione su questa urgenza.