Info - INFEDELE


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può essere richiesto a: splaschrecords@virgilio.it



Recensione - Festa su Pacilio 'Ciliegio forestiero' LC 2006

N. Festa su R. Pacilio

‘Ciliegio forestiero’ LietoColle

 

Poesia finalmente d'amore. Rime amorose e sensuali vie di fuga si leggono nelle pagine di Ciliegio Forestiero. Sensualità fatta presente e domani. Estrose e intime sensazioni, grumi o grappoli di tentazione. Sorrisi dell'intimità. Quasi tutti i componimenti di questa raccolta della Pacilio devono qualche cosa alla longevità del desiderio intenso. Non è un caso, infatti, che il volume sia dedicato "alle radici di un amore".
In pochissimi casi, si possono condividere le affermazioni che gli editori rilasciano per presentare al meglio i testi delle loro autrici o dei loro autori. Ecco l'eccezione che conferma la regola, un dono di Camilliti, condivisibile al massimo: "La sua animalità ha bisogno di galoppare carnalmente. Mentre le sua poesia di perdere cromatismi densi, provocatoriamente. Il tempo e il galoppo la nuderanno. E' questo sarà un bene per la sua poesia. Meno per il suo cuore." Senza fronzoli di vario genere e varia natura, un editore esperto, con poche righe, riesce a definire bene l'esigenza che un'autrice da in pasto a lettrice e lettore, parlando (ora) dell'autrice di Benevento.
A poesia fieramente d'amore, siamo davanti. Tratti di "matita grassa" che sanno di pulsazioni e fervore dello spirito. "Vedessi come affonda / il coltello feroce / nella mia carne / trasfigurata. / Penetra / giunge / dietro la pupilla, / ai desideri in ombra."
Le radici di Rita Pacilio, quindi, pulsano. Versi liberi e sminuzzati. Parole incastonate nelle pagine e nel corpo. "Doveri tacere / i respiri della natiche / e le parole." Oppure, con tocco meno vergato da termini spumeggianti, "Le mie venti lentiggini / cambiano forma / sul naso che gocciola." Per scendere (infine), o salire, verso un destino macchiato e solcato dalla malinconia: "Non ho letto la sorte: / quella che guarda / mille caffé / nella tazza grande / (che non preparerò mai io)." Dopo questo intermezzo, ritorna la "coda che inghiotte" e che Vuole atrocemente. E viene con una chiusa di questa intensità: "Ora sei qui / e mi masturbi / la perla inanellata."
Tracce di respiri naturali quanto "animaleschi", per riprendere M. Camilliti, si possono scegliere in quasi tutto il libro. Pure in un breve e non troppo riuscito componimento, che arriva circa a metà libro, si raccolgono minuti validi. Il testo integrale dice "Si respirano nostalgie / sui finestrini / di un treno in corsa. / Le cose / mi vengono incontro / e non mi toccano. / Traballa il seno, / come il budino tiepido. / Senza difese / nell'ultima carrozza / ‘non fumatori'." Mentre a pagina 36 e 37 si riaffaccia una spirale di confessione Estrema. Fibre di tormenti interiori dettati dallo sconvolgimento che giunge dall'esterno, certamente.
Poi, a qualcuno o a tanti o a tante è detto "E della schiena / non saprai / l'arco / quando si dona." Un finale, come si suol dire, pungente e che mozza il fiato.
In questo "ultimo" passaggio, invece, si riceve un pizzico di questione necessariamente significativa: " (...) Non importa il tempo / delle radici in terra feconda, / non sarà lì che torneremo amanti. (...)" 
Nunzio Festa
28 maggio 06


Recensione - Prefazione di Rita Pacilio 'Centellino amore' E. Meloni' LietoColle

Foto E.M.



Prefazione
 ‘Centellino amore’ è un canto che abbraccia latitudini intime e sociali. E’ un impegno maturo che testimonia i valori della vita.
che ogni giorno
indicavi fermo
principi e valori
E’ una memoria storica delle problematiche ideologiche ed esistenziali dell’uomo contemporaneo che attraverso il vissuto emozionale dell’Autore defluisce verso la speranza della rinascita.  La genuina valorizzazione della cultura tende a dilatarsi sulla macro esistenza senza delimitazioni di confine.
e tu
mio figlio
studiando sodo
 Ennio Meloni osserva il contesto socioeconomico e ne descrive spazialità, temporalità e valenza sociale.
A te
che ved’ancor tornare
dalla miniera stanco
 Lo sguardo sociologico del Poeta traduce stati d’animo in messaggi educativi. La memoria personale diventa memoria collettiva. Le voci che coesistono nell’io poetico si fondono ed il verso diventa fecondo di influssi letterari.
 Ennio Meloni filtra in modo profondo le letture della poesia sudamericana. Si lascia affascinare dai timbri e dai registri nerudiani. Ci rimanda all’impegno civile e ci esorta alla coscienza vigile. Esalta l’eros romantico attraverso una identificazione geografica: amore e paesaggio.
 che il tuo sole
buchi la notte
  Così diventa facile ri-trovarsi nel ‘Sonetto dell’amore totale’ o nel ‘Per vivere un grande amore’ di Vinicius De Moraes: (Per vivere un grande amore è molto, molto importante vivere sempre assieme e, se possibile, morire insieme, per non morire di dolore)
abbandonandoci la sera
sullo stesso cuscino
per parlare all’alba
dello stesso sogno.
 Il lettore interagisce con la filosofia dell’Autore che sembra più vicina al modello asiatico che non a quello occidentale. Meloni non sacrifica la visione d’insieme, ma, come gli orientali, dà estrema importanza al contesto in cui il problema o l’oggetto di indagine sono inseriti. Non si sofferma sulle singole parti del sentimento. Non ci mostra solo le sfumate sfaccettature. Cura la sua interezza. Chiede il conto ad una storia che coinvolge mente e fisicità, rassicurandoci. Senza enfasi, quasi sottovoce.
 Ci rinvia a Gabriela Mistral quando  parla alla madre. Amata, stimata, adorata, la figura materna diventa testimonianza del sapere quotidiano e dei segreti metaforici.
A quello scricciolo di donna
segnata dal tempo dalla fatica e dalle lotte
e ci permette di assaporare versi che sanno di memorie di casa
pace di pelle
di miele e di pane
echeggiando la poesia di Carmen Yànez.
  Ennio Meloni sa come portarci per mano lungo la strada dell’Amore completo. Ci insegna a sviluppare una qualità importante: la resilienza. Attraverso il suo canto vuole che la nostra volontà persista nella scelta consapevole costruttiva al fine di raggiungere obiettivi senza farci abbattere da alcuna avversità. Consiglia al lettore le carezze donando alla nostra autostima gesti e parole di affetto che pure sanno quietare:
pace di parole sussurrate
di carezze
a confermare
a rassicurare.
 Le immagini descrivono un amore nuovo e agognato come fonte risanatrice. Si vestono di un linguaggio – l’ibridazione della forma di Gonzalo Rojas - che congiunge il quotidiano al poetico, la materia allo spirito:
gli occhi e le orecchie
sanno ancora di te
ma le dita
la bocca…
 Il Poeta non sfugge al tempo e si nutre di ricordi secondo una giusta misura, è padrone della sua esperienza. Si tratta di un tempo leggero, che non ha lasciato cicatrici, che sa di meriggio, che cammina avanti, che non dissolve le vivide cose:
Ripenso
a quel poggiar le dita
su un finestrino
modella il suo essere ad un tronco mostrando il suo petto nudo che nelle sue mutazioni oltre ogni tempo si alza di armonia e verità:
Osservo le mie braccia
come rami rinsecchiti
che inseguono
il cielo
 Il suo è un dialogo che arriva direttamente alle radici. L’Autore scava una buca nella terra, a fondo. Innaffia il suo amato terreno perché possa meglio aderire all’albero da piantare. Poi nutre la terra fresca con foglie ingiallite perché non arrivino erbette nocive a togliere nutrimento alla pianta nuova.
 Diventa lui stesso albero, ginepro, forte, resistente alle intemperie. Sopravvive per vivere pienamente il suo ‘voglio’. Ha bisogno di sole, di acqua e di luce notturna. Vuole veder crescere il suo tenero amore nelle prime gemme dischiuse.
 Centrale il segno di fiducia, di estrema speranza che l’Autore vuole lasciarci per l’avvenire: Ennio sa che quella presenza viva richiamerà un giorno il ricordo di chi ha dialogato tra terra e cielo palpitando come un fruscio di foglie.

Rita Pacilio

Recensione - Postfazione di Giorgio Linguaglossa 'Alle lumache di aprile' R. Pacilio - LietoColle

Postfazione

Se nella prima metà del Novecento la poesia femminile è praticamente assente (eccezion fatta per Ada Negri, Sibilla Aleramo e Antonia Pozzi), è dalla seconda metà del secolo scorso che essa registra una presenza in incessante infoltimento. Pier Vincenzo Mengaldo in Poeti italiani del Novecento prendendo le mosse dalla riflessione sulla poesia di Amelia Rosselli, e riferendosi alla poesia femminile della generazione immediatamente seguente, scriveva che siamo di fronte ad «una scrittura, o piuttosto a una scrittura-parlato, intensamente informale in cui per la prima volta si realizza quella spinta alla riduzione della lingua della poesia a lingua del privato». Questa intuizione si è rivelata azzeccata per quanto riguarda la poesia di Antonia Pozzi, Alda Merini, Cristina Campo e Helle Busacca, ma rischia di diventare imprecisa e addirittura fuorviante se la applichiamo alla poesia femminile delle generazioni successive, che ha ormai metabolizzato e interiorizzato la parificazione esistenziale e sociale con il rispettivo coté maschile. La generazione della poesia femminile degli anni Novanta ha abbandonato la poesia di impegno femminista e la tematica amorosa al femminile; la lingua del privato è diventata la lingua del pubblico, un intero universo del demanio «privato» è diventato «pubblico», le inquietudini del «femminile», sono non dissimili dalle introspezioni e dalle problematiche che si rinvengono presso il coevo coté maschile. Dalla lingua del privato la poesia femminile degli anni Novanta si muoverà in direzione di una poesia del «concreto», e che cosa c’è di più «concreto» di una poesia «erotica»? – La generazione della poesia femminile degli anni Dieci preferisce leggere il «quotidiano» e il «privato» attraverso la lente della destrutturazione del «soggetto». È il trattamento dell’«oggetto» che costituisce il differenziale stilistico e, di conseguenza, la posizione dell’«io» poetico muta il suo punto di vista e il suo luogo. Nel frattempo, la nuova poesia femminile  vede radicalmente mutate le condizioni del fare poesia: si dissolve completamente la poesia di protesta e la problematica femminista della generazione immediatamente precedente, scompaiono lo sperimentalismo e il mistilinguismo, emerge il «quotidiano», la «cronaca», la teatralizzazione dell’«io», il commento dell’«attualità», l’erotizzazione del «privato»; la poesia femminile diventa più «laica» (nella misura in cui desacralizza il «sacro»), tendono a scomparire le rigide partizioni dei «generi» e, all’interno del «genere», tendono a scomparire le differenze di trattamento delle «tematiche». In breve, anche la poesia al femminile diventa post-moderna.
Storicamente, nell’area della «nuova poesia modernista», una menzione particolare va dedicata ad alcune poetesse che hanno avuto il merito di aprire nuovi scenari alla poesia contemporanea, accantonando l’idea di una poesia al femminile o di una poesia di mera protesta della condizione femminile.[1]
Tipico dell’approccio modernista è il suo giungere in ritardo in Italia rispetto al coté europeo: è durante gli anni Ottanta e Novanta del Novecento che la poesia femminile ha, nel nostro paese, uno sviluppo prima impensabile, effetto della intervenuta rivoluzione femminile del «privato» e prodotto dell’assestamento della condizione femminile in chiave neomoderata e conservatrice.
Si verifica così, in una poetessa della nuova generazione come Rita Pacilio, il trattamento erotico della tematica amorosa, dove il deuteragonista maschile è diventato «oggetto» di un «soggetto» attivo e febbricitante. L’equivoco da dissipare è che si leggano queste poesie come una trascrizione dell’esperienza vissuta dell’autrice. Nulla di più erroneo. Il carattere distintivo di questa poesia è, invece, a mio avviso, il trattamento rigorosamente erotico-estetico della materia di vita («hai scavato nel sangue bollente / e svuotato l’anima / fino a dove comincia la terra. / Credevi fossi finita? // Vedi come sono morta!»), senza che nulla del «privato» sia in effetti riconoscibile. Il trattamento stilistico ha questo di vero: che riconduce tutte le sfumature ad un’unica sfumatura, ad una omogeneizzazione stilistica.
La poesia femminile  ha ereditato la crisi di linguaggio della poesia moderna. Se, come scrive Baldacci, la Valduga «non è un poeta in crisi, ma un poeta che parla con la crisi, servendosene». Rita Pacilio ha ereditato la crisi ad un punto che non è più possibile operare con il bisturi del chirurgo, ad un punto che accetta una finzione: accetta la scrittura poetica come se la crisi non si fosse verificata affatto e non fossimo nel bel mezzo di una crisi del linguaggio poetico. Se consideriamo che il dopo Montale ha lasciato un ventaglio aperto di possibilità espressive senza però un linguaggio poetico condiviso, capiremo il perché e il per come dagli anni del riflusso, gli anni Ottanta, fino alla fine del Novecento la poesia erotica sia stata, in sostanza, un oggetto di trastullo e di ghiribizzo, che si è nutrita dei regesti e delle anticaglie dei linguaggi poetici diroccati e fracassati. Oggi, di fatto, c’è una situazione di impossibilità che ha lasciato dietro di sé il discorso di Montale. Oggi non è più possibile dire né meglio né peggio con quelle parole, semplicemente non si può dire nulla di diverso e di nuovo. In questa camera stilistica iperbarica qual è divenuta la poesia contemporanea, dove i piccoli ritocchi si fanno come in frigidaire, sono ammessi ancora dei giochi, ma il più importante, il gioco erotico è al di fuori della poesia, nel mondo del «reale»; il ruolo della poesia moderna non è più «quello di chi si diverte a ritagliare il linguaggio degli altri, a lavorare di forbicine e colla» (come scrive Baldacci riferendosi alla poesia della Valduga) ma quello, direi, di ricostituire il nuovo traliccio del linguaggio poetico e il suo rapporto con il «reale». E non è un compito da poco.

Giorgio Linguaglossa






[1] Patrizia Valduga con Medicamenta (1982), Medicamenta e altri medicamenta (1989), Cento quartine e altre storie d'amore (1997); Giovanna Sicari con Decisioni (1986), Sigillo (1988), Uno stadio del respiro (1995) e Epoca immobile (2003); Maria Rosaria Madonna con l’unico libro pubblicato: Stige (1992), morta nel 2002; Giorgia Stecher con Altre foto per album (1996), libro uscito postumo; Maria Marchesi, di cui ricordiamo i due volumi pubblicati: L’occhio dell’ala (2003) e Evitare il contatto con la luce (2005). Seguono poetesse di varia provenienza culturale che hanno un approccio disparato alla poesia: Chiara Moimas con L’angelo della morte e altre poesie (2005); Lidia Are Caverni con Un giorno e poi (1985), Nautilus (1990), Il passo della dea (1999), L’anno del lupo (2006); Laura Canciani di cui ricordiamo L’aquila svolata (1983), Da questi occhi (1986), Il dono e la meraviglia (1989), Lo stesso angelo (1998), Il contagio dell’acqua (2009); Maria Rita Bozzetti con Monade arroccata (2008); Rosita Copioli con Splendida lumina solis del 1979 e Furore delle rose del 1989. Con la terza raccolta, Elena, del 1996, il periodo di punta del movimento «mitomodernista» è già nella sua fase di naturale riflusso; con l’ultimo libro: Il postino fedele (2008) siamo già in una temperie modernista; e poi Maria Consolo di cui ricordiamo: Da sola a solo (1998),  Coi macigni e l’erbe (2000), Dissonanze (2003), In queste stanze (2006); Anna Ventura con Nostra dea (2001) e Cinquanta poesie (2003); Maria Benedetta Cerro di cui ricordiamo il libro Allegorie d’inverno (2003); Isabella Vincentini con Diario di bordo (1998) e Le ore e i giorni (2008), Daniela Marcheschi con Sul molo foraneo (1991), Lidia Gargiulo con Penelope classica e jazz (1994) e i segni di proserpina (2006); Gabriella Sica con Poesie familiari (2001) e Le lacrime delle cose (2009); Manuela Bellodi con La prossima volta  (2008). Delle nuove generazioni segnaliamo  Elena Ribet con Diario dei quattro nomi (2005) e Serena Maffìa con Il ragazzo di vetro (2005).


Recensione - Pacilio su Farabbi 'Solo dieci pani' - Poesia 'Da queste parti le creature non conoscono il mare'





X .Da queste parti le creature non conoscono il mare.

Racconto il movimento degli azzurri.
L'orizzontalità cangiante.
L'impossibilità del taglio.
L'unico, il lunghissimo, lontanissimo
lato.

Ma nessuno lo chiede.
Stanno in terra, dentro la notte,
guardando la profondità del cammino
con il fuoco che dal petto
gli fa luce.

Poi, quasi all'alba, prima del tuorlo,
mi tolgono l'argilla dagli occhi
leccandomi il muso.


Anna Maria Farabbi


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Solo dieci pani di Annamaria Farabbi
Commento poetico di Rita Pacilio



‘Cara mamma ho imparato a mangiare la neve…’  Anamaria Farabbi conclude così il suo elaborato poetico ‘Solo dieci pani’; con un calco, un’impronta, un’espressione visiva che ipnotizza, una dichiarazione, un testamento in prosa/poesia capiente di tutto il suo macinato e catalizzato essere umano di non comune sensibilità.
Il Poeta rielabora la memoria e l’attesa disponendosi all’apertura del giorno che viene denudando lo spirito dalle potenziali ambizioni o dai pericoli del tempo. E si presenta al lettore come ‘la bambina addormenta la montagna sua nonna’ perché il tempo è fatto di creature che danno voce ad una cosmogonia polifonica, universale, aperta e senza centro: ‘respiro il volo e torno interiormente a volarlo/ così respiro anche la madre del nido/ e del volo’.
La poesia della Farabbi è rivoluzionaria, come quella di Mario Luzi: è una voce soggettiva in un plurimo sussurrare umano. L’Autore non ci propone la sua personale prospettiva ma lascia che siano gli interlocutori a tornare con i propri canti, a rimanere, a possedere, a spasimare, ad andare: ‘continuiamo a tremare/ mantenendo a stento l’equilibrio’
Il percorso è terreno e spirituale ad un tempo. Trasuda di ardore come il verso di Czeslow Milosz, riflettendosi in un magico specchio: l’attesa dell’intelligenza viva garantisce il senso e la salvezza di un possibile rigenerare la sacralità della vita.
Così il congedo è amore e vita e dà un senso dolce alle ombre presenti nella nostra anima comprendendole e, come Montale, accettandole fino a ritrovarle nella storia del mondo.
Lo sguardo è misericordioso e si spinge fino allo scioglimento possibile delle stagioni temporali dei ‘dieci pani’: premesse trasparenti di una memoria quasi perfetta e ricomposta che sa decifrare il senso dell’ultimo segreto.

Rita Pacilio

Premio letterario - Premio San Leucio : segnalazione per R. Pacilio

Premio San Leucio : segnalazione per R. Pacilio

28 novembre 2010
15^ Edizione PREMIO LETTERARIO NAZIONALE
di Poesia e Narrativa
“CITTA DI SAN LEUCIO DEL SANNIO”
sezione C – Poesia edita
Segnalazione speciale della Giuria

Alle lumache di aprile di Rita Pacilio – Lietocolle

Commento di Lorenzo Vessichelli


Nella complessa tessitura dei versi e nella terminologia, ben dosata, è irretita l’ispirazione peculiare del momento. L’anima, quasi per trasbordìo da parte del lettore, è affascinata e drammaticamente, con un’inevitabile inquietudine, approda in un’alcova di vissuta carnalità. Ad essa si unisce un amore intenso, a volte disperato, sognato, perché affonda le radici nella solitudine, nell’incomprensione, nell’incertezza, nel desiderio spesso non pienamente appagato. La coscienza dell’Autrice è prostrata ed obnubilata per i sensi attanagliati in un indicibile dolore, senza tregua. Ne consegue che le fibre del corpo si piegano sotto la sferza del quotidiano imponderabile.
Rita Pacilio, ben consapevole, si compiace ed ama adagiare il suo essere in un fulgore irreale, nonché soffuso di inusitate tonalità che, in parte, edulcorano quel persistente marchio bruciante. Rimane, infine, quel perenne turbinio psicofisico, intuitivo, trasognante, enigmatico che va sfrondando la sfera del dubbio e s’acquieta nell’onda della Poesia.

Lorenzo Vessichelli

Rassegna stampa - Applausi al Doria di Milano per l'Event Special trio Pacilio Fasoli Colombo

25 novembre 2010

NTR 24 Direttore Editoriale Geppino Grande
Categoria: Cultura&Spettacolo
Applausi al Doria di Milano per l'Event Special trio Pacilio Fasoli Colombo
Al Jazz Club Doria di Milano per l’Event Special
(Direttore Artistico Roberto Baciocchi)
si è esibita Rita Pacilio trio con Claudio Fasoli ai sax e
Massimo Colombo al piano, elettronica.
Rita Pacilio, poetessa e cantante jazz sannita
ha presentato il suo programma artistico
 ‘Jazz in versi’ proponendo alcuni brani del suo
Album ‘Infedele’ edito dalla ‘Splas(h) Records’
di prossima uscita, album i cui testi sono
della stessa Pacilio e sono quasi tutti tratti
dalla sua recente raccolta poetica ‘Alle lumache di aprile’
edita da LetoColle di Michelangelo Camelliti,
che già vanta alcuni premi letterari nazionali.

Rassegna stampa - Applausi martedì al Doria di Milano per l’Event Special trio Pacilio Fasoli Colombo

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Redazione Corriere del Sannio 25 novembre 2010

Al Jazz Club Doria di Milano in occasione dell’Event Special
(Direttore Artistico Roberto Baciocchi) si è esibita Rita Pacilio trio con Claudio Fasoli ai sax e
Massimo Colombo al piano, elettronica. Rita Pacilio, poetessa e cantante jazz sannita ha
presentato il suo programma artistico ‘Jazz in versi’ proponendo alcuni brani del suo
Album ‘Infedele’ edito dalla ‘Splas(h) Records’ in prossima uscita. Alcuni dei brani eseguiti
inseriti nel CD: ‘Mare magnetico’ le cui musiche sono di Massimo Colombo e ‘29’
le cui musiche sono scritte per le parole delle Pacilio, da Claudio Fasoli.
Ricordiamo che i testi dell’Album ‘Infedele’ sono di Rita Pacilio e
sono quasi tutti tratti dalla sua recente raccolta poetica ‘Alle lumache di aprile’
edita da LetoColle di Michelangelo Camelliti, che già vanta alcuni premi letterari nazionali.
Rita Pacilio trio con Claudio Fasoli ai sax e Massimo Colombo al piano e per l’elettronica,
si è esibita al Jazz Club Doria di Milano per l’Event Special con la
direzione artistica di Roberto Baciocchi. Poetessa, cantante jazz,
Rita Pacilio ha presentato il sup programma artistico “Jazz in Versi”
proponendo alcuni brani del suo album‘Infedele’ edito
dalla ‘Splas(h) Records’ di prossima uscita.
Questi alcuni dei brani eseguiti inseriti nel CD: ‘Mare magnetico’
le cui musiche sono di Massimo Colombo e ‘29’ le cui musiche sono state scritte
da Claudio Fasoli per le parole della Pacilio. Ricordiamo che i testi dell’Album ‘Infedele’
sono di Rita Pacilio e sono quasi tutti tratti dalla sua recente
raccolta poetica ‘Alle lumache di aprile (edita da LietoColle di Michelangelo Camelliti)
che già vanta alcuni premi letterari nazionali.

Rassegna stampa - L'artista sannita Rita Pacilio a Milano presenta il suo 'Jazz in versi'

Rita Pacilio
Rita Pacilio

25/11/2010 :: 13:2:58
Il Quaderno.it

Rita Pacilio, poetessa e cantante jazz sannita
ha presentato nei giorni scorsi a Milano,
 insieme a Claudio Fasoli ai sax e
Massimo Colombo al piano, elettronica,
il suo programma artistico ‘Jazz in versi’
proponendo alcuni brani del suo Album ‘Infedele’
edito dalla ‘Splas(h) Records’ in prossima uscita.

Rassegna stampa - Caffe Doria - Jazz Club

al Caffe Doria Jazz Club del Grand Hotel Doria di Milano

Trio Claudio Fasoli, Rita Pacilio e Massimo Colombo

Martedi 23 novembre dalle ore 22,00

vi aspetto!!   Rita

Riflessioni - Facebook è anche Poesia: dialogo poetico nel virtuale

Quando definiamo il virtuale come sinonimo di non reale ci viene difficile definire comunicazione quella che avviene sui network. E’ una contraddizione che sentiamo forte come un ossimoro. Il mondo virtuale è uno spazio fisico che è strutturato in modo simile a quello reale. La dimensione spazio bi-tridimensionale è vissuta come uno spazio reale possibile anche se sono diverse le leggi fisiche che lo governano. Lo spazio virtuale aperto all’informatica o alla mnemotecnica o a quello concettuale non hanno punti in comune con lo spazio immaginario. Le strutture, le relazioni e le forme che vengono istituite al suo interno di norma sono indipendenti dal soggetto che le percepisce come un ‘dato’.
Il nostro alter ego tende a far riferimento allo spazio fisico che già abbiamo nella nostra mappa mentale operando delle semplificazioni che ci fanno costruire situazioni che abbiano valori simbolici importanti e rassicuranti.  Tuttavia è importante sottolineare che si tratta di ‘comunicazione virtuale’ quando l’utente interagisce con altri utenti e non quando fa esperienze individuali e solitarie.
Il romanzo Neuromancer (1984) di William Gibson ci introduce nel mondo del ‘ciberspazio’ che è un luogo di organizzazione e di condivisione delle informazioni digitali. Le informazioni digitali passano in modo immediato da un computer all’altro fornendoci una possibile  prospettiva   per meglio comprendere il passaggio da un generale spazio informativo (per es. la biblioteca) allo spazio concettuale rappresentato dalla rete internet dotato di una propria struttura (McFadden definisce questo stadio pre-ciberspazio) con canali di trasmissione già dati capaci di trasformare le informazioni.
Quando lo spazio virtuale si riempie di utenti che interagiscono tra loro diventa spazio sociale. La stanza della chat è il sistema più noto di spazio sociale ed è quello più frequentato dagli utenti che entrano in contatto attraverso un testo o attraverso la voce o il video con altri utenti disponibili al dialogo.
I sociologi e gli esperti della comunicazione oggi studiano il fenomeno dell’interazione sociale nelle forme e nei modi in cui essa avviene attraverso i diversi avatar scelti dall’utente per l’utilizzo. Il nickname, infatti,  rappresenta un nostro avatar che propone al pubblico quello che vogliamo mostrare di noi e della nostra personalità.
Il mondo Fb è visto e vissuto come uno strumento psicosociale di interazione tra uomini. Le modalità di comunicazione sono diverse da quelle attuate nella realtà e non ci deve sorprendere il fatto di riscontrare sentimenti di ambivalenza riguardo il significato di appartenere ad un mondo che ha la mediazione del mezzo. 
Incontrare l’Altro vuol dire ‘dialogare’ perché alla fonte della scelta del mezzo esiste il nostro bisogno di scambio e di contatto. Le parole in chat spesso diventano emozioni perché la stanza diventa il laboratorio dove ognuno sperimenta se stesso.
Dalle varie esperienze umane raccolte si può dedurre che con un ‘amico’ virtuale si può raggiungere una intesa intima completa e senza pregiudizio. Ci si apre liberamente e solamente quando si scopre che l’altro ‘nascosto’ dietro all’avatar non è come immaginato si comprende quanto il rapporto virtuale è retto da un canale puramente idealizzato.
Anche la Poesia è in rete e tiene in vita innumerevoli blog e siti che regalano, a chi vuole nutrirsi di parole, sostentamento e confronto e che suggellano sentimenti altrimenti conservati in cassetti polverosi. I Poeti in rete non subiscono le problematiche psicologiche sottese ad un rapporto virtuale a due. La Poesia ne esce incolume. Salva ancora. Ama. Si dona. Unisce.

Rita Pacilio



Video poesia - Dimmi che/In breve due Pacilio Colombo (Jazz in versi)

Rassegna stampa -

http://www.corrieredelsannio.it/2010/11/18/rita-pacilio-a-zapping-un-altro-consenso-per-la-nostra-artista-sannita/

Rassegna stampa - Gazzetta di Benevento 18 nov 2010

Benevento, 18-11-2010 08:15
L'angolo della poesia della trasmissione di Radio1 "Zapping"
condotta da Aldo Forbice, dedicato ad una lirica di Rita Pacilio
Il testo è stato tratto dall'ultima raccolta
dell'autrice sannita "Alle lumache di aprile"Redazione
  

  
La trasmissione "Zapping", condotta da Aldo Forbice su Radio1,
ha dedicato l'angolo della poesia a Rita Pacilio (foto) con la poesia
 "Tutta la mancanza di te mi prende", tratta dall'ultima raccolta
 "Alle lumache di aprile", LietoColle Edizioni 2010.
La raccolta di liriche della poeta sannita Rita Pacilio,

edita dall giugno scorso, ha già ricevuto il riconoscimento
di Merito Artistico-Premio Made in Italy S. Agata dei Goti
per l'anno 2010, la medaglia ArTelesiaFestival 2010-
Premio speciale all'autrice Rita Pacilio distintasi
quale migliore Artista Sannita dell'anno,
nonché  la Segnalazione Speciale
della Giuria Sezione Poesia Edita-
Premio Nazionale San Leucio del Sannio 2010.
Inoltre,  il Poemetto inserito

nell'Antologia Poetica
"Nelle mie vene un falò"
(În venele mele o fãclie)
è stato tradotto in lingua rumena da Le Liana Ionesco.
  

Rassegna stampa - Rita Pacilio a Zapping, un altro consenso per la nostra artista sannita

Rita Pacilio a Zapping, un altro consenso per la nostra artista sannita

Scritto da redazione novembre - 18 - 2010   Stampa articolo Stampa articolo
r-pacilioNella puntata del 21 settembre 2010, la trasmissione ZAPPING, condotta da Aldo Forbice su RAI RADIO 1 ha dedicato l’angolo della poesia a Rita Pacilio con la poesia Tutta la mancanza di te mi prende Tratta dalla ultima raccolta ‘Alle lumache di aprile’ – LietoColle Edizioni 2010.
Ricordiamo che la raccolta di poesie della poeta sannita Rita Pacilio edita LietoColle a giugno dell’anno 2010 ha già ricevuto il riconoscimento di Merito Artistico Premio Made in Italy S. Agata de’ Goti per lo stesso anno 2010 e la medaglia ArTelesiaFestival 2010 Premio speciale all’Autrice Rita Pacilio distintasi quale migliore Artista Sannita dell’anno, la Segnalazione Speciale della Giuria Sezione Poesia Edita Premio Nazionale San Leucio del Sannio 2010 e che il Poemetto inserito nell’Antologia Poetica ‘Nelle mie vene un falò’(În venele mele o făclie) è stato tradotto in lingua rumena da Leliana Ionesco.
http://www.gazzettabenevento.it/Sito2009/dettagliocomunicato.php?Id=23015&vcercaCom=&vTorna=elenco.php

Rassegna stampa - 18 nov 2010

R. Pacilio a Zapping

18 novembre 2010

Nella puntata del 21 settembre 2010, la trasmissione ZAPPING, condotta da Aldo Forbice su RAI RADIO 1 ha dedicato l'angolo della poesia a Rita Pacilio con la poesia

Tutta la mancanza di te mi prende.
Gridano i corvi dal tuo tetto
le cose che non restano negli occhi.
Come posso separare l’inferno
indicare il battesimo nudo
ricordare ogni parola scritta
se mi costringo ad avere paura?
Come posso dire i nomi veri
di tutti i peccati nati morti
calati su di noi negli anni andati
se la storia non si fida più di me?

Riflessioni - Solitudine sociale - Spunto di riflessione: se si esce da fb si resta in un deserto? A cura di Rita Pacilio


A fare i conti con la pioggia che batte sulle ginocchia.
Uscire dal polso come un capezzolo morto.
Riempire di nuovo la mano di preghiera
davanti le linee dei gabbiani e i lamenti del mare.
Una grafica fredda nella bocca
che mi presta scarsa attenzione.
L'ultimo bacio.
La croce mi mette alla prova
e si eleva
come una strisciolina nel cielo
una spranga sulla schiena ti posi.
E nemmeno le rane nello stagno sapranno saltare.
Non si impara il ricominciare.
Le membra chiudono la porta della scena comune
i difetti sono sedentari nella stanza silenziosa.
Un sorriso mai avuto te lo dedico adesso.
Si purifica il dono, liberazione dell'ora tiranna
E lo chiama per nome, lo tocca di notte,
lui la scaraventa lontano si levano tardi le nuvole
è lei che non vuol capire la distanza.
Si illude ancora.
E lo ama.
Solo il suono della sua voce
sa ridare la forza
sa portare la brezza negli echi
sa mandare i gabbiani in estasi.
E poi il sole leviga la pelle.
R.P.


Vanda Zammuner, docente di psicologia all'Università di Padova precisa che la SOLITUDINE SOCIALE è l'essere obiettivamente soli, per contro, la solitudine emozionale, il sentirsi soli, può essere vissuta anche in compagnia. Dobbiamo rilevare che c’è chi decide di rimanere da solo e chi è costretto a restarci come per esempio un bambino che perde i propri genitori. La solitudine è ampiamente studiata dalla psicologia e dalla sociologia contemporanea che ultimamente si preoccupa di mettere a fuoco la qualità  e le variabili dei rapporti umani.
Sono numerose le difficoltà della vita per le quali gli italiani provano un profondo disagio emotivo: quelle materiali, come la disoccupazione e la precarietà economica (89%) e abitativa (80%). ma anche psicologiche, come la mancanza di qualcuno con cui confidarsi e la solitudine (80%). Il 70% ritiene infatti che negli ultimi anni nel nostro Paese la condizione di solitudine sia «dilagata». Un italiano su 4 ha provato in modo non raro l’esperienza della solitudine, mentre 3,9 milioni si sentono spesso o sempre soli: tra questi single, ultra54enni, persone con bassi redditi e con scarsa istruzione, residenti in grandi città. L’analisi dei dati locali indica che Milano è la capitale della solitudine, l’area metropolitana dove le persone si sentono più sole.’ (Corriere della sera 27 maggio 2008).
Leggevo su internet che ‘la  SOLITUDINE SOCIALE si esprime nella difficoltà a collocarsi nella società, per cui ci si sente fuori posto, non accettati e riconosciuti, o addirittura esclusi e rifiutati dagli altri’. Questa affermazione lascia spazio a considerazioni. Credo che le persone che si trovano in comunicazione sia fisica che virtuale con il mondo possano vivere realtà di equilibri instabili dove si provano incertezze e dubbi e dove è facile passare dalla speranza allo scoramento. E’ il bisogno di appartenenza, il riconoscimento della nostra identità nell’altro che ci spaventa. Il filosofo francese Jaques Deridda parla di Io ospitale, quel luogo in cui trovare ascolto e aiuto. Ma abbiamo paura di essere vulnerabili, vorremmo aprirci con tutto noi stessi senza volerci sottoporci al giudizio degli altri perché temiamo il rifiuto e la derisione delle nostre emozioni. Entra in ballo il difetto dell’autostima: siamo convinti di non essere amati. Nascondiamo la profonda insicurezza nelle nostre risorse; ferite che spesso hanno origini nell’infanzia. Quando diciamo ‘nessuno mi vuole bene’ stiamo chiedendo amore ma in termini negativi: la nostra è una domanda passiva che sfocia nel vittimismo in cui sappiamo bene che manca la reale volontà di mutare le cose. Equivale a dire che è un difetto d’amore. Spesso quando manca l’amore in famiglia, specie quando si è in età evolutiva, viene a mancare ‘il sentimento significativo che ci garantisce l’equilibrio per corazzarci contro l’indifferenza degli altri e le sconfitte che la vita ci riserva’ (Nessia Laniado terapeuta familiare che conduce seminari in Italia e in Israele).
  • Dietro alla sensazione di non essere amato o accettato socialmente può nascondersi anche un forte egocentrismo o una sorta di componente narcisistica che riversa sugli altri la colpa (Vania Crippa). Infatti ci spiega la Prof.ssa Laniado che ‘Si tratta di persone che interpretano tutto in rapporto a sé’. Per loro essere amati significa ‘essere i più amati’. A questo proposito Saccà precisa ‘ Se ricevono un rifiuto procedono per deduzione – ‘se non mi vuol bene una persona vuol dire che non mi vuol bene nessuno’ – Questa è una vera e propria protezione inconscia. Infatti è più facile pensare che siano gli altri incapaci di amare che non essere noi amabili. In questo modo è più semplice scaricare il senso di responsabilità.
  • Dietro alla sensazione di non essere amato o accettato socialmente possiamo rilevare anche un eccesso di amore. Se i genitori offrono ai bambini troppe attenzioni possono paradossalmente incidere negativamente condizionando la loro relazione affettiva con gli altri. Da adulti si pretenderà lo stesso immenso affetto che si è ricevuto da piccoli restando sempre delusi quando in realtà non lo si potrà ricevere. Si finisce così con lo spaventare l’interlocutore trovandosi sempre da soli.

Ma non solo. I problemi sociali sono tanti e a maglia larga.

Mi viene in mente ‘Milano non esiste di Dante Maffia Edizioni Hacca:  «Ritornare al paese con la famiglia». Lui ritornerà. La moglie e i figli no. L’operaio spera nel ripensamento dei suoi: «Ho fiducia che prima o poi torneranno sui loro passi e mi seguiranno. Ho dimostrato a tutti di non avere sbagliato mai, di essere rimasto sempre dentro il solco giusto. Anche questa volta sono nel solco giusto, voglio salvarli dalla peste che circola all’ombra del Duomo. E poi lo so, avranno un guizzo d’orgoglio, sentiranno il richiamo del padre, di ciò che gli ho sempre dato, dell’amore che ho avuto per loro. Queste non sono cose che si perdono così, senza una ragione, o per motivi futili».
Altre considerazioni legate al concetto ampio ed esteso di solitudine sociale.
Come la tolleranza. Ma mi sposterei oltre. Oscillo tra la tolleranza passiva vissuta come debolezza e permissività e tolleranza formale, in funzione del rispetto delle regole. Ma mi fermo alla tolleranza comunicativa: quella che riguarda il dialogo comprensibile e che si indigna ancora di fronte allo scandalo provocatorio ed immorale del valore morale violentato. Mi fermo alla tolleranza irrisolta in me stessa. Alla scelta del limite del rispetto umano. E mi fermo, sì mi fermo qui. ‘Milano non esiste’

            E poi passo alla comunicazione virtuale. Il mio ego.com e due anni fa sono partita su facebook. I miei pensieri, le mie foto, i miei ricordi, i miei amici. Mi sono raccontata in imperativi sempre più contagiosi. Mi sono aperta al mondo e credevo che il mondo mi si aprisse. Il sociologo Francesco Morace che studiava la comunicazione attraverso i social network mi insegnava che aprire uno spazio in internet, come un blog, una pagina web, un sito, è come ‘lasciare un segno, vivere da protagonisti e allo stesso tempo, fare parte di una comunità’. Ecco: ‘fare parte di una comunità’. Ho creduto di intessere discussioni e relazioni umane vere con ‘persone’. Sì sono stata infantile, a detta dei miei figli, che continuano a sorridere quando ascoltano i miei commenti emotivi! Sentivo, però una forte emozione quando regalavo la mia anima attraverso le ‘note’. Lasciavo risuonare dentro di me la musica delle parole che inserivo nello stato di ogni giorno; me ne nutrivo. Poi una sera la decisione di andare via. Credevo fosse una pausa. Poi in pochi minuti la decisione definitiva. Devo essere sincera fino in fondo: in realtà stavo scappando da un dolore, ma adesso quel dolore lo amo. Mi ha salvata. Mi stavo smarrendo lungo una strada solitaria e buia, e proprio quel dolore mi ha portato indietro. Avevo bisogno di ascoltare i miei pensieri. Li stavo dimenticando. Non sentivo più il loro suono. Ho cercato la solitudine, forse meglio dire il silenzio. Mi mancava il movimento del mondo dentro di me. L’ho trovato. E fuori fb c’ero io ad aspettarmi.

E’ possibile spostare l’asse di riferimento e trovarsi così di fronte un altro mondo. Ed ecco le infinite vie di uscita. Spogliarsi di tutte le sovrastrutture, di tutti i condizionamenti. La solitudine può diventare una carta vincente, la paura una risorsa, la fragilità una ricchezza. Questo è l’universo che abbiamo dentro. Questi sono gli strumenti per camminare con fiducia e con la consapevolezza di sé.


Rita Pacilio

Musica e spettacolo - Concerto jazz Roma 2009

Fotografia e Arte pittorica - Ex libris di Roberto Matarazzo 'Tra sbarre di tulipani' Rita Pacilio - LietoColle

Fotografia e Arte pittorica - Ex libris di Roberto Matarazzo 'Ciliegio forestiero' Rita Pacilio - LietoColle

Video poesia - Rita Pacilio e Claudio Moica - Volerti

Fotografia e Arte pittorica: contaminazione di Roberto Matarazzo

Traduzioni - R. Pacilio tradotta in rumeno da L. Ionesco

http://www.lietocolle.info/it/r_pacilio_tradotta_in_rumeno.html


R. Pacilio tradotta in rumeno da L. Ionesco

15 novembre 2010

Nelle mie vene un falò

În venele mele o făclie


Tratto da

Alle lumache di aprile

Melcilor de aprilie

LietoColle
di
Rita Pacilio

 (Testo tradotto in lingua rumena da Leliana Ionesco
Text tradus in limba romăna de Leliana Ionesco )




I Parte

Sugli occhi un brivido è sceso
come l’acqua si increspa al vento
e dalla bocca miele.

Mi hai ripetuto
‘Perché piangi bambina adorata?’
Stavolta sorridendo me l’hai detto.

Ritrovo il respiro dell’anima
nei baci assetati
e maledico nettare e pene.

Ogni sera arriva sul mio letto
l’angelo malefico
spietato versa fuoco sul mio seno.

Con le ali asciuga le lacrime
divora pezzi di me
si quieta se tendo arco e frecce.

Intona canti stonati nel petto
intreccia i capelli alle spine
e mi benda gli occhi.

Mi trascina lontano
in un bosco profumato di menta
questa è l’ora se vedo la morte.

‘Fammi la grazia’ prego
ma nelle sue mani resto curva:
sono destinata alla vecchiaia.

Tu vuoi le ghirlande del piacere
sbocciate nei giardini
rose fiorite di sangue vergine.

‘Crudeltà sei porpora!’
come la matrigna della Natura
mi spandi sulle foglie della rosa.

I Parte

Pe ochi un tremur a coborît
ca apa încretita de vînt
şi din gură miere.

Mi-ai amintit
‘Dece plîngi copilă adorabilă?’
De astă data mi-ai spuso surîzînd.

Regăsesc răsuflarea sufletului
în sărutul însetat
si blestem vinul si suferinţele.

În fiecare seara pe patul meu se-aşează
îngerul răufăcător
pe sînul meu fără de milă vărsîndu-şi focul.

Cu aripile usucă lacrimile
de vorînd bucăti din mine
se linişteste bacă întind arcul cusăgeata.

Intonează căntece false în piept
îmletind părul în chip de ghimpi
a coperindu-mi ochi.

Mă tîrăşte departe
într-o pădure cu parfum de mentă
asta-i ora dacă văd moartea.

‘Fă-mi favoarea‘ terog
dar în mîinile sale rămîn îndoită:
sunt destinată îmbatrînirii.

Tu vrei ghirlande de plăcere
înmugurite în grădini
trandafiri înfloriţi din sînge virgin.

‘Cruzime eşti sîngerie!’
Ca mama vitrea a naturii
ma-mprâştii pe frunzele de trandafir.




II Parte

Mi giunge nella sera tarda
ricompare profeta
intende essere compagna musa.

Riconosco l’odore
e dò un nome al suo volto chiaro
mentre mi tengo in petto il cuore.

Tutte le offese che fanno male
restano sui tigli addormentati
era marzo o aprile.

Era sapore di bucato fresco
stanca e stancata
donavo notti arrossite di me.

Non muore il tempo quando mi prendi
se disperdo inchiostri
se dolci pene trasformo in canti.

Sono cicala dalle ali grandi
con stelle agli occhi
e ai piedi canneti senza fine.

Salgono le speranze
se riesco a scacciare i diavoli
così mi scucio la camicia bianca.

Come finestra sulle erbe pane
apro il mio sangue
mi somiglia la luna rovesciata.

Ripetimi i colpi del bastone
avanti e indietro
io sono tamburo di percosse.

Quando ero cavalla
conoscevo lo sperone pungente
così alzavo il collo ai morsi.



II Parte

Vine la mine în amurg
reapare profet
pretinzad să-mi fiemuza.

Recunosc mirosul
si dau un nume chipulvi alburiu
în timp ce-mi ţin inima-n piept.

Toate jignirile care rănesc
rămîn pe teii a dormiti
era martie sau aprilie.

Era miros de rufe curate
obosită şi vlăguită
dăruiam nopti înroşite de mine.

Nu moare timpul cănd ma îmbrâţişezi
dacă împrăştii cerneluri
dacă dulci suferinţe în cîntec.

Sunt greierul aripile mari
cu stele în ochi
şi la picioare stufăris fără sfîrşit.

Cresc speranţele
dacă reusesc să strivesc diavoli
aşa-mi descos cămaşa albă.

Ca o fereastră spre ierburile moi ca păinea
deschia sîngele meu
îmi seamănă luna răsturnată.

Repetă-mi loviturile de baston
înainte şi-n spate
eu sunt tambur de lovituri.

Cănd eram iapă
cunoşteam pintenul înţepător
aşa înălţam gitul muş căturilor.



III Parte

Come cigno dipinto sul lago
spingi fino all’indaco la sera
e ti faccio entrare.

Ascolta il trotto dei miei piedi
sui fili di acqua
tutti mi credono bocca di mare.

Nessuno sa questo tarlo al polso
nessuno vede fino al mattino
cosa dice il fuoco.

Somigli all’angelo
che controvento piange sulle piume
con te è facile tessere sponde.

Con te diventa facile sparire
nella stella che cade
e uno sente dolore altrove.

La notte non è una sola volta
torna domani viva
perché non si distrae.

La Madonna si riveste farfalla
nell’aria muove piano
i cancelli che stanno in me e in te.

Da te ricomincia la sua regola
l’ultima simmetria
l’unica donazione trasparente.

Se mi vesto vedova
sotto le palafitte dell’anima
non ti voltare a piangere i lutti.

Non mi obbligare la direzione
e quando si annoda la tempesta
tu chiedimi perdono.



III Parte

Ca o lebădă desenată pe lac
împingi pănă la liliachiu seara
şi te las să intri.

Ascultă tropăitul paşilor mei
pe firul apei
tuţi mă cred gură de mare.

Nimeni nu cunoaşte patima care-mi roade pulsul
nimeni nu vede pănă dimineaţa
ce spune focul.

Te a semeni îngerului
care în bătaia vîntului îsi plînge pe aripi
cu tine-i uşor să teş ţărmuri.

Cu tine-i uşor să dispar
într-o stea căză toare
simţind durerea în altă parte.

Noapte nu-i doar o dată
se-ntoarce mine vioaie
pentru că nu se distrage.

Madona se-mbracă în fluture
şi-n aer miscă încet
porţile ce sunt în mine şi în tine.

De la tine începe regula ei
ultima simmetrie
unica dăruire transparentă.

Dacă mă îmbrac ca o văduvă
sub palafita (*) sufletului
nu întoarce spatele să plingi doliul.

Nu-mi impune directia
si cănd se învălmăşeşte furtuna
tu cere-mi iertare.

*(palafita= locuinţă lacustră)

Recensione - Prefazione di Adelio Rigamonti a 'Alle lumache di aprile' - Lietocolle' 2010

Prefazione



“Alle lumache d'aprile” di Rita Pacilio si presenta in due parti distinte: una ricca silloge e “Nelle mie vene un falò” un breve e serrato poemetto in terzine. La due parti sono contenute, se non addirittura trattenute, da due brevi elevate prose d'arte, che oltre a determinarne confini contenutistici ed estetici mi sembrano esaudire la funzione di una sorta di quinte entro le quali si svolge la narrazione per “dissonanti intuizioni”  del tentativo di ricucire i pezzi, “i cenci”, di una solitudine quasi senza rimedio che cerca consolazione, in molti versi addirittura identificazione passionale, sensuale e appassionata nella poesia stessa.

            Silenzi brevi... silenzi strappati
            come cenci, smarriti.
            E che nessuno sappia quando li ricucio
            alla pareti nel brusìo della preghiera.

Per tutta la raccolta Rita Pacilio sembra indicarci continuamente come la poesia possa, se non addirittura debba, essere gesto riparatore del peccato, quasi mieloso che spesso ci compiace,  che ci portiamo addietro, più o meno consapevoli, fin dalla nascita, da quel “battesimo nudo” che torna esplicitamente o implicitamente in molti suoi versi.
Solo la poesia può fornirci il lavacro salvifico (“l'acqua pia”) dalle nostre impurità, la solitudine dell'umano può affrancarsi solo nella poesia.
Nei versi di Rita Pacilio si ha spesso la sensazione di trovarci all'interno di un dialogo serrato con un “tu”, a volte asessuato, forse meglio neutro. Un tu che è quasi sempre assai facile ricondurre, dunque, alla poesia stessa, ma in questa mai si restringe o chiude anzi apre un percorso introspettivo che si dipana sul filo di, ripetendo quanto già affermato all'inizio,  di dissonanti intuizioni,  che credo siano l'indispensabile passe- par-tout per avvicinare e comprendere la poetica di Rita Pacilio.
Nel leggere “Alle lumache d'aprile” al lettore potrà apparire d'essere assalito da numerosissime quartine, che lo imbarazzeranno e lo ingabbieranno con stilemi al limite della ricercatezza con azzeccate e studiate cadute di tono,  tra lirismo e recitativo.

            Mi hanno messo le ali in petto
            per invecchiare la solitudine
            e per sbiadirne i lividi
            adesso sto sul balcone a cantare.

Rita Pacilio si muove dunque tra fughe che rasentano l'onirico e ritorni concreti al quotidiano (“adesso sto sul balcone a cantare”). Ritorni spesso liberatori più delle fughe. Magari, come nel verso citato per me assai riuscito, supportati da opportune ostinate assonanze.
I versi di Rita Pacilio sono per lo più endecasillabi forti, ritmicamente evocativi, anche nella loro impurezza metrica. Il rifiuto sistematico della sinalefe nel computo delle sillabe, con un conseguente arretramento degli accento, diventa, a mio avviso una sorta di firma stilistica dell'autrice.
Il lettore si trova immerso in un poetare che piace e compiace e che favorisce l'approdo a contenuti onirici.

            Sono una fogliolina di menta
            finita quassù tra nubi di pesci,
            che non so dirti il rombo silente.
            Le lische hanno i miei petali.

In questa quartina gradevolissimi, nei versi secondo e terzo,  sono  i giochi di parola e i rimandi di significati. Entrambi i termini dell'ossimoro “rombo silente” si riferiscono al termine “pesce” del verso precedente.
La scelta di trasmettere la propria poetica quasi esclusivamente in quartine è significativa, in quanto la quartina è la forma poetica più frequentata dalla poesia europea da sempre ed è da sempre stata considerata come l'approdo più facile all'acquisizione d'un contenuto, d'una poetica.
Una poetica, per concludere, calata in un poetare forte e sicuro sviluppato con padronanza sintattica e con una spiccata propensione armonica, che svela la seconda metà di Rita, spigliata musicista e interprete jazz.

Adelio Rigamonti