Intervista - Rita Pacilio si racconta a L'EstroVerso (13 marzo 2013)
Potrei ricondurre la mia struggente voglia di conoscere anche l’inconoscibile e il mio grande desiderio di catturare l’effimero, che spesso è pervaso da un destino illusorio e di apparente splendore, che mi porta a impiegare il mio tempo in modo frenetico, a molti motti latini come Carpe diem, Nulla dies sine linea. La gioia di procedere nella crescita culturale come sociologo, poeta, scrittrice, musicista nasce dalla esigenza incalzante di superare i miei limiti, di amplificare le mie idee del mondo. Ho necessità di avere confronti continui con l’esterno, che irreparabilmente muta, per essere pronta verso la proiezione del futuro, che inevitabilmente trasforma le cose. La mia formazione, psicosociologica, mi spinge ad avere visioni empatiche degli altri esseri viventi: sono attratta quasi inconsapevolmente da scene spossate e in tensione verso sfumature sempre più in bilico e dolorose, estreme. L’orfanità, il dolore, l’abbandono, il corpo ferito dall’imperfezione, i sentimenti di angoscia e di solitudine psicologica e sociale sono i temi dominanti attraverso cui passa la mia parola che spesso, attraverso la metafora espressionistica e surreale, denuncia la tragicità del reale. Parlo della vita e della morte, della coscienza e della fragilità del mondo, della carne e dello spirito, dell’inizio di noi stessi e del ritorno alla contraddizione che siamo utilizzando la parola poetica come l’urlo e la denuncia a non declinare il mondo secondo gli stereotipi. È un libro che mi è costato uno scavo interiore. Ho denudato la mia rintracciabile fisicità per allinearmi allo schema dello sdoppiamento mentale e di coscienza al fine di poter osservare, con il terzo occhio, la libertà del vagabondare plurimo e legittimo della mente umana di fronte allo straordinario e difficile mondo dell’incoscienza. Ho incontrato nel mio peregrinare il lago di Nemi, un lago vulcanico, con cui mi sono identificata per la profondità tenebrosa ed evocativa che la sua immagine suscita a me e a molti visitatori. Le strade limitrofe con le prostitute giovanissime di colore, che delineano l’imperfezione sociale, hanno rappresentato il primo contatto con cui la mia persona si è trasformata in un viaggiatore solitario ed eterogeneo. Sono nata a Benevento nell’estate del 1963, quasi cinquanta anni fa e sono la terza di sei figli. Ho imparato a utilizzare la poesia come unico rifugio per proteggermi dalle difficoltà che la vita mi ha riservato. Il senso di solitudine e di separazione, insorto a soli nove anni, dopo la morte prematura di mio padre e alla malattia di mio fratello, hanno abitato da sempre la mia scrittura poetica, seguita e presto invogliata dalla mia maestra delle scuole elementari che mi ha guidata, nei primissimi anni del mio percorso culturale, verso le letture di Ada Negri e Aldo Palazzeschi. Gli incontri importanti, per la mia crescita nella conoscenza e poi nella scrittura, sono avvenuti grazie ai libri che ritengo restino la manifestazione più propositiva per l’apprendimento istantaneo capace di avere prolungamenti spaziotemporali e germinativi. Oggi è molto complicato fare poesia. Lo stile “creative writing” proposto dalla poesia americana ha portato la scrittura verso uno stile scevro da forme retoriche utilizzando l’andare ‘a capo’ e l’assenza di punteggiatura o la sospensione della spaziatura del foglio, come una nuova forma di fare poesia. La legittimazione, da parte della critica moderna, a ‘fare poesia’ in questi termini, ha incrementato la nascita di nuove Case Editrici, di laboratori di scrittura creativa e di salotti letterari utili a diffonderne la produzione senza dare valore al vero talento letterario che si disperde nel caos dei cataloghi. Il momento di crisi economica, nazionale e mondiale, ha avuto una forte ripercussione sul mercato editoriale e di conseguenza coloro che sono stati pubblicati, naturalmente a pagamento, si sono sentiti, a pieno diritto, poeti e non autori: credo che qui, nei due termini, ci sia la grande e sostanziale differenza. Il Poeta, quello con la P maiuscola, oggi, come sempre, ha il compito di educare gli esseri umani alla rivelazione dell’essenza del possibile. La poesia deve avere il compito fondamentale di comunicare, come cassa di risonanza, che il codice simbolico del mondo è un lascito di un varco creativo e benefico delle vicende umane che universalmente riguardano le singole esistenze. La poesia nasce dalla realtà per poi disgiungersene in modo semplice, quasi come per creare una seconda coscienza, per erigere una distanza che discenda dalle cose stesse. Il poeta deve essere visionario e attento conoscitore degli innesti inquieti che, implacabile, la vita riproduce con spontaneità, senza debolezza. Per me la poesia resta motivo di introspezione del mondo. L’uomo deve tendere al senso più profondo e sfuggente della vitalità e della morte delle cose per entrare nel mistero del cosmo, in sintonia con l’altro da sé e bisogna ricostruire in noi emozioni meno ciniche da comunicare al TU – MONDO. Sono convinta che ogni emozione galleggia nelle vene del nostro corpo: siamo un corpo fatto di sentiti. L’anima, quindi, ci parla attraverso le sensazioni fisiche permettendoci di conoscere il ‘valore adattivo’ di noi stessi nella immediata percezione del sentimento come sentito e come vissuto concretamente.
Si increspa il lago di Nemi
in un gesto di doloroso silenzio
a vederlo mordere nuvole
l’affanno arriverebbe in cima.
Salgono visitatori
in una strada scoperta riaffiorano
in mezzo alle piante
ragazze di colore nude a metà
pascolano paure
e cosce raggelate. E fissano
l’inquieta luce della sera
come fosse un contatto.
Chiedo perdono al mondo/ come lo chiedo a te/ per il mio
peregrinare stanco/ per l’urlo muto/ per la corsa che mi
affanna e dice./ Il destino è un cerchio senza fine.
***
Il primo atto rende muta l’anima
lembo senza sonno falciato dal nulla
lascia ritornelli tra fili di ulivo
ad ogni ora raschia la raganella.
Sale con cura l’azzurro elementare
ti aspetta davanti al cancello
espandendosi come sterile lago
emergono occhi di piogge rifratte.
Non è possibile fermarsi a cena
alle sette il sonno li seleziona
diventano un ronfo lucidato
pochi volatili virano a cerchio.
Sul pavimento cadono strani odori
nel cestino non c’è carta ma lingue
sparite regole, maschere e lacci
l’ossigeno di notte non fa vento.
Sono loro quella composta di cose
che ha intristito la vita ai giusti
il falco pallido sul collo
costole che non erano previste.
Loro sono lì, nel posto più lontano della solitudine.
***
Verso nord-ovest aumenta la scogliera
si arrampicano le acque
dove si posa la clemenza
le alghe consegnano umori tra dita.
Convulsi baci a pieni polmoni
all’abisso che rimane tra i denti.
I folli hanno labbra di rosa vermiglio
ginocchia conficcate nella gola
quelli del primo piano chiedono l’ora
collezionano dossi per l’inverno.
Scrivono sui marmi con il trucco
e sbavano meduse sul mento
quelli del secondo piano tremano
il morbo che cresce nell’addio.
***
Sputa i suoi drammi
coi colpi di tosse
per gioco, per amore
scorie sottili nelle mani esibite
è latente lo scontento sulle spalle.
Gli imperfetti sono gente bizzarra
lasciati nell’arena, non so dire esattamente,
come un silenzio, un ghigno.
Ho pensato che Dio ama l’insicurezza
e le sfumature dei dirupi.
Io mi trovo qui dove non si torna indietro.
***
La spalla è soglia di disordine
spazio devastato da piccole grida
cadono a mille petali e cespugli
nella gabbia vuota delle ossa.
I palmi sudici rubano erba
all’alba pettinano oche nere
si prolunga l’impasto degli odori
le fronti sembrano piume insidiose.
L’intervallo gonfia il labbro chiuso
è un coltello che segna la fessura
a nessuno piace la camicia di forza
nemmeno a chi è un lurido pazzo.
Nei sotterranei dormono larve
il collo e il fumo con la terra sotto
la gara, il gioco e il suo contrario
esce dagli occhi lo schermo gigante.
La Madonna nel ritratto è tranquilla
è la madre delle madri che stanno
nel sottoscala la voce di Alfonso
mi entra nella mano tutta intera.
(con due cipolle che porta al collo).
***
I suoi amici hanno le ali sotto
la maglietta
alcuni hanno la testa nei sotterranei
e con le mani consegnano fogne
come fossero baci convulsi
abbracci miti, girano
la lingua di un sorriso, implorano
risposte alla sorte e alla pietà.
Hanno un amore negli occhi
un presentimento di attesa
una polvere pronta a sparare
una febbre.
Noi dispiaciuti li guardiamo enigma senza soluzione.
Rita Pacilio è nata a Benevento. Sociologo, autore in poesia, scrittore, collaboratore letterario si occupa di poesia, critica letteraria e di Vocal jazz. Pubblicazioni: * “Luna, stelle…e altri pezzi di cielo”; Edizioni Scientifiche Italiane – Prefazione Felice Casucci - anno 2003 *. “Tu che mi nutri di Amore Immenso” Silloge Sacra Nicola Calabria Editore (Patti, ME) Prefazione Padre Domenico Tirone settembre 2005 *. “Nessuno sa che l’urlo arriva al mare” Nicola Calabria Editore (Patti, ME) Prefazione Felice Casucci settembre 2005 *. “Ciliegio Forestiero” LietoColle collana Erato maggio 2006 *. “Tra sbarre di tulipani” LietoColle collana Aretusa giugno 2008 *. “Alle lumache di aprile” LietoColle collana Aretusa giugno 2010 prefazione A. Rigamonti e postfazione G. Linguaglossa *. “Di ala in ala” (Pacilio – Moica) LietoColle collana Aretusa febbraio 2011 Prefazione Dante Maffia.*. “Non camminare scalzo” Edilet Edilazio Letteraria – Prosa poetica - Prefazione Raffaello Utzeri e nota critica Giorgio Linguaglossa 2011 *. “Gli imperfetti sono gente bizzarra” La Vita Felice 2012 – Prefazione Davide Rondoni. Discografia: ‘Infedele’ Splasc(h)Records.
Web site: www.ritapacilio.com - email: ritapacilio@gmail.com
http://www.lestroverso.it/?p=2105
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