Recensione - Rita Pacilio su 'Lo zinco di Maurizio Landini - Marco Saya Edizioni 2012




 
Lo zinco
di Maurizio Landini – Marco Saya Edizioni 2012
nota di Rita Pacilio

Ogni libro di poesia comincia a definirsi dal primo verso e, per farsi armonioso e pieno di tensioni poetiche, dovrebbe restare integro nel valore significante fino all’esperienza estetico/emotiva dell’ultima riga. Questo accade per Lo zinco opera di Maurizio Landini, edita da Marco Saya Edizioni 2012. La sequenza dei versi costituiscono un’ ossatura di una colonna vertebrale poetica che avanza lenta e in modo inesorabile verso un’espressione asciutta e saramaghiana che fa vibrare la parola e il suo senso. L’autore non guarda alla vita in modo timoroso o negativo, ma ne osserva la sopravvivenza, vive con ulteriore semplicità, ciò che rimane oltre come conseguenza di attesa, dell’organica materia, rispetto all’inorganico in decomposizione. Eppure ciò che si chiude al mondo si trasforma ulteriormente in altra forma vitale: è la storia della poesia che rinasce, si ripete ed entra in allegoria con l’universo intero. Sembra che il tempo trascorra in relazione all’inesorabilità di un dolore dilatato nell’intimo comunque attraversato da una combinazione di rassegnazione e capacità di movimento naturale verso la vitalità,  verso tutte le forme di energie possibili. Ci vuole molta esperienza e molta consapevolezza dell’abisso per arrivare ad articolare imperativi razionali e forze emozionali continuamente declinate verso la nudità del mistero della morte! Tuttavia Torneranno vivi gli amori tenebrosi/che in mezzo agli anni lasciarono/una spina, torneranno, torneranno luminosi. (Milo De Angelis - Tema dell’addio)



 Maurizio Landini (Ancona, 1972) scrive poesie dal 1986; ha esordito nel 2011 con la silloge Permanenze lontane, per Edizioni della Sera. L’anno dopo è uscito l'e-book Esacerbo (Maldoror Press); sempre nel 2012, Marco Saya Edizioni ha pubblicato il libro Lo zinco. È creatore e curatore del progetto di poesia e immagine Versigrafìe.

Recensione - Salvatore Sblando su 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' di Rita Pacilio - LVF 2012





“GLI IMPERFETTI SONO GENTE BIZZARRA”
Rita Pacilio LVF 2012
nota di
Salvatore Sblando

E’ difficile riconoscere il senso vero
della poesia senza che lo stesso non
cada in facili stereotipi, inutili retori-
che, fuorvianti arcaismi, quando di
fronte ci si trova una silloge compo-
sta da non più di trenta liriche.
Nell’ultima raccolta di Rita Pacilio
“Gli imperfetti sono gente bizzarra”
edita da La Vita Felice, articolata in
ventotto testi, è possibile riconoscere
uno dei tratti distintivi di Poesia:
l’attimo.
Attimo personale, che diviene fonte di
riconoscimento singolare del lettore;
attenzione, non un immedesimarsi,
né un fare proprio il sentimento
altrui, quanto un vestire a sé il tempo
dell’autore.
Una poesia che diviene azione, incon-
tra il prossimo -il lettore in questo
caso- e gli fa vivere un percorso mai
del tutto privato, che avviene nella
trasfigurazione dell’esperienza vissu-
ta dall’autrice con l’unico vero perso-
naggio chiamato per nome, Alfonso.
“Alfonso ha le ali di angelo bianco/
due voli che si moltiplicano/ come non
ho mai visto fare all’onda/ un rotolare
nel fondo del sonno.”
Una raccolta, questa prefata da
Davide Rondoni, che vive di vita pro-
pria, in un dolore vissuto in maniera
transitiva attraverso il dolore altrui:
“Se sotto le foglie c’è il resto sordo/
anche l’altro tempo canta bugie/ le
scale di Montale sono ripide/ grattano
fino alla polpa bianca”.
Lo spazio del dolore per Rita Pacilio è
fonte di ispirazione e fra gli imperfetti
prende le sembianze di un lago e di
un luogo dove non sembrano esserci
vie d’uscita: “Si increspa il lago di
Nemi/ in un gesto di doloroso silenzio/
a vederlo mordere nuvole/ l’affanno
arriverebbe in cima”. Oppure “Sui
boschi la luna torna a Nemi/scivola
trasparente dai canali/ e sembra una
sposa innamorata/ ti rimbalza addos-
so senza piedi.”
Una poesia-sorella, come l’ha definita
Davide Rondoni nella prefazione, che
accomuna ed avvicina alla magia poe-
tica in maniera casta e dove la pietas
è vissuta attingendo al pieno significa-
to etimologico del termine, di devozio-
ne, amore e rispetto.
Dal punto di vista prettamente stilisti-
co in questa raccolta l’autrice abban-
dona quasi completamente la suddivi-
sione delle stanze in quartine e la
struttura endecasillaba del metro, -
tratto quest’ultimo, distintivo delle
sue precedenti pubblicazioni - per
concedersi ad una fusione quotidiana
quanto evocativa e libera del verso,
solo all’apparenza vicina a quella che
comunemente e troppo spesso in ma-
niera frettolosa, viene classificata,
poesia intima al femminile. “
E’ un morso prudente l’oscurità/ un dise-
gno fatto di assenze./ Si denuda
l’incavo della spalla/ svuotato dalla
mano/ come un gheriglio/ una
lumaca.”
Gli imperfetti di questa silloge
dunque, non sono soltanto gente biz-
zarra ma persone che si fanno poesia
e che l’autrice chiede di incontrare in
quella eternità che dura poco.
Stili poetici e di vita che fanno propri
in maniera forse inconsapevole
anche gli insegnamenti sociali del
noto esponente politico-intellettuale
altoatesino Alexander Langer, e
rispondono ad una delle tante
quanto semplici e mai banali doman-
de che lo stesso ha rivolto a tutte
quelle persone che nel corso del suo
agire, hanno partecipato alle diverse
iniziative organizzate in ambito di
diritti umani, pace e convivenza
civile: “Passeresti il tuo tempo con
coloro ai quali fai solidarietà?”.

 http://www.cooperativaletteraria.it/images/periodico/05/Salvatore.pdf

 http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-s-sblando-per-r-pacilio-1029.html







Recensione - Rita Pacilio su 'Il mondo intorno' di Mariolina De Angelis

Il mondo intorno
di Mariolina De Angelis – La Vita Felice 2012
nota di Rita Pacilio

Sono spazi di inesistente nostalgia gli attraversamenti sapienti del mistero della fiaba calata nel giardino della quotidianità che Mariolina De Angelis propone al lettore nel suo lavoro in versi Il mondo intorno edito LVF 2012. Si rivelano, con audacia e autentico sguardo alla eterogeneità dell’intimo e dell’immagine fuori dal sé, le innumerevoli figure che registrano la padronanza della molteplicità cosmica. De Angelis conosce bene l’immaginario e il linguaggio del mondo per questo si esprime in tensione verso una scoperta che mira alla natura come metafora narrabile i fenomeni umani, vitali.  La sensibilità è costantemente declinata all’ascolto della grazia della poesia e dei poeti perché è nella parola che l’autrice trova il destinatario della riconoscenza carismatica, la gioia in cui si compie il miracolo della vita e della sua evoluzione. Così le parole portano un segno, un suono e un segreto che trasmettono con coraggio lasciando al lettore la comprensione ambivalente del significato e dell’energia con cui esse si insinuano nell’universo. Spesso la parola vuole esprimersi senza lingua, ma attraverso immagini o suoni. Non per questo perde la sua potenza comunicativa, il suo prodigio celebrativo. Il mondo intorno è un testo che va ascoltato o meglio, immaginato, perché si svela, nel suo significato, attraverso parametri spirituali, atemporali. Le analogie tra la vita irreale e la realtà riescono a celebrare le forme e le sostanze dei sentimenti raccontando esperienze vissute senza aprire ampi luoghi intimistici. I rimandi a poetesse russe o all’estetica romantica annichilisce la mente a procedere oltre. Ecco perché, a livello cerebrale, molti passaggi vengono posti, volutamente, in una voragine senza forza. A volte dobbiamo cedere alla tentazione che il mondo, intorno a noi, non è l’estrema condizione.

 http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-r-pacilio-per-m-de-angelis-1132.html


Recensione - Alessandro Ramberti su 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' di Rita Pacilio - LVF 2012

 

 

Su Gli imperfetti sono gente bizzarra di Rita Pacilio

La Vita Felice, 2012, prefazione di Davide Rondoni

nota di lettura di AR

La nuova raccolta di Rita Pacilio ci accompagna con visionaria empatia nel mondo del disagio mentale: i versi compongono frammenti di universi paralleli eppure sempre agganciati (magari per minima intersezione) alla cosiddetta realtà che si scopre sempre costellata di buchi neri, di aree di  mistero, di desiderio (c'è come una domanda che punta ad extra e nasce da una imperfezione latente e direi necessaria alla crescita, alla trasformazione, alla disponibilità, alla solidarietà). Consideriamo alcuni passaggi in un cammino a ritroso: «“Come ti chiami?” urla l'altro imperfetto / la ridicola ironia esala lampi. / (…) / Sembra siano attori di commedia / (…) / la scenografia è dentro la loro testa.» (p. 38); «Sono il ciottolo ripudiato dall'oceano / mentre la vanga scava fino ai cieli d'estate / dove resta immobile il seme infuriato.» (p. 36); «le ore sono caviglie fiorite / per mantello un velo di metallo.»; «Era stravagante / addensata di sorellanza viva / non bastava  la camicia di forza /  persino l'aria avrebbe sconfitto.» (p. 32); «Nel passo lento ascolto / dalla suola si staccano battelli / sono le prime ore del mattino / quando l'alba è ancora appannata.» (p. 29); «L'amico di stanza è una corteccia / successione di due allegorie» (p. 28); «Il giardino l'hanno messo sul tetto / il custode è il lungo cipresso» (p. 27); «chiunque può contare le mie rughe / e cadere in ogni insenatura.» (p. 26); «lo so, tu sai scucire la terra / una grossa onda sul nostro campo. / (…) / Non cambiare l'odore al soffitto.» (p. 25); «Non capirò mai niente del nome della sera / dei lampioni spogliati come donne / e di te che ti sfaldi sul muro di casa.» (p. 23); «La prigione di mio fratello / ha le finestre sorde / esala l'anima ancora sbalordita» (p. 20); «tra singhiozzi ti aprirò il nome / come fa una rosa» (p. 18); «Gli imperfetti sono gente bizzarra / lasciati nell'arena, non so dire esattamente, / come un ghigno. / Ho pensato che Dio ama l'insicuezza / e le sfumature dei dirupi.» (p. 16).
Sì, è quando si è vicini all'abisso, quando il nucleo vitale è totalmente in gioco e in fondo riassumibile in un vibrante punto di domanda, quando le relazioni rivelano tutta la loro fatica e la nostra capacità di amare viene messa a dura prova e l'esperienza di sentirci amati sembra una transitoria catena di illusioni… è allora che possiamo percepire la Voce e accettare la croce che immette il cielo nella terra e abbraccia e salva. È infatti indubbia, anche se mai esplicita, una forte componente cristiana che innerva la poetica di Rita Pacilio e fa spesso di queste poesie autentiche preghiere (anche crude e dal tono invettivo, come del resto troviamo non di rado nella Bibbia). Una “dura traversata, dove i versi sono d'una bellezza sfiancante e maestosa, come certe opere di Bacon”, scrive Rondoni (p. 6) introducendo quest'opera che Rita dedica con assoluta poetica intensità al fratello Alfonso.

 http://farapoesia.blogspot.it/2013/02/su-gli-imperfetti-sono-gente-bizzarra.html

Recensione - Sebastiano Aglieco su 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' di Rita Pacilio - LVF 2012



Sebastiano Aglieco per Rita Pacilio e "Gli imperfetti sono gente bizzarra" - recensione su blog Compitu re vivi
Rita Pacilio: la scenografia è dentro la testa

Rita Pacilio, GLI IMPERFETTI SONO GENTE BIZZARRA, La vita felice 2012

Uno dei versi più belli di questa raccolta “la scenografia è dentro la testa”, ci suggerisce che la malattia mentale è un nascondimento ulteriore, la coltrina più profonda che separa il noi dall’altro da noi; ciò avviene senza l’ironia e la consapevolezza celata della recita sociale, piuttosto la totale identificazione con l’altro che ha mostrato il suo volto e ha preso possesso di un corpo.
Sembra siano attori di commedia
ripetono la parte e il ritornello
in modo serio vestono gli stracci
la scenografia è dentro la testa.
La malattia mentale, dunque, non permette la dichiarazione del dolore perché chi è malato non lo sa o non lo sa dire. Spetta dunque all’altro, l’altro che è rimasto qui, sul confine del mondo, recitare il requiem che assolve nelle parole, ma senza alcuna pretesa di redenzione nella vita. É , a ben vedere, il compito di ogni poesia, qualunque forma essa abbia, proprio perché la poesia, voce in sé fatiscente e confusa, deve, ontologicamente, costituirsi in forma e in questo travaso della voce nella materia che la dirà, si gioca il suo destino ad esistere.
Nello spazio della reclusione, doppia, dal mondo e da se stessi, sono le parole del poeta più recluso, quindi più tragico, che ci possono chiarire un aspetto della patologia:
Mentre dormiva leggevo
pregava con te Emily Dickinson:
(forse questi versi della Dickinson)
C’è una solitudine di spazio,
una solitudine di mare,
una di morte, ma
faranno lega tutte quante
a paragone con quell’estremo punto,
quella polare ritrosia
di un’ anima ammessa a se medesima.
Finità infinità
(1695 non datata, traduzione Cristina Campo)
e cioè la percezione sensoriale affinata che separa il dentro dal fuori; in questo caso la poesia di Rita Pacilio si situa nella linea di separazione della finestra, tra una casa e un lago. Della prima accoglie le metafore ardue e contorte provocate dalla visione dei corpi, del secondo la materialità degli elementi naturali, messi in relazione con la devastazione mentale, procedimento utile a costruire una topografia barocca del corpo storpiato, sintomaticamente, a questo punto, naturalissimo e realistico; in questo modo malattia e natura finiscono per coincidere.
Le cose distanti
assenti al nodo delle braccia
si lasciano alla corrente dei venti
come si fa con la vela in mare.
Le storpiature, storicamente reiterate sui corpi in martirio, sono immagini e tecniche che la parola spesso imita, o rinuncia volutamente ad imitare: duro espressionismo o pietosa cantilena. Ma anche in sinergia, e penso a Jacopone da Todi, al ritmo martellante della lamentatio o della nomenclatura ossessiva, in fondo giaculatoria raffinata – in sostituzione della preghiera – o forma popolare di essa.
Il testo di Rita Pacilio, poi, mi induce a una riflessione sulle forme della melopea e quelle, nervosamente più attive, dell’epos, confermandomi che il suo “non racconto” si innesta proprio nell’ entr’acte di un avvenimento risolutivo e un altro, al pari del canto sconsolato delle troiane che lasciano Troia come schiave – e ben sapevano i poeti tragici, che in fondo l’epos è parola di un’età dell’oro; racconto/favola di un’abnormità logica – il tempo del mito – che può essere compresa solo s/ragionando.
A mio avviso, e potrebbe sembrare paradossale, è proprio a una poesia ri/generata dopo l’epos, che tocca questo compito, presente, per esempio, in poeti assolutamente lirici come Paul Celan e Milo De Angelis – in effetti, lo sragionare comprende il ragionamento -
Nel testo di Rita Pacilio, questo avviene attivando metafore estreme, particolarmente tese ad arco, e tutte comprese in un nuovo corpo sunto di natura e umanità “L’amico di stanza è una corteccia/ successione di due allegorie/ una baia sottile di lima/ sa di mistero, di prima casa”.
Può, dunque, la contemplazione del mistero, essere forma di una preghiera s/ragionante? Direi di sì perché la malattia provoca domande, e in poesia le domande sono espresse in simbologie concrete, parole in/segnate dal naturale. Insomma: poesia è un ragionare per immagini.
Così il fratello, per ri/esistere, è trascinato fuori dal suo teatrino interno, lontano dalle voci, e riconsegnato al segno delle parole. La poesia, per fare questo, deve a sua volta rinunciare ai suoi altarini sociali, farsi una forma di testimonianza, drammaticamente tesa a un tentativo di robustezza formale, capace di segnare l’oggetto di cui parla, restituircelo quantomeno nella forma di una maschera viva e lacerata.
La malattia è oracolo spalancato sul Nulla, sull’incomprensibile. È la faccia neutra, scura, dell’oltremondo, aperta sugli altari del dolore: i letti d’ospedale, i campi di battaglia, i manicomi, le strade senza legge, i deserti di fuoco delle guerre, gli abissi dell’anima. E questo oracolo è un lampo che appare senza spiegazioni:
La prigione di mio fratello
è oracolo timido
probabile occhio spia
una pietra desolata
Sebastiano Aglieco
***
Sputa i suoi drammi
coi colpi di tosse
per gioco, per amore
scorie sottili nelle mani esibite
è latente lo scontento sulle spalle.
Gli imperfetti sono gente bizzarra
lasciati nell’arena, non so dire esattamente,
come un silenzio, un ghigno.
Ho pensato che Dio ama l’insicurezza
e le sfumature dei dirupi.
Io mi trovo qui dove non si torna indietro.
***
Da questo scuro cresciuto urtato
dalla mappa nella piaga dilaniata
tra singhiozzi ti aprirò il nome
come fa una rosa
ti porterò baci del sud e trecce
fino ai polsi e spine agli occhi
la penombra di una sconfitta
che in quel novembre abbandonato
senza casa nessuno aveva una parola.
***
I camici verdi gli camminano accanto
è una lenta collina che si muove
lacci e aghi senza aroma
a febbraio che trascorre svelto.
Dietro i vetri nessuno suona flauti
ormai le croste sono piaghe
se il capo sui ciottoli non fa rumore
allora i pensieri sono altrove.
Chissà cosa sogni quando tutto tace.
***
È un morso prudente l’oscurità
un disegno fatto di assenze.
Si denuda l’incavo della spalla
svuotato dalla mano
come un gheriglio
una lumaca.
Amore mio io sono questa:
la bellezza del circo,
la colpa di aver gridato
nel tuo gambo mendicante.
O forse
l’inquieto participio
e l’ora scandita del risveglio.
Non capirò mai niente del nome della sera
dei lampioni spogliati come donne
e di te che ti sfaldi sul muro di casa.
***
Sono il ciottolo ripudiato dall’oceano
mentre la vanga scava fino ai cieli d’estate
dove resta immobile il seme infuriato.
Difficile dirti adesso le foglie sulla via
quando file di formiche sui bordi
spalancano voragini nel suolo raffreddato.
Non chiedono perdono nè fanno lamento
le facce dei degenti
sotto giornali stesi come coperte al sole
perchè Dio li ama fino al mattino.

 http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-sebastiano-aglieco-per-rita-pacilio-1112.html

 http://miolive.wordpress.com/2013/02/19/rita-pacilio-la-scenografia-e-dentro-la-testa/

Partecipazione - Padova: presentazione 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' di Rita Pacilio - La Vita Felice 2012




Il 02.03.2013 dalle ore 17.00 alle ore 18.00
 
Sala del Romanino dei Musei Civici agli Eremitani, il 02.03.2013 alle ore 17.00, Piazza Eremitani 8 (accanto alla Cappella degli Scrovegni) Padova 

 Presentazione di Rita Pacilio con "Gli imperfetti sono gente bizzarra". Dialogano con l'autrice A.G.Margo e D. Battaggia

http://www.lavitafelice.it/evento-padova-2-3-13-rita-pacilio-592.html


Recensione - Floriana Coppola su 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' di Rita Pacilio - LVF 2012



Una riflessione di Floriana Coppola per la silloge “Gli imperfetti sono gente bizzarra” Poesie di Rita Pacilio
Ci sono libri e raccolte di versi che indicano il viaggio interiore dell’uomo che a stazioni brevi affronta a fatica per risalire alla luce, per accettare una ferita affettiva, così intima,  imparando a convivere con essa, una cicatrice che rimane sulla pelle e brucia, presente come memoria di un legame intramontabile che non si spezza. C’è nella relazione fraterna un laccio esistenziale psicologico indissolubile e talvolta svela una somiglianza celata e dolente, un incontro tra dimensioni che prescindono dalla giostra familiare comune su cui tutti saliamo. Succede così che con alcuni avviene un accordo maggiore, una risonanza che chiama il destino a interrogativi più forti, a una maggiore pressione della vita, sul cuore e sui fianchi del corpo. Come quel masso del mito che oppone forza divergente al passo in avanti.
Chiedo perdono al mondo/ come lo chiedo a te/ per il mio peregrinare stanco/ per l’urlo muto/per la corsa che mi affanna e dice/ Il destino è un cerchio senza fine.
Così Rita, brano dopo brano,  nella sua affabulazione visionaria, racconta il suo doppio navigare assorto tra tempeste difficili da domare e momenti di tregua assoluta, racconta per immagini e metafore delicate e spinte, il suo doppio sforzo di resistere alla vita che cerca di farti affondare nei suoi flutti. Spia nell’inciampo dell’altro il suo cadere ossessivo nella malinconia e trova in un eroico afflato amoroso il desiderio di portare altrove il fratello sulle spalle, come una moderna figlia di Enea portava il padre fuori dalle battaglie, verso la pace. Antigone ha la sua voce e vive attraverso la tenerezza che infonde per il dolore incistato dentro la pelle per la sorte di Polinice.
Sono loro quella composta di cose che ha intristito la vita ai giusti/il falco pallido sul collo/costole che non erano previste./ Loro sono lì, nel posto più lontano della solitudine.
Nel suo poema lirico non indugia in patetiche orme ma sforza la parola, la piega e a parlare dell’altro, con estrema delicatezza, con un pudore che commuove. Vuole decodificare il dolore senza facili suggestioni mistiche, senza cadere nella filosofia dell’espiazione ma per capirlo fuori da ogni filosofia riparatrice. Il dolore è lì che aspetta di venirti addosso, è un cappio alla gola che bisogna guardare con visionaria lucidità. 
I camici verdi gli camminano accanto/ è una lenta collina che si muove/ lacci e aghi senza aroma/ a febbraio che trascorre svelto….. chissà cosa sogni quando tutto tace.
Rita Pacilio allora registra con ossessiva puntualità lirica l’avvento della pace in ogni dettaglio, quando la natura ti viene incontro con le sue meraviglie e i suoi stupori. La poesia indica così la segnatura di un destino, dove la sofferenza è maestra e apre ad altre percezioni che non disdegnano il piacere e l’eros sotterraneo che vive chi, pur conoscendo l’inquietudine e l’inadeguatezza, riesce a intravedere delle luci e a seguirle, prendendo per mano colui che è bendato dalla vita.
La prigione di mio fratello è oracolo timido probabile occhio spia/ una pietra desolata/ nella recinzione gli uccelli dormono/ di là nessuna barca esiste più…..hanno un amore negli occhi/ un presentimento di attesa/ una polvere pronta a sparare /una febbre.
Noi dispiaciuti li guardiamo enigma senza soluzione.
Floriana Coppola

 http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-f-coppola-per-r-pacilio-1081.html


Rapallo 8/10 febbraio 2013 FaraEditore: 'Chi scrive ha Fede?' 'La fede come metafora comunicativa: è possibile la fede sociale?' a cura di Rita Pacilio



Kermesse di Poesia 
Rapallo 8/10 febbraio 2013
FaraEditore: 'Chi scrive ha Fede?'

'La fede come metafora comunicativa: è possibile la fede sociale?'
a cura di Rita Pacilio

Recensione - Rita Pacilio su 'Sotto l'ultima pietra' di Marco Bellini - LVF 2013






Sotto l’ultima pietra
Marco Bellini – La Vita Felice 2013
nota di Rita Pacilio

La poesia si mette al servizio del concreto diventando il recupero immediato degli attimi del reale quando il poeta riesce a cogliere il senso dell’esistenza con naturalezza, quasi innocente, consacrando la memoria popolare, l’appartenenza al mondo. La bontà poetica di Marco Bellini in Sotto l’ultima pietra, LVF 2013, emerge nella spiritualità delle mappe geografiche, nell’oggettività dei vissuti temporali, nel ritmo interno ed esterno alle cose che trascorrono fino all’inconoscibile e inafferrabile mistero della morte. La padronanza del verso libero e dell’utilizzo di singoli segmenti fluidi, apparentemente semplici, costruiti seguendo una metrica sciolta, spesso sincopati, non ci portano verso un destino prestabilito del verso, ma ci inducono a cercare un istinto di significato stilistico elegante e curatissimo fino al suo dettaglio più sperimentale/colloquiale/lirico. Bellini invita i lettori a fare un percorso intuitivo, geografico, geometrico, identitario e, a volte, esorcizzante: un valicare flessibile, paradossalmente introspettivo, adempiendo una scoperta di ordine mentale nelle realtà umane e territoriali alternate da tematiche narrate in immagini e racconti di culture vicine e lontane che si collegano con l’esistenza più vasta e profonda dell’intero universo. I significati arcani dei luoghi,  le antiche saggezze delle donne che si riconoscono in un ruolo di subordinazione, l’intolleranza sociale, la morte e i suoi inganni si concentrano in un dire poetico moderno che può somigliare, non solo per il variare tematico, alla poesia filosofica perché, abile al canto, è capace di educare, e, intenzionalmente, è dotata di complessa autocoscienza con una funzione analogica, fondativa e discorsiva. La poesia si piega, così, al compito della conoscenza, la approfondisce, rinnova il suo sguardo su se stessa e si rende disponibile all’approdo dell’esperienza dell’istante rigenerato. La latitudine geografico/semantica è funzionale alla visione della parola poetica come profondità della realtà che accompagna il lettore verso la verticalità del parossismo dialettico caratterizzato da sguardi affidati sia a fragilità umane innestate nelle culture dei contesti, sia a incursioni di alibi e sottintesi che possono riformulare le ricognizioni dei paesaggi circostanti dal mutare delle proprie parvenze. Il tempo diventa un incipit, un punto da cui ripartire, un gioco d’infanzia, una sistemazione ambientale in cui è possibile approfondire e denominare, in forma retroattiva, l’umanità contaminata dalle azioni discontinue e intossicate dai comportamenti amorali pregressi. Bellini osserva, narra e ricuce percorrendo località prossime al fiume Adda: propone con il suo tracciato letterario-zonale un riattraversamento delle esperienze concrete degli spazi, lì dove le vicissitudini umane non vengono visitate come reliquie, ma come humus intellettualmente utile e sempre fecondo da suggerire come lezione storico/filosofica che può dettare suggerimenti e moniti. Bellini scava nel corpo materico dell’intero cosmo, fino all’ultima pietra, rimettendo in circolazione più realtà sopravvissute ai luoghi, più ideologie, più voci per resistere all’amplificazione dei codici che traducono l’estrema metafora dell’ignoto che coincide con quell’immobile puntino di luce al centro dell’universo dove ogni cosa si incontra e ogni cosa si interseca verso l’altra sponda del fiume (Charles Wright).

Poesie
dalla sezione SEGUENDO L'ACQUA (L'Adda)
La radice



Nelle valli che guardano Bormio
la nascita dalla morte dei ghiacci
come il predatore dalla preda.
I rumori dei millenni sciolgono gli spigoli,
i gocciolii muovono le pietre, si scoprono i fossili.
Finisce un tempo solido, il primo rigagnolo
tra i muschi e il filo spinato di una guerra
cerca un solco; ne farà un letto.
L’ombra del muso, sopra si muove un camoscio.

Da lì si stacca verso paesi appoggiati
luci gialle, pentole e tinozze per i giorni.
Saranno trecentotredici chilometri.
Scomposto il braccio



Il lago portò un corpo, una restituzione
incerta, una confessione tra le barche
a riposo. Scomposto, il braccio piegato
a indicare le case di Pescarenico, il lavatoio
le mani di donne chinate e il sapone
a levare i sogni, le bottiglie d’acqua
appena discoste dalle porte, così
per la distanza dei gatti. La somma del tempo
in quella carne faceva ventidue anni
il nome non si leggeva.

Domani ne avrebbero parlato
se non c’era altro.
dalla sezione SOTTO L'ULTIMA PIETRA

Le dita sulla rete
(Un campo profughi nel terzo millennio)



Alle spalle, fermate con i sassi lungo linee regolari, le tende;
sotto: la terra sbagliata, quella che nessuno chiama casa.
Stanno in piedi, lo sporco dietro le orecchie, le mosche
sulle pieghe sudate; tengono le dita sulla rete, guardano
lo spazio, una linea diversa che sia una proposta.

Chissà se provano a fare il conto: la distanza dalle colline
che ogni notte si spengono e mettono a letto le cose,
una sedia, una coperta piegata di fretta. Oggetti lasciati
nell’urgenza del distacco, o forse per appartenere ancora.
Là tra i ciuffi e le rocce, si tiene la possibilità
di tutte le direzioni, un’altra luce, un ritorno. Lo sanno,
domani niente sarà più vicino e la coperta ancora perduta.

A qualcuno toccherà fermare lo sguardo, tenerlo sopra,
misurare il perimetro, la rete che tiene fuori la paura
e dentro li fa stranieri. Si dovrà mettere qualcosa al servizio:
un passo, o l’avanzo sporcato del tempo gettato. Lo sappiamo,
qualcuno dovrà guardare sotto l’ultima pietra.
dalla sezione DNA


Ti ha scelto la primavera, quei giorni
colorati nei diari, per chiudere il cassetto
e andare contromano al sole.
è il corpo che si ferma, così
l’acqua gettata che rallenta piano sul pavimento
il tegamino per il tè sull’angolo del tavolo.
Un senso che ti è venuto a noia
la voglia di non spiegare, i figli lontani
tornati prima del senso di colpa
ti guardano: «poverina».
Prima la sedia, poi il tappeto
(e se possibile ancora più giù) così accoglienti.
Basta; le briciole di pane sono interrotte
già si erano fatte rade, hai allungato la mano
toccato la terra che ti ha presa
sotto l’ultima mollica, con tutto il tuo silenzio.


dalla sezione GEOMETRIE LIQUIDE

Geometrie liquide


Il mondo dentro lo specchio ha confini certi
e noi siamo fuori, andiamo cercando
le forme geometriche fissate nelle conchiglie.
Colonne di spigoli e luce il quarzo
impermeabile al tempo, il suo attraversare
l’onestà della permanenza, domani ancora lì
dove aderiscono la provenienza e la destinazione
nella stessa sabbia o roccia
a replicare la serenità dell’ombra
ad ogni interrogazione sfuggita alle nubi.
Noi dentro un atto di buio andiamo fuggendo
quel tratto del caffè, la caduta
dal beccuccio alla tazzina
quello spandersi liquido con il ventre molle
la forma di un aroma
esposto e subito perso
nella stessa sabbia o roccia.

Notizia sull’autore
Marco Bellini nasce in Brianza, dove ancora risiede, nel 1964.
Sue pubblicazioni sono: Semi di terra (LietoColle, 2007); la plaquette Attraverso la tela (2008); per le Edizioni Pulcinoelefante la poesia Le parole (2008); la plaquette E in mezzo un buio veloce (Edizioni Seregn de la memoria, 2010); Attraverso la tela (La vita felice, 2010), Sotto l'ultima pietra (La vita felice, 2013).
Sue poesie hanno ottenuto riconoscimenti in diversi concorsi e sono presenti in numerose antologie, su blog e riviste di settore.

 http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-r-pacilio-su-bellini-1063.html

http://www.lestroverso.it/?p=1717