Poesia - 25 ottobre 2016 Università di Cagliari Rita Pacilio e Davide Rondoni in lettura

Poesia - 25 ottobre 2016 Università di Cagliari (Lettere e Lingue) corso di Letteratura italiana moderna e contemporanea tenuto dalla professoressa Giovanna Caltagirone
Rita Pacilio e Davide Rondoni in lettura
(dalle ore 16.00 alle ore 18.00)


Recensione - Adua Biagioli per 'Prima di andare' di Rita Pacilio - La Vita Felice, 2016


Prima di andare
Poesie di
 Rita Pacilio

Mi piace percorrere il ritmo serrato del ritroso nel tempo del vissuto, che si universalizza in un discorso umano non trascurato, rivelato e contemporaneamente rivelatore di radici che trovano il giusto aggrappo nell’infinitesima parte del sentire oltre, il nobile femminile.
I versi di Rita Pacilio sono versi ‘specchio’e ‘specchi’, riconducono a pluralità di verbi significanti e accenti, in un passaggio alternato tra passato “dicevi-sei stato-mi ripetevi” e immediata apertura al presente “tu conosci -tu sei – sei tu”. Quel ‘Tu”esistito che sotterraneamente esiste ancora, fa di uno solo, il “Noi”(“noi segnati sulle mani così che il palmo diventa labbro che fermenta maree”). Quel Tu, diventa soggetto basico di tematiche aperte alla riflessione.
Con sublime concretezza, la poetessa crea il tramite di segmenti e pluralità interiori, e lo fa attraverso la nudità di versi vivificanti che reclamano la sostanza acquosa più in grado di rendere cristallina l’idea della vita, che tenta ancora di salvarsi, ritrovandosi sottilmente e con premura, in un lavoro lento di candela, il mare del pensiero aperto nella Prima Lettera, al quale la protagonista rivolge una richiesta diretta all’interno della sua stessa anima, slacciata dall’essere ‘anemos’, soffio o vento, per divenire invece principio offerto alla coscienza, tanto è vero che la bellissima chiusa dell’ultima poesia della sezione è sottile invito a interrogarsi intelligentemente senza cedere allo spreco quotidiano della “recita di un compito”.
L’infinitesimalità e il tutto: “eri il braccio d’edera..una collina intera”, sono le vertebre di passaggio impresse nella prima sezione “Ti scrivo dal mio niente”, dov’è avvertito il divenire della felicità umana espressa in mille forme e direzioni, che dunque ci coglie mossi e smossi, a fronte del contrappunto della memoria, la sola a rendere possibile quell’allungamento teso e a farci scuotere di dosso, ciascuno, “le nostre piccole grandi condanne”, proprio perché “capiterà a tutti di essere una boa in mezzo al mare”.
Il passaggio alla Seconda Lettera è inevitabilmente relazionato al ricordo nel tentativo riuscito di tenere accesa la passionalità permeante l’amore, in una seconda rinascita , in un giro aperto alla tematica del ritorno e all’accenno al ‘fuoco’ del riverbero smisurato della luna che ripete le cose vive del mondo. Le memorie assumono la caratteristica dell’indelebile infinitezza, della “scintilla lunga chilometri lasciata dalla Cometa”, perpetuata nella seconda sezione “Guardare il vento, sapere il vento” lasciando spazio “alla coda dell’ultimo perdono” a seguito degli abbandoni subiti, nello sforzo di riconoscere ciò che è stato nei momenti “di assenza di saggezza” prima di diluirsi nella fragilità umana.
I versi acquistano la forza della meditazione, elevati e puliti allo stesso modo della prosa nelle lettere, prosa poetica per la ricchezza delle immagini che continua nella Terza Lettera e nella sezione del “Riaffiorare”. Non sempre la vita permette di soffermarsi sugli attimi vissuti, così saranno “le scivolate nel vuoto” che vorremo rincorrere a distanza, questo ci esprime la protagonista del percorso umano a ricordare che la memoria è “amare le cose che sono state amate da chi noi abbiamo amato”. La tematica della morte sorvola lucida, amara, consapevole, fa del tempo una parabola d’eterno, di attese e forse, della presa di visione che il perfetto non esiste e i precipizi possono essere inattesi. Il riaffiorare, riecheggia l’autunno, le stagioni della decadenza, “dello sciame irresistibile esiliato nel cuore” ma anche il riuscire ad avvertire il cambiamento dentro di noi, fatto di stagioni diverse, in cui la parola diventa l’abitazione possibile e unica che ci può abitare. Restano le parole e “le piccole promesse”.
“Si fa così l’amore fiutando le raffiche delle vertigini”, così chiude la Quarta Lettera che apre la sezione “Nel posto dove volano gli uccelli”: ci si chiede quale sia, sconosciuto, inattaccabile, fatto di smarrimenti e direzioni, tanto in alto quanto il resto di ciò che rimane dell’essere stati, forse proprio a metà strada, “tra la fronte e le chiavi della notte”, il luogo in cui non esiste dimenticanza, che ci scopre indifesi, regno della preghiera, del silenzio e del caos, dove la speranza ha il suo rituale, il luogo dell’affidarci alle mani e agli occhi di chi possa custodirci, dove la paura non ha piu’ ragione di esistere.
Alla Quinta Lettera si giunge solo dopo essere passati per il posto dove volano gli uccelli, perché è solo alla fine che ci sarà nutrizione dell’oro che ci ha imbevuto di vita per chiamarci liberi e per dirci“umanità”, tumultuosa somma di perdono e tenerezza.
Grazie per aver nutrito il mio cuore e la mia lettura.

Adua Biagioli Spadi




http://poesia.lavitafelice.it/news-recensioni--5240.html

http://www.aduabiagioli.it/articoli/prima-di-andare-poesie-rita-pacilio/

http://www.aduabiagioli.it/articoli/scrittura/


Poesia - Lino Angiuli per la poesia di Rita Pacilio

... 'sappi comunque che tu fai poesia civile scomodando le viscere e l'utero: è un complimento, perché generalmente la poesia civile si fa con la testa e la bile' ...
Lino Angiuli per la poesia di Rita Pacilio
Grazie mille, sei grande Lino.

Poesia - Rita Pacilio, Direttrice di 'Opera Prima', sezione della collana Agape - La Vita Felice

La collana AGAPE si arricchisce e si specializza con una nuova sezione: OPERA PRIMA a cura di Rita Pacilio che affiancherà gli autori, senza limiti anagrafici, nel loro primo affaccio sulla contemporaneità poetica mediante pubblicazione.



Recensione - Marta Lentini su 'incroci' per 'Prima di andare' di Rita Pacilio - La Vita Felice, 2016


Marta Lentini su «incroci» per Rita Pacilio con «Prima di andare»

È un dolce groviglio di sensazioni ciò che suscita la lettura di Prima di Andare, un libro, edito da La vita felice, di Rita Pacilio (poetessa, scrittrice, sociologa beneventana), che intreccia i temi della solitudine, della perdita e del ricordo intorno al nodo centrale dell’assenza.
Il libro alterna poesie a lettere. La “Prima Lettera” è l’espressione di un tentativo di trovare un colloquio mentale con l’amore vissuto durante la giovinezza, attraverso un dialogo in cui un mare, custode dei ricordi, avviluppa e restituisce immagini e scenari tanto sbiaditi, quanto potenti nel risvegliare il dolore. ‹‹Sono io la storia. Sembri lo scialle di mia madre sul collo freddo e bianco, come la barca arrivata sulla riva,sul litorale più vicino agli sciacalli, adesso sei sul mio collo, tra il cervello e le spalle, sei pensiero››.
“Ti scrivo dal mio niente” è invece una raccolta di poesie che raccontano i gesti di una quotidianità permeata da una tristezza invincibile, ma che non cede a se stessa senza prima un sussulto di ritrovata forza interiore. Il tempo si fa alleato di un lavoro di resistenza al dileguarsi della memoria, sembra si dilati per cristallizzare ricordi che, in uno stupore sempre nuovo, permettono di ritrovare il bandolo della matassa, una sorta di rituale perso, di ritorno ad un sentimento ineliminabile. C’è il proposito d’imporsi la lucidità nel verso  ‹‹sarò vigile ogni sera quando le peonie sfioriranno››, (pag.14), ma poi c’è la fatica di accettarsi diversa, inevitabilmente plasmata dagli anni, ‹‹un miscuglio di quesiti spalancati›› (pag.15). In queste poesie persino l’universo sembra partecipe, chiamato ad esser complice di un tentativo di riscattare l’opacità delle cose attraverso un’abitudine al ricordo che ridia vita a forme e oggetti: ‹‹Silenziosamente travaglia / l’universo intero, la speranza rampicante nell’edera s’infiora/ ripete/ miracoli che restano a lungo/ e resistiamo / mentre una tortora solitaria si becca il dorso›› (pag.18).
La “Seconda Lettera” esordisce con un germogliare di sensi, colori e immagini che fanno emergere tutto il buio dell’assenza, come se questa avesse conservato il suo potere accecante in un attimo reso immobile dal tempo. In queste pagine è proprio la memoria degli eventi più dolorosi a esser alimentata e cercata senza scappatoie, senza un rito consolatorio: ‹‹Questa memoria mi ha inseguita, senza pietà›› (pag.23). Il lutto viene raccontato come se fosse un lembo di tessuto strappato all’improvviso da un crudele scherzo dell’esistenza, e il presente, ricostruito con vivace e immutabile fedeltà, cede i suoi lineamenti a un senso di mancanza perenne: ‹‹Ti ricordo assoluto, intero, ti ho ibernato›› (pag.24). Si mischiano i pensieri senili e i sogni, sogni lucidi e ricavati da visioni dell’universo, nella luce effimera di una cometa, Ison, dissolta a causa della vicinanza col sole. Poi, una confessione delicata, eppur bruciante nella sua immediatezza: è la “Terza lettera” che ha come proscenio un freddo mattino di ricordi, intatti nella loro bellezza, custoditi dal dolore vivo per essere trasmessi ancora nella loro integrità: ‹‹la memoria è questa, amare le cose che sono state amate da chi noi abbiamo amato›› (pag. 41). La “Quarta Lettera” è un accorato slancio verso la speranza, è un viaggio sentimentale che ricalca tracce di un passaggio oscuro: dalla ferocia della perdita alla lenta accettazione dell’assenza. La memoria assurge a ultimo mezzo di sopravvivenza, uno strumento per riannodare, anche visivamente, tasselli di un’appartenenza viva, seppur obnubilata dalla nostalgia. La successiva silloge “Dove volano gli uccelli›” regala versi luminosi, contrassegnati da una dolcezza materna, come per esempio la poesia “Con Maria in braccio”: ‹‹qua e là passava fragile il mio peso ardito, sfuggivo per sbaglio alla calma del cuore›› (pag.64). È una poesia dettata dal potere magico di far riflettere il lettore sui sentimenti più comuni, che vengono narrati con poche immagini: l’incanto dell’innamoramento, il presagio, l’invecchiare, il ricordo ostinato.
La “Quinta Lettera” è un dolore raccontato senza orpelli, da ogni angolazione, e sublimato da parole che in un lampo sanno dire tutta l’umanità dell’individuo di fronte alla morte, tutta l’ingiustizia e quel senso di stordimento che invade l’animo nel trovarsi ad affrontarla. C’è il rapporto con la giovinezza, dunque il senso di eternità di chi non s’immagina abbrutito dal tempo, e c’è la coscienza della fugacità, della fine delle attese: ‹‹adesso sono un caso, una casualità, una malattia, una circostanza›› (pag. 72). Quest’ultima lettera si conclude con una riflessione finale che il marito le dona quasi come un testamento spirituale, per preparare una sorta di guarigione dell’animo, e si rivela come invito ad amarsi e amare la vita difendendosi dalla mediocrità: ‹‹allora tu, quando io morirò, devi fermarti e smettere di ascoltare coloro che opprimono curiosità e coraggio…›› (pag.73). Tutta la tristezza e la ricerca delle immagini sbiadite, tutta la solitudine e il vuoto si ricompongono in questo abbraccio ideale, un dono, un’esortazione e una promessa che sono stati dati, dunque, “prima di andare”.




https://incrocionline.wordpress.com/2016/10/16/rita-pacilio-prima-di-andare/#more-3511

http://poesia.lavitafelice.it/news-recensioni--5233.html


Recensione - Carlo Di Legge legge 'Prima di andare' di Rita Pacilio - LVF, 2016

Nocera Inferiore, 4 ottobre 2016

                                                                   “Capiterà a tutti di essere una boa
                                                                     in mezzo al mare, una boa
                                                                     dalla forma di pesce supino
                                                                     dalla voce umana con braccia di violino”. (19)

                                                                   “I viaggi che non sai dove vanno
                                                                    conservano saluti silenziosi” . (66)
Carissima Rita, ho letto il tuo Prima di andare.  Ti dico, prima con atteggiamento da lettore, e magari dopo con qualche strumentino filosofico involontario, o quasi.
Certo che qui si leggano l’opera della memoria a breve e a lungo termine, come sta sul risvolto di copertina, e l’autopercezione o la menzione di chi rivolge alle cose della vita sua uno sguardo da anziano (73: “quando si è anziano come me …”). Ma lo sguardo da anziani è in realtà lo sguardo da sopravvissuti, a se stessi come a una parte della propria vita che, senza che ce l’aspettassimo, è andata. Sempre così.
Dunque “chi”, chi narra, chi guarda?  Non è la tanto follia de-mente o malattia o s-memoria, quanto l’occhio di chi è vissuto oltre una parte di sé e non è riuscito a strapparsela, benché quella parte le sia stata strappata. Lo dici così chiaro che non è nemmeno opinabile (41; 71 … ).
Non è tanto che si dimentica, è che non si vuol dimenticare:  “devo chiederti perdono perché ti sto dimenticando troppo in fretta”.(71)
Dunque la prosa e i versi risultano a tratti oscurare l’intendere di chi legge, con i consueti e già rilevati effetti di spiazzamento:  “una parte/ di scontentezza ha fatto comunella/ con le gobbe delle strade …”  e “la felicità non capisce niente delle dee incollate/alla sottana boscosa” (13) e così via. Modi popolari che introducono l’ennesimo sconcerto semantico – solo apparentemente una eco surrealista, in realtà macerazioni in parola di vissuti esistenziali assai duri e problematici, una vera e propria manifestazione della difficoltà a dire, quasi disperazione.
Ciò non toglie che a volte la musica prevalga:  così il senso panico nel “corrispondi all’aria estiva/ai campi arati/ … fino all’ultimo vallo/ dove lunazioni e preghiere/fanno fatica a stare”.(18)
Il sopravvissuto, colui che esperisce, rimedita in versi e nelle cinque lettere, in chiarezza crescente, quasi un viaggio verso i confini della notte, e fino all’evidenza, il grande tema-binomio dell’amore e della morte, perché, a quanto sembra, vissuto in prima persona.
Se così fosse, perché dubitare della relazione tra parole e cose, tra libro e autobiografia? L’autobiografia non servirà mai a “spiegare” il libro, d’accordo, ma ogni scrittura come ogni azione che compiamo risulta sempre, in qualche modo, autobiografica! Oppure, se no, è pur sempre biografia. Di qualcuno, dunque.
E così, il libro risulta un variegata testimonianza  della diade amore-morte, connessa in vari modi e riferita a un’esperienza.
Il titolo prima di andare   rimanda al sentirsi in procinto di morire,   è immagine dell’esistenza stessa in quanto prima di andare c’è l’amore, non altro che quello, ma in qualche modo – qui nel modo più tragico – esso si unisce all’impossibilità, all’immagine dell’incompiutezza.
Chi parla? Una che non ha potuto evitare di “essere un’altra”.(13) Quella se stessa che s’identificava con un altro, nell’ esperienza d’amore, è stata forzata, dal precipitarsi della sorte, a non essere più quella.
Di che parla? Di morte, dicevo: di lasciare – “questo siamo quando lasciamo”,(19) “non lo fai apposta ad andare via/fanno così le persone anziane …”. (21) Fanno così, e non è questo il caso, si capisce; ma in qualche modo è come se fosse, perché “i pensieri senili hanno la forma dell’addio”. (29) Rievocazioni del distacco (Terza lettera, 39-42: “con te sono morta anch’io”, 41, e “per colpa di un’imboscata ho perso il senno”; (42) o anche “Quando arriverà quell’ora se ne andranno”. (61)
Da morti non si è tali, se i superstiti ricordano. (67)
Di che parla? D’amore, come fa la Seconda lettera (23-5) e ricordi di ri-nascita (34) e rivolgersi all’amato come fosse presente, nel “vedi come mi ha riempita l’abbandono?”.(35) Perché “Chi è stato innamorato/sigilla/grandi tempeste e silenzi sapienti”. (48)
Dove si uniscono i temi? Ovunque, ma p. e, nella chiarissima Quarta lettera ,(55-7) sigillo alla quarta sezione del riaffiorare. Nell’altrettanto chiara Quinta lettera-testamento. (71-3)
Le quattro sezioni scandiscono il percorso: Prima di andare - Guardare il vento, sapere il ventoRiaffiorare - Nel posto dove volano gli uccelli.
Il posto dove volano gli uccelli, e dove anche i morti si trovano, è l’aria.

                                                                                          Con affetto.  Carlo Di Legge