Recensione - Rita Pacilio su 'Dialoghi con l'altro mondo' di Salvatore Contessini - LVF 2013







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Dialoghi con l’altro mondo
di Salvatore Contessini – La Vita Felice 2013
nota di Rita Pacilio

Se è vero che il suicida porta con sé una mente dietro la mente in cui, comunque, esiste la coscienza del corpo e la percezione del mondo si può pensare alla presenza di una irrazionalità razionale che traduce continuamente la meraviglia della vita e del creato in un attimo, senza tempo, in cui vita/morte si ricongiungono in modo enigmatico ed essenziale. La certezza della sacralità del circolo vitale oscilla tra l’oscurità e la sua luce in un continuo castigo che deframmenta la tristezza in toni folgoranti dell’esistenza.
Nel volume Dialoghi con l’altro mondo di Salvatore Contessini (La Vita Felice 2013) i versi del poeta suicida, con cui l’autore sceglie di interagire, diventano, soprattutto, un atteggiamento comunicativo emozionale. Contessini programma un percorso pilota che consente al lettore di non avere un posto marginale nella sperimentazione dialogica in cui la luminosità dell’ombra non viene mai giudicata, mai deturpata nella dignità umana. L’alternanza delle voci narranti pongono l’attenzione verso l’io classificandolo come un bisogno, non solo di stile, ma di senso connotativo.
Il filo narrante viene tessuto con abile originalità metrica mantenendo una costante tensione simbolica verso il confine intimo, che, se raggelato dalla scelta consapevole della propria morte, mantiene un’incarnazione costante e attualizzata del viaggio nella vita. La vita, infatti, pulsa con decisione e suggerisce tappe possibili: l’interrogazione dell’autore rappresenta lo scarto tra l’idealità e la realtà agendo le proprie angosce esistenziali e i sentimenti di cui si nutre il lato psicologico di ciascuno. Si rateizza un romanticismo indeterminato nell’identificazione inquieta degli stralci poetici dei suicidi che diventa un’unica voce,  indivisibile, delirante, destinata a liberare il segreto.
Contessini, predisponendosi come corpo/mente multiforme, si avvicina al tormento sospeso tra la vita e la fine sviscerando gli aspetti inconfessabili. Accede, con sensibilità autentica, all’irrequieto e duplice moto dell’ignoto.
Signore, lo giuro sulla dea beata:
non più voglio stare sulla terra,
desiderio di morte mi prende,
di vedere le sponde d’Acheronte
fiorite di loto...

Saffo



Dialogo Impari


Se le parole al modo di tempesta
usano vesti di consigli accolti
undici vite predicate lasciano spaiate orme
singole orme, diafane danzanti ombre.
Numero che marca limite
di comprensione umana,
di forza visionaria con pari proprietà
dei due princìpi. Densi gli accordi
oscillano a memoria, infranta, labile, memoria.
È vero di Gorgone l’incanto fatto pietra?
Cosa c’è
in fondo ai tuoi occhi
dietro il cristallino
oltre l’apparenza?
Dove il tempo
d’improvviso
si ferma
e
la mia anima
sulle tue labbra
resta
sospesa?
Svesto la suggestione della roccia viva
che s’apre a contenere salme oltre il salmastro
mare, specchiato in colpi per l’oblio scolpiti.
Ioniche volute dedicate, oltre i millenni, officiano
il luogo del ricordo con una bruma, densa di inganni.
La rupe ha visto il mare e scalpellini accorti
sospesi nel lavoro quotidiano omaggio al titolato
che pensa il suo riposo come una permanenza.
Vieni.
Inseguimi tra i cunicoli della mia mente
tastando al buio gli spigoli acuti delle mie paure.
Trovami nell’angolo più
astuto di quanto taciuto del sapere
sbarra l’umano amore del creato
o sguardo fermato all’orizzonte
tinge d’azzurro l’iride che specchia la marea,
un pelago di rocce emerse
nell’isola bagnata ad onde
in una trama di diletto estranea
alla metà del pomo che non è mela.
La voce ascolto ed il racconto
di sfumati sentimenti
al genere rivolti, ma non solo
ad un amore che si stringe con la morte,
alla salsedine del mare ed al natante
che non fa ritorno.
Mi guardi e non comprendi
i tuoi occhi scivolano
sui miei versi
con leggera diffidenza.
Le mie parole si confondono
ai tuoi pensieri scontati.
Non puoi sapere dell’ignoto
se tale ne rimane il senso,
non puoi sapere ciò che non puoi,
solo accostarti ti è permesso
all’aura di colore donna che mi cinge.
Guidami i passi allora non a questo fiume,
del Cocito mi occorre riva per un traguardo
che sia la ripartenza fino allo Stige
prima che loto mi circondi e l’asfodelo
disponga, a chi rimane, tumuli del lutto.
Aprimi al velo di tenebre perenni
come per altri è stato il pronunciare
quel vaticinio della fine in versi.
Non è concesso innalzare il lamento funebre
nella casa delle ministre delle Muse... questo a noi
non converrebbe
questo è il divieto
per noi che in vita
... non vi era danza
né sacra festa...
da cui noi fossimo assenti
né bosco sacro in cui celebrare rito.
Chiedo il favore della scelta,
un indirizzo a cui vocare
il desiderio di conoscere l’altrove
con chi dimora nell’assenza
con chi la forma ne ha trattato.

Notizia sull’autore
Salvatore Contessini (Roma 1953). Collabora da oltre dieci anni con case editrici e ha ideato numerose iniziative e progetti editoriali.
Suoi testi sono inseriti in diverse antologie e riviste e ha ricevuto importanti riconoscimenti a Premi.
 Pubblicazioni:
Il sole sotterraneo della luce nera (2003);
Domestico servizio
(2007);
Criptogrammi
tetralogia di un alfabeto rivelato (2008);
A guardia del riposo
(2011);
Una tempesta di parole - suggerimenti accolti
( 2011).

Curatele per volumi antologici:
con Diana Battaggia
Fotoscritture
– Istantanee di Erico Menczer - immagine e poesia (2005);
Scritture urbane
- Appunti fotografici di Gianfilippo Biazzo, Immagine e Poesia su Roma (2007);
Arbor Poetica
- Poesie su immagini di Stefano De Francisci (2011);
con Stefania Crema
diario poetico Il segreto delle Fragole, edizione 2007.


Recensione - Adriana Gloria Marigo su 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' di Rita Pacilio - LVF 2012


Un viaggio nella follia con la poesia di Rita Pacilio (A.G. Marigo)

Titolo: Gli imperfetti sono gente bizzarra
Autore: Rita Pacilio
Editore: la Vita Felice


Estratto da QuiLibri nro 17 - Recensioni– a firma A. Gloria Marigo)


A partire dal titolo assertivo Gli imperfetti sono gente bizzarra dove il soggetto è aggettivo sostantivato e il predicato nominale nome collettivo cui segue la qualificazione dell’aggettivo, Rita Pacilio ci consegna al mondo dell’esperienza e dell’illusione, alle loro interferenze, discromie, lacerazioni per mezzo di 28 liriche sempre ad alta tensione poetica per contenuto e forma. Calati entro la sua poesia, irrimediabilmente ci troviamo a confronto, senzapoterne uscire se non attraversati da tutti gli elementi costitutivi la sua opera, con il tema della follia che qui non emerge come l’ospite inquieto e inquietante da tenere a bada per non essere contaminati da tanto “scontento sulle spalle”, ma come l’ospite che ci interroga sulla nostra capacità di compromissione nel dolore: «Io mi trovo qui dove non si torna indietro».
Il viaggio inizia in un paesaggio liquido, in movimento…
continua la lettura sulla rivista cartacea
SOMMARIO del nro 17
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Recensione - Claudio Moica su 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' di Rita Pacilio - LVF 2012




Gli imperfetti sono gente bizzarra” di Rita Pacilio.
La vita Felice (2012)

Esiste la perfezione nell’uomo? È questa la domanda cruciale, la domanda che ci inchioda davanti all’opera poetica “Gli imperfetti sono gente bizzarra” (La vita Felice) di Rita Pacilio e ci costringe volenti o nolenti a porci il medesimo quesito: cos'è la perfezione? Scorrendo nella poesia della Pacilio non si trova risposta all’interrogativo forse perché lei sa bene che non esiste e che tutti, fondamentalmente, siamo essere imperfetti: “Ho pensato che Dio ama l’insicurezza/e le sfumature dei dirupi”. Il contrasto dell’imperfezione con la ragione, la compassione per un individuo che ai più appare diverso si trasforma in una celebrazione delle analogie tra il disagio e la sofferenza del poeta che vive uno stato di depauperazione dei sentimenti, uno stato di dolore che si propaga in tutta l'anima “Così ti riparo dalle voci/e fisso il segno delle parole/ qui ti lascio lamento malato/ custode di ossa imporporate”. In questo viaggio nelle ombre umane si da voce a chi vorrebbe urlare i propri pensieri ma che per convenzioni strettamente sociali è costretto a tenersi dentro i segreti del vivere. Rita Pacilio attraverso il fratello apre una finestra nel cuore del lettore dando luce ai rapporti umani “Alfonso ha le ali di angelo bianco/ due voli che si moltiplicano” e, in un reciproco scambio, la ragione riversa nell’imperfezione le proprie angosce “Accarezzandomi entrasti nella pena”.  L’assenza di giudizio o di paura emerge forte e il poeta si limita ad illustrare l’ansia del vivere, l’angoscia esistenziale, il dualismo psicologico, i drammi spirituali, l’eterno conflitto tra il bene e il male e tra l’essere e l’apparire lasciando al lettore ogni conclusione. Discreta, delicata, elegante è la poesia di Rita Pacilio che canta le fragilità umane riproposte in chiave di frattura, in rotta contro le convenzioni e le modalità comuni del vivere civile. D’altronde cos’è l’imperfezione se non un eccesso di amore? Già il Tasso descrisse la follia come un eccesso romantico che riconosce al genio poetico una superiore saggezza ma che vede la poesia come un ripiegamento totale su di sé e una perdita del mondo reale per il mondo interiore delle fantasie e delle passioni. Quest’esagerazione d’amore è evidente nell’opera della Pacilio che nel fratello vede riflesse le proprie ansie e allo stesso tempo si fa carico dei dolori dell’altro “Rientra in gola l’urlo e la lancia/ nella cella pietrifica l’anima/ si tengono strette due rose bianche/ chiavi e chiavistelli il sigillo”.  Nelle stagioni che la vita dà a ognuno di noi non è consentito decidere per il domani ma attraverso le opere come “Gli imperfetti sono gente bizzarra” possiamo capire che il confine tra noi e gli altri è talmente sottile che  nel presente è difficile stabilire i parametri che dividono ciò che è normale da quello che è deviante. Rita Pacilio è riuscita attraverso i suoi versi a farci riflettere, risultato che solo una poesia di qualità può ottenere.
Claudio Moica

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 http://claudiomoica.myblog.it/archive/2013/05/15/gli-imperfetti-sono-gente-bizzarra.html


Premiazione - 'Premio letterario Viareggio Carnevale' 2013: 2° Premio Poesia edita a 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' di Rita Pacilio (LVF 2012) La premiazione si è tenuta in Municipio a Viareggio, Sala di Rappresentanza alle ore 16.00 di sabato 4 maggio 2013.



'Premio letterario Viareggio Carnevale' 2013:
2° Premio Poesia edita a 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' di Rita Pacilio (LVF 2012)
La premiazione si è tenuta in Municipio a Viareggio, Sala di Rappresentanza alle ore 16.00 di sabato 4 maggio 2013.

Recensione - Rita Pacilio su “Dei settantaquattro modi di chiamarti” di Anna Ruotolo - Raffaelli, 2012





Dei settantaquattro modi di chiamarti (Raffaelli Editore2012), premio clan Destino 2011, di Anna Ruotolo, sconfina l’itinerario del luogo geografico e della intenzionalità temporale. In questo lavoro elegante con una forte identità letteraria, le architetture poetiche, materializzate attraverso taglienti precisioni liriche, si alternano a combinazioni che avanzano in prosa ritmica, ricca di senso e di potenti riflessioni. Questo equivale a dichiarare il bisogno di intendere la poesia come un discorso sovra-personale, come l’ingrediente che accresce il gusto della parola che ha il compito incessante di sostenere il ruolo importante della bellezza, della vertigine, dell’amore e della speranza, del linguaggio poetico, quindi, come catalizzatore necessario della comunicazione. Ruotolo attraversa il tempo segreto dell’esperienza vissuta in simbiosi con la realtà intima e familiare che lei denomina attraverso settantaquattro modi; unico modello imitativo di riferimento: la grand-mère. Attraverso parametri esteriori utilizzando immagini e colori che confessano il ricordo, l’empatia, la compagnia, il dialogo, l’intesa, la rassegnazione e l’accompagnamento verso i luoghi essenziali e definitivi del mistero, Ruotolo si trasforma ella stessa in uno spirito che vaga tra la montagna e la neve, tra se stessa e la parola minima che la denomina e la ospita così come designa il colore primario della realtà pura, la neve, il bianco latte, il bianco del foglio, il bagnato della pioggia, in cui la morte racchiude e contraddistingue il silenzio che per sempre condurrà le anime che vanno. La sequenza numerica utilizzata può rimandare il lettore a tappe estetico/contemplative dell’atteggiamento alchemico arricchendole di dialogo e confronto con ulteriori tradizioni letterarie in cui il pensiero filosofico passa dal surrealismo/simbolismo all’epigrammismo/infrarealismo. L’autrice favorisce l’esplorazione sorprendente della coscienza generazionale, con gratitudine, documentandola attraverso una nuova forma di fare preghiera, confessione, utilizzando liricità e movenze fluide penetranti, essenziali e suggestive. Ruotolo bisbiglia una straordinaria acquisizione di ruoli passando attraverso rivisitazioni della natura e della spiritualità con rigore poetico e voce empatica restituendoci atmosfere per le ultime sonate per pianoforte di Beethoven o Wagner. Si traduce la significazione della storia grazie a nessi logici, punteggiature, spaziature del foglio, giochi di parole, capoversi permessi dallo studio, vasto e cruciale, del linguaggio moderno sperimentato in modo teatrale dall’autrice che registra e celebra il mondo delle cose e l’abitare multiforme del destino.


(disordine)
L’ordine dei giorni.
Il disordine dell’inciampo, della parola che pronunci dopo dieci giorni
di silenzio e fiato rosso.
Il disordine dell’ora legale e lunghissima sera,
il disordine della tromba sul tetto,
il disordine del matto.
Il disordine della tua storia lanciata così,
il disordine del tuo corpo di bolla e del tuo cuore forte
che se fosse più forte lo direi felice.
Il disordine delle mani battute nella notte,
il disordine dei fuochi d’artificio,
il disordine dello scampato all’onda disastrosa,
il disordine del regalo nel giorno anonimo,

il disordine del gesto gratuito.
L’ordine delle stagioni.
Il disordine del caldo d’inverno,
il disordine del camino acceso a marzo.
Il disordine di tutto il cibo comprato, il disordine del libro lasciato in fretta.
Il disordine del tuo racconto nelle mani di qualcuno.
Il disordine del vento nel sereno.
Il disordine del venditore di frutta sotto la tua finestra.
Il disordine mondiale del primo dell’anno che
                                 [dormi e ti predi quasi, se non fosse che
arriviamo in fila, rotta la lentezza della tua stanza,
                                                                 [messi i nostri piedi
e le ginocchia sul tuo letto, obbligata a bere una cosa
            [frizzante, obbligata all’ultima fotografia di certezza.

L’ordine delle cose.

Il disordine e il tumulto del tuo sorriso.

(da “Dei settantaquattro modi di chiamarti”, Raffaelli, 2012)

Anna Ruotolo (1985) vive a Maddaloni, in provincia di Caserta. Frequenta la facoltà di Giurisprudenza. Ha pubblicato la raccolta “Secondi luce” (LietoColle, 2009 – seconda edizione 2011. Premio Turoldo 2009, Premio Silvia Raimondo 2009, Premio Città di Ostia 2011) e  “Dei settantaquattro modi di chiamarti” (Raffaelli, 2012 – pubblicazione premio ClanDestino 2011). È presente in varie antologie poetiche, tra le altre si segnalano: “Quattro giovin/astri” (Kolibris, 2010), “Raccolta di poesie“ (Subway edizioni, 2011), “La generazione entrante. Poeti nati negli Anni Ottanta” (Ladolfi editore, 2011 – a cura di Matteo Fantuzzi e con una prefazione di Maria Grazia Calandrone). Ha vinto premi nazionali ed internazionali giovanili (tra gli altri, il “Premio Turoldo” 2009 nella sez. under 25, il concorso “Subway letteratura” 2011).Suoi testi sono apparsi in varie riviste tra cui “Poesia” di Crocetti, “Capoverso”, “Poeti e Poesia”, “Italian Poetry Review” (anno 2009, num. 4, – Columbia University, The Italian Academy for Advanced Studies in America and Fordham University), “La Clessidra”, nel quotidiano “Il Tempo” e in blog e magazine online (Absolute Poetry 2.0, Neobar, L’occhio del pavone, Poetry Wave-Dream, Blanc de ta nuque, Imperfetta ellisse, Poetarum Silva, Transiti Poetici…). Un testo tradotto in spagnolo da Jesús Belotto è pubblicato nel num. 4 della rivista internazionale “Poe +”. Collabora, scrivendo recensioni, con la rivista “Poesia” (Crocetti). È redattrice del mensile MyGeneration dove cura la rubrica “La Strofa sul Sofà”. Dal 2008 al 2010 ha curato e condotto il poetry slam “Su il sipario” in diversi locali casertani.

 http://www.lestroverso.it/?p=2432


Recensione - Rita Pacilio su 'Il mondo nelle cose' di Nadia Agustoni - LietoColle 2013








Un codice di paragone che cerca, nel linguaggio poetico, la spiegazione al complesso reale che si rimodula e si rimescola nella centrifuga metaforica del compromesso con le cose appartenenti al mondo: nasce così l’ultimo lavoro di Nadia Agustoni, Il mondo nelle cose (LC 2013), come una tenuta forte dell’eterno collasso identitario di ciascuno di noi. In poesia, l’anima si sveste di paradigmi e incoerenze e cerca, nella parola poetica, la garanzia, seppur frammentata, dell’incarnazione possibile del senso e della fortunosa avventura, leopardianamente intesa, come ‘terrestre e celeste’. Agustoni è la plausibile viandante che sventra ogni agitazione emotiva che, la fretta e l’omertà del tempo sociale, riduce a impotenza, a tormento. Si carica, con coraggiosa personalità, connessa ai personaggi della letteratura del settecento, Venerdì e Crusoe, di ideale e reale allacciandosi al simbolismo che ha come massima aspirazione l’elevato, la bontà autentica, la ricerca della libertà. Nella parte iniziale del testo, infatti, l’autrice mette in movimento le direzioni e le evocazioni di alcuni sentimenti e meditazioni appartenenti alle fonti letterarie che dal settecento arrivano al primissimo novecento: la concezione estetico-etico-conoscitiva tende a limare la forma del Male/Buio baudelairiano scegliendo di risolverlo in un confronto con l’aspirazione di sapere che esiste l’altrove in cui le proiezioni dualistiche possono essere messe a fuoco e risolte. Uno sguardo all’esigenza di collocarsi dalla parte della verità, in modo chiaro e autentico: l’autrice deposita, a livello letterario, l’interpretazione energica tra passato e presente soffermandosi nell’attualità nostalgica dell’eroico inteso come organicità della controparte salvifica. L’alter ego dell’io lirico diventa l’io narrante che si proietta in un’ideazione di noi stessi come riflettori di esperienze di viaggio, di attese, di quotidianità. Nadia Agustoni avverte l’esigenza di coordinare le fragilità dei suoi personaggi per rendersi mediatrice e intermediaria tra la poesia e la costruzione rocambolesca dell’inquietudine umana e della scelta morale resa fisica, personalizzata, materia. Il mondo nelle cose fornisce al lettore elementi per discutere e ironizzare sul miracolo della cancellazione della presenza del declino: ogni lettore può identificarsi in una minuscola particella del cosmo che si avvolge su se stessa e ruota intorno ad altre misure di paragone per sentirsi onnipresenti e per vedersi dal di fuori nei modi temporali più prossimi alla propria conoscenza, alla propria individualità. Ecco, quindi, che si scandisce la frantumazione del presente che si scontra e si fonda con il passato e poi si rende interminabile nel futuro. La poesia diventa monito, tentativo di persuasione, ardore di smembrare vendette o solitudini destinate a colpire i deboli e i meno intrepidi. Corpo Nostro PPP è l’epilogo del vigore dell’intelletto e della spiritualità che esprime aperture di posizione, di dignità, di ripresa sociale. La visione poetica si intreccia con la comunicazione della forma, dello stile che ha un netto slancio verso il plurilinguismo, perché l’autrice sa bene quanto si possa rovesciare l’atroce dolore di tutta la vita.

seminava aiuole
nell'inverno - un Dante
azteco e gabbiere
al supermarket -
aggrappato a carrelli
a cassette di frutta
(nei giornali sportivi
metteva consonanti
e l’orologio gli andava come a Lima
o nella Terra del fuoco)
nel parterre di un ipermercato
un contuso Venerdì
tra réclame e luci elettriche
sbircia toilette per cani
e dice “cane” il mondo.

*
era qualcosa nel freddo
il colore della nafta e cisterne
l’agonia dell’aria sui cancelli
- ma il cuore degli uomini se graziato
risponde con un mantra di sirene
di fabbriche e vento sporco -
e i camion sulla camionabile
coi clacson cantavano il purgatorio:
“ Dante quassù avrebbe sognato
la fissione dell’atomo o Hiroshima”,
e di nuovo autostrade
un valico a nord ovest
con la terra azzurra
il cielo azzurro di Vicchio
e sopra l’Appennino,
nel temporale, quella luce
affrancata dal bene
così limpida.

*
era solo coi nidi e le piante
tavole di legno nell’orto
parlando di formiche
risaliva il formicaio
(gettava mollica e il secco
del cuore) irrorava
con lo spray, senza compiere
nulla, sembrava calligrafia:
a volte si pensa nelle parole
sente le parole staccarlo.

Nadia Agustoni (1964) ha pubblicato per Gazebo Edizioni i seguenti libri di poesia: Grammatica tempo ( 1994) , Miss Blues e altre poesie (1995), Icara o dell’aria ( 1998), Poesia di corpi e di parole ( 2002), Quaderno di San Francisco (2004) e Dettato sulla geometria degli spazi ( 2006), Il libro degli Haiku bianchi ( 2007) . Nel 2009 è uscito per “Le voci della luna” Taccuino nero.
Nel 2011 sono usciti Il peso di pianura per LietoColle, il Pulcinoelefante Il giorno era luce e la plaquette Le parole non salvano le parole per i libri d’arte Seregn de la memoria.
Nel 2013 per LietoColle è uscito Il mondo nelle cose.
Collabora a varie riviste e a blog letterari.

 http://ellisse.altervista.org/index.php?/archives/660-Nadia-Agustoni-Il-mondo-nelle-cose,-nota-di-Rita-Pacilio.html

Recensione - Enrica Meloni su 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' di Rita Pacilio - LVF 2012




Enrica Meloni per Rita Pacilio su excursus.org:
L’incompresa psiche di un essere umano nel mondo odierno

Una poetica inabissata nell’enigma della bizzarria mentale
che invita a meditare, in una silloge edita da La Vita Felice  

Una raccolta che si presenta al lettore come sguardo univoco rivolto alla diversità psicomorfa di un uomo, il quale è percepito ed osservato come intoccabile bizzarria dinnanzi all’ovvio sociale; un cantico di sofferenza racchiuso nell’intimità etica d’un poetare fraterno che non desta dubbio alcuno su quello che è l’imprescindibile bene offerto da chi osserva senza aver risposte.
Nell’opera di Rita Pacilio, Gli imperfetti sono gente bizzarra (La Vita Felice, pp. 44, € 10,00), si delinea la meditazione del pensare dinnanzi all’estraneità diretta ad un fisico zoppicante in mente e passo. Il testo, egregiamente trattato nella Prefazione di Davide Rondoni, narra il più grande ed irrisolto enigma della precarietà psicologica, nota dolente ed acre piaga di un sistema sociale inerme ed incapace di raggiungere una categorica cura.
La Pacilio, nata nel 1963, autrice poliedrica, fa della poesia una costante peculiare del suo essere, ma anche musicalità oltre le note scritte. Minuzia spiritualmente e si fa portavoce d’ogni lamento che diviene arte. Incarnatrice di sinapsi d’autore, nate ed evolute al mondo dinnanzi all’anima di chi, cauta ed attenta, si capacita di comprenderne l’essenza.
Lungi dall’esprimere monotematismi, la poetessa è voce ed atto polimorfi, ciò lo si intuisce anche attraverso le attività da lei svolte, vere laboriosità dall’umana impronta: sociologa, esperta d’orientamento e formazione nell’ambito dello sviluppo delle politiche del lavoro e della progettualità della Casa Circondariale di Benevento, mediatrice familiare e di conflitti interpersonali, di prevenzione delle dipendenze.
La sua attività appare come una nomenclatura nutritizia di contenuti impressi in una scrittura capace di parlar di un Io tra le genti meritevoli d’ascolto. La priorità umana diviene caposaldo di prim’ordine, denominatore irrinunciabile d’un tratto di penna delineante sacrali testimonianze. La Pacilio offre un’intensa esistenza ad un iter di composto silenzio, quasi riecheggiante di un esserci narrante che procede pronunciandosi in graduali respiri riflessivi.
L’imperfezione umana come protagonismo d’un fare inadeguatamente compreso è nel suo libro il fulcro di un attento scrutare, atto ad un esistere privo di canoni da rispettare. L’imperfetto mai massificato, sorte innata di una scarsa integrazione alla convenzione umana, scarno nel suo mostrarsi, libero nell’agire nei meandri del tessuto sociale.
La diversità è abitudinaria lettera minuscola d’un sillabario taciuto e la Pacilio, con elegante ed intima voce, ne pronuncia ogni singolo suono meritevole d’esser percepito da coscienze viventi oltre le terrene apparenze. Lei, amabile donna, mano toccante il dolore e nel medesimo tempo sostegno della sofferenza, non è sola femminea parola bensì testimone e sorella di chi è diverso pur essendo uguale. Il testo è una silloge della bizzarria di chi, come il destinatario dei versi, è primario oggetto d’una presenza speciale nel mondo. Lo sguardo poetico elabora il suo dualismo identitario verso quell’Alfonso, divenuto impronta nel sistema di plurimi sé, sconosciuti, inauditi, taciuti ma al suo pari intime realtà dal claudicante passo psicologico dinnanzi alle folli corse di chi è perfettamente inconsapevole che l’imperfetto sia solo una mera convenzione umana.
Il dilemma è un quesito nato dall’animo di una sorella che con composta preghiera accetta di cullar tra i versi un’immagine sofferta di una fraternità insolita, alla quale mai cessa di porre il suo benevolo affetto, nonostante la bizzarria d’una natura ingrata abbia dato il suo assenso ad un uomo destinato alla sua sana imperfezione.
L’aspetto morale dell’opera s’adorna di una tecnica poetica che definisce l’autrice pur senza conoscerla: componimenti apparentemente privi di titolatura, criptiche operazioni che narrano senza appuntare, categorici fraseggi a priori. Il lettore è invitato alla meditazione, gode dell’esser reso parte integrante di un immane dono umano ovvero la benevolenza verso chi è in noi pur avendo parvenze d’un egli lontano. Doppi settenari, quaternari, endecasillabi che si sciolgono in iati assonanti: «amore mio io sono questa / la bellezza del circo / la colpa di aver gridato / nel tuo gambo mendicante». Uno schema libero tra strofe di realtà sociale che spesso muta in musicali quartine di dolore.
Strascichi di un’immancabile ospedalizzazione intercorrono tra svariate velature metriche, per mezzo delle quali l’accezione metaforica appare rilevante: «i camici verdi gli camminano accanto / è una lenta collina che si muove / lacci e aghi senza aroma / a febbraio che trascorre svelto». Il punto focale della narrazione poetica è un intreccio privo di fine, una Via Crucis dal chiodo introspettivo, tramite il quale lei parla pur apparendo tacente.
Un critico attento non potrebbe non dar merito alla presenza di una catacresi testuale che inonda l’opera d’un netto valore aggiunto, una professionalità scrittoria attraverso la quale termini apparentemente impropri riescono a raccontare quanto essa stessa stia guardando: «le vertebre hanno il petto impreciso / e aprono la pace imbavagliata / sanno sbarrare fiumi impacciati / colpevoli della fine del tempo».
Gli imperfetti sono gente bizzarra è un’opera editoriale emblema d’una riuscita circonlocuzione, un cammino tra pronunce e dialoghi che lentamente sono soliti ritornare ad un punto di partenza: il destino di chi resta bizzarro al mondo.
Enrica Meloni
(www.excursus.org, anno V, n. 46, maggio 2013)

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