Recensione - Rita Pacilio su Davide Rondoni 'Vedere il tuo viso voltarsi'




Vedere il tuo viso voltarsi
di Davide Rondoni
(I quaderni del circolo degli artisti Faenza)
Commento di Rita Pacilio

Chissà se un discorso sulla poesia deve cominciare sull’uomo o sulle sue doti liriche. Spesso la parola poetica e la materia umana sono così audacemente fuse che, al lettore attento, arrivano umori modulati in un’unica ossatura compatta. Si stabilisce un surrealismo di giochi assoluti come parallelismi simbolici in cui il corpo è in continuo movimento (Rousseau). Si aderisce al senso dei sensi nella necessità di una andata e di un ritorno. Un tempo umano sintetizzato nella forza del riscatto di una ricerca del luogo/spazio verificato come dilatazione dell’io interiore in cui disimpegnare gli innumerevoli paesaggi amorosi/amorali per eroizzare l’elemento armonia/vigilanza dell’io etico che ci rappresenta nella cultura sociale. Si celebra la metamorfosi delle nostre emozioni allo specchio. Ci si ferma a gioire delle piccole cose: il Poeta si fa filtro per rimettere a posto i tasselli al di là dei condizionamenti e delle certezze. Non baratta il desiderio con la realtà: la fiducia in sé resta indispensabile ed ogni ricordo deve mantenersi limpido per diventare prolungamento di luce nel domani. Le atmosfere monologanti sono atti di fede, canali sorgivi che, nella scrittura post-moderna, risultano essere ‘esperienze personali condotte anch’esse a una condizione di oggettività’. Catarsi che si mescola a personificazione evocativa: chi legge raccoglie l’ardore lucido e armonico del verso e ci si immerge in una intimità irresistibile, cristallina, segnata dall’ispirazione dell’Autore che ha sicuramente esasperato l’architettura delle sue rivendicazioni, dei suoi incontri o delle proprie nostalgie (Edgar Allan Poe). Lo svolgimento poetico, liberato dalle leopardiane rimembranze, ci sorprende con suggestioni dissonanti e gli accenti, che talora diventano passivi, incalzano in urgenze vertiginose e ritmiche che maturano in materia musicale classicheggiante. Qui l’ambizione che mira a ripercorrere la metrica ‘dentro il sangue’ del vocabolo poetico e il sogno sognato della profonda e percettibile musicalità del sentire.

Partecipazione - Strade poesia Guardia Lombardi 2011



LE STRADE DELLA POESIA

Poesie della terra
Guardia Lombardi (AV)
 
dalle ore 16,00 di sabato 24 settembre
alle ore 20,00 di domenica 25 settembre
 
180 poesie - 20 cartelloni - dibattiti - letture - incursioni sonore 
 
ospite Franco Buffoni

Recensione - Pacilio su Artuso 'Il canto delle farfalle ' - LC 2011

Il canto delle farfalle
Francesco Artuso
Commento di Rita Pacilio

Emergono scene in tonalità pastello, a volte turbate dall’amarezza di una penna che si abbandona all’oblio, agilmente ritmate da una rara capacità di dinamica linguistica in un lirismo strutturato tra strofe classiche e versi liberi più vicino a Montale o ai poeti del 2000.  E’ Il canto delle farfalle, esordio LC di Francesco Artuso, che appare una performance che dà risalto ai valori del tempo e della memoria sensoriale. Nel moto ondulatorio delle ali troviamo l’estensione orizzontale della condizione febbrile del desiderio di conoscenza, come parte necessaria dello strumento-poesia, che si immerge nella creatura-poeta, per diventare tangibile funzionamento comunicativo. La discesa in verticale nel tempo permette al lettore la visione di ciò che per l’Autore è contatto fisico/creativo del processo difficile e misterioso che è l’esperienza complessa e terribile dell’incontro con l’io-muto interiore.
Non si tratta di una poesia intellettuale perché non è solo la ragione che muove il linguaggio o l’espressione che trovo, in questo lavoro ben riuscito e che mi riporta a il ‘Colloquio con il cielo’ di Sylvia Platb, ben ritmata e densa di armonici stemperati ad arte. Molte immagini, mormorii, al di là del significato semantico delle parole, legate al dolore esistenziale, si trasformano in canti espressi in speranze destinate ad ammutolire i destinatari per restituire forza ed incitare a procedere oltre: abbandono le cicatrici/al sale, poesia come sublimazione della sofferenza (Katarina Frostenson).
Il punto di vista è sicuramente antropocentrico, le cose si trovano in spazi aperti: il nostro mondo interiore si scompagina ed esce fuori all’istante, diventa macro e diviene multi-esperienza diluendosi nel mondo in micro particelle. Solo il poeta sa che da quelle parti una voce risponde: scomporre gli attimi/…per scrutare ogni nuova trasparenza/….lo svuotarsi dell’anima/….il distacco da un sorriso/…sospendo il vuoto/….dove sgretola l’intonaco del tempo….
Francesco Artuso rispetta le leggi metafisiche mettendo a dura prova il lettore che deve accettare che, tutto il tempo precedentemente trascorso, venga convogliato verso il ‘qui’ inteso come una nuova apertura, uno spalancamento o, se vogliamo, un misterioso ‘abisso’ in cui sottendere il canto verticale come lampo o dogma della dura e meravigliosa realtà poetica.
Rita Pacilio