PACILIO
Claude Monet, Camille Monet con bambino

Il bambino per comunicare il suo mondo interiore possiede due tipologie di linguaggio: la lingua ufficiale, linguaggio denotativo, quella codificata dalla grammatica e dalla sintassi, e l’altra, la lingua inventata, quella della fantasia, personale, intima, creativa, che costituisce il linguaggio connotativo. Il linguaggio poetico appartiene a questa seconda categoria di comunicazione e, se per l’adulto la seconda tipologia di comunicazione può essere quella meno importante, soprattutto se non si tratta di un poeta o di un artista, per un bambino, invece, questa rappresenta la forma di comunicazione più necessaria e funzionale, affinché possa rielaborare stimoli percepiti per trasmetterli accuratamente al mondo intero. Più di trenta anni fa gli studi si concentravano su come il bambino parlava e su come si arricchiva il suo vocabolario grammaticale e sintattico. Oggi la ricerca si muove sul cosa il bambino dice, sulla sua competenza comunicativa, sulla sua capacità interattiva considerandolo, per una sorta di rivoluzione copernicana, parte attiva di un contesto allargato e complesso. Il linguaggio comunicativo diventa, in questi termini, la funzione principale e primaria dell’equilibrio che si stabilisce tra l’interno e l’esterno di chi comunica: diventa fondamentale il sentire di colui, in questo caso del bambino, che è inserito nella società. Ecco perché attraverso il linguaggio il bambino codifica le proprie impressioni del mondo circostante denominando le cose intorno, identificandole, sistematizzando, così, le proprie impressioni attraverso un processo di interiorizzazione del regno delle immagini cui viene a contatto e traducendo tutto il dominio dei nomi con il grande strumento delle proprie emozioni. A questo proposito è doveroso chiarire un equivoco di fondo: i bambini hanno una competenza comunicativa di tipo connotativo per una conformazione strettamente psicologica innata, istintiva, direi, per una manifestazione affascinante e spesso occasionale, quasi come un atteggiamento incondizionato. Il linguaggio poetico attribuibile ai bambini è collocabile nella comunicazione ed è assolutamente legittimo se inteso come un’innata propensione dell’essere umano al linguaggio poetico o alla natura artistica. Qui si potrebbero innescare le innumerevoli diatribe sul concetto innato/acquisito, ma il nostro interesse è collocare il bambino nell’ampio discorso della comunicazione (Ada Fonzi, La magia delle parole: alla riscoperta della metafora, Einaudi). Non per questo, però, tutti i bambini saranno poeti da adulti. Sottolineo che è importante imparare a esprimere il proprio mondo interiore e che richiede necessariamente la capacità di staccarsi dall’oggettività della realtà esterna e dalla staticità dei modi abituali di decodificarla. Ciò si traduce in definitiva nel padroneggiare la realtà in modo visionario: una abilità che appartiene solo al Poeta! Il poeta entra nel mondo come se si incamminasse in una scena intuendone le straordinarie possibilità di avventura. Per dirla con Elsa Morante, qui, nel reale il poeta smaschera gli imbrogli, qui si dissolvono e scompaiono/appaiono i sensi plausibili, e una poesia una volta partita non si ferma più, ma corre e si moltiplica, arrivando da tutte le parti fin dove il poeta non se lo sarebbe aspettato.