Lucia Pinto: REMINISCENZE con commento di R. Pacilio
03 maggio 2011
REMINISCENZE
La favola dell’anima inquieta
Intuizione poetica e bisogno di stupore
per REMINISCENZE di Lucia Pinto
di Rita Pacilio
Se gioire e commuoversi sono forme capricciose di emozioni che spesso leggiamo nelle espressioni di opere romantiche e irrequiete ricche di ebbrezze e di malinconici accordi, adesso qui, in Reminiscenze di Lucia Pinto, opera di assoluta poeticità post-moderna, si posano gradevoli soluzioni di interpretazioni e di attese. La poesia che emerge è il bisogno intimo di una ansietà di comunicazione: l’attesa di testimoniare i segreti profondi della tristezza acquisita e dei conflitti del cuore in travaglio con i lamenti di uno sconsolato spazio/ambiente incapace di accogliere sensibilità ampie e domande mute.
La raffigurazione del viso di donna, in silenzio potente e stridulo, ad un tempo, mostrano i dolori di un corpo/anima, come un Cristo in croce, quasi a rappresentare la sconfinata passione di un Gesù di Mathias Grunewald soffrendo con lui le pene feroci del mondo intero. Eppure, nel silenzio, la concentrazione dei muscoli, le braccia protese e le mani chiare, tese nel desiderio di comprendere ogni cosa o nel bisogno di stupirsi, ci porta nella favola, nei posti umili: lì dove possiamo redimerci. La Pinto, artista, graffia con la tecnica fotografica e telematica il gioco della meditazione per continuare a meravigliarci: ed è poesia ancora. (È orale la tua essenza Venne senza la bocca)
Ombre, luci, sguardi, venti, suoni gutturali, colori, che fanno coro e parole, che emergono in una eterna espressione. Trionfa l’inquietudine dell’occhio verde, l’eternità dello sguardo calato sopra ogni cosa, l’inclinazione a reinterpretare le proprie emozioni, un sogno finito o infinito, guardare il proprio dramma e quello degli altri, ripiegarsi, riaprirsi.
L’Autrice ci mostra la profondità della nostra vertigine: le reliquie, ma anche i nuovi orizzonti. Senza limiti.