Recensione - Enrica Meloni su 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' di Rita Pacilio - LVF 2012




Enrica Meloni per Rita Pacilio su excursus.org:
L’incompresa psiche di un essere umano nel mondo odierno

Una poetica inabissata nell’enigma della bizzarria mentale
che invita a meditare, in una silloge edita da La Vita Felice  

Una raccolta che si presenta al lettore come sguardo univoco rivolto alla diversità psicomorfa di un uomo, il quale è percepito ed osservato come intoccabile bizzarria dinnanzi all’ovvio sociale; un cantico di sofferenza racchiuso nell’intimità etica d’un poetare fraterno che non desta dubbio alcuno su quello che è l’imprescindibile bene offerto da chi osserva senza aver risposte.
Nell’opera di Rita Pacilio, Gli imperfetti sono gente bizzarra (La Vita Felice, pp. 44, € 10,00), si delinea la meditazione del pensare dinnanzi all’estraneità diretta ad un fisico zoppicante in mente e passo. Il testo, egregiamente trattato nella Prefazione di Davide Rondoni, narra il più grande ed irrisolto enigma della precarietà psicologica, nota dolente ed acre piaga di un sistema sociale inerme ed incapace di raggiungere una categorica cura.
La Pacilio, nata nel 1963, autrice poliedrica, fa della poesia una costante peculiare del suo essere, ma anche musicalità oltre le note scritte. Minuzia spiritualmente e si fa portavoce d’ogni lamento che diviene arte. Incarnatrice di sinapsi d’autore, nate ed evolute al mondo dinnanzi all’anima di chi, cauta ed attenta, si capacita di comprenderne l’essenza.
Lungi dall’esprimere monotematismi, la poetessa è voce ed atto polimorfi, ciò lo si intuisce anche attraverso le attività da lei svolte, vere laboriosità dall’umana impronta: sociologa, esperta d’orientamento e formazione nell’ambito dello sviluppo delle politiche del lavoro e della progettualità della Casa Circondariale di Benevento, mediatrice familiare e di conflitti interpersonali, di prevenzione delle dipendenze.
La sua attività appare come una nomenclatura nutritizia di contenuti impressi in una scrittura capace di parlar di un Io tra le genti meritevoli d’ascolto. La priorità umana diviene caposaldo di prim’ordine, denominatore irrinunciabile d’un tratto di penna delineante sacrali testimonianze. La Pacilio offre un’intensa esistenza ad un iter di composto silenzio, quasi riecheggiante di un esserci narrante che procede pronunciandosi in graduali respiri riflessivi.
L’imperfezione umana come protagonismo d’un fare inadeguatamente compreso è nel suo libro il fulcro di un attento scrutare, atto ad un esistere privo di canoni da rispettare. L’imperfetto mai massificato, sorte innata di una scarsa integrazione alla convenzione umana, scarno nel suo mostrarsi, libero nell’agire nei meandri del tessuto sociale.
La diversità è abitudinaria lettera minuscola d’un sillabario taciuto e la Pacilio, con elegante ed intima voce, ne pronuncia ogni singolo suono meritevole d’esser percepito da coscienze viventi oltre le terrene apparenze. Lei, amabile donna, mano toccante il dolore e nel medesimo tempo sostegno della sofferenza, non è sola femminea parola bensì testimone e sorella di chi è diverso pur essendo uguale. Il testo è una silloge della bizzarria di chi, come il destinatario dei versi, è primario oggetto d’una presenza speciale nel mondo. Lo sguardo poetico elabora il suo dualismo identitario verso quell’Alfonso, divenuto impronta nel sistema di plurimi sé, sconosciuti, inauditi, taciuti ma al suo pari intime realtà dal claudicante passo psicologico dinnanzi alle folli corse di chi è perfettamente inconsapevole che l’imperfetto sia solo una mera convenzione umana.
Il dilemma è un quesito nato dall’animo di una sorella che con composta preghiera accetta di cullar tra i versi un’immagine sofferta di una fraternità insolita, alla quale mai cessa di porre il suo benevolo affetto, nonostante la bizzarria d’una natura ingrata abbia dato il suo assenso ad un uomo destinato alla sua sana imperfezione.
L’aspetto morale dell’opera s’adorna di una tecnica poetica che definisce l’autrice pur senza conoscerla: componimenti apparentemente privi di titolatura, criptiche operazioni che narrano senza appuntare, categorici fraseggi a priori. Il lettore è invitato alla meditazione, gode dell’esser reso parte integrante di un immane dono umano ovvero la benevolenza verso chi è in noi pur avendo parvenze d’un egli lontano. Doppi settenari, quaternari, endecasillabi che si sciolgono in iati assonanti: «amore mio io sono questa / la bellezza del circo / la colpa di aver gridato / nel tuo gambo mendicante». Uno schema libero tra strofe di realtà sociale che spesso muta in musicali quartine di dolore.
Strascichi di un’immancabile ospedalizzazione intercorrono tra svariate velature metriche, per mezzo delle quali l’accezione metaforica appare rilevante: «i camici verdi gli camminano accanto / è una lenta collina che si muove / lacci e aghi senza aroma / a febbraio che trascorre svelto». Il punto focale della narrazione poetica è un intreccio privo di fine, una Via Crucis dal chiodo introspettivo, tramite il quale lei parla pur apparendo tacente.
Un critico attento non potrebbe non dar merito alla presenza di una catacresi testuale che inonda l’opera d’un netto valore aggiunto, una professionalità scrittoria attraverso la quale termini apparentemente impropri riescono a raccontare quanto essa stessa stia guardando: «le vertebre hanno il petto impreciso / e aprono la pace imbavagliata / sanno sbarrare fiumi impacciati / colpevoli della fine del tempo».
Gli imperfetti sono gente bizzarra è un’opera editoriale emblema d’una riuscita circonlocuzione, un cammino tra pronunce e dialoghi che lentamente sono soliti ritornare ad un punto di partenza: il destino di chi resta bizzarro al mondo.
Enrica Meloni
(www.excursus.org, anno V, n. 46, maggio 2013)

 http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-e-meloni-per-r-pacilio-1359.html

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