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1. Quando hai cominciato a scrivere e cosa hai scritto fino ad ora?
Rita Pacilio in Poesia nasce con me, da sempre. Ho scritto le mie prime ‘frasi poetiche’ a sei anni, quando ho cominciato a prendere la penna in mano. Ho avuto la fortuna di avere una Maestra, Maria Tortono, che fosse un Poeta. E’ stata lei, la prima, ad accorgersi del mio talento poetico. Sono stata fortunata da subito: lei mi ha seguita e mi ha indicato le letture da prendere come riferimento per la mia crescita personale. Ho cominciato a leggere Roberto Piumini, Ada Negri, Edmondo De Amicis, per passare immediatamente a Palazzeschi, Bukowski. Partecipavo ai Premi di Poesia indetti dalla scuola e quando avevo consensi e riconoscimenti la mia Maestra ne gioiva come fosse un Premio tutto per lei. La sofferenza con cui la vita mi ha messo in contatto prestissimo (avevo solo 9 anni quando morì il mio caro papà) è stata la mia seconda maestra. Intraprendere un cammino di solitudine affettiva e di confronto quotidiano con le difficoltà mi ha affinata e modellata non solo nel carattere e nella sfera emozionale ma anche nella scrittura e nella comunicazione con il mondo. Il mondo è diventato il mio interlocutore preferito: il mio ‘tu’ a cui rivolgere le innumerevoli domande e i miei ‘sentiti’ che diventavano sempre più profondi e consapevoli. Ho scritto di me e del mondo da sempre per sentirmi libera, così, di ridimensionare il dolore cambiando la prospettiva delle cose. Libera di catturare i momenti imprimendoli nelle pagine scritte dove prendono forma i pensieri. Ho scelto un percorso di studi, la Sociologia e la Psicologia sociale, che mi permettesse di fare tutto questo, che mi desse la possibilità di vivere l’altro da me come uno specchio per poterlo esplorare e che mi riflettesse i mondi plurimi che mi appartenevano. La musicalità delle scienze sociali, il ritmo delle regole e delle norme dei contesti, le armonie dei rapporti intimi e interattivi e le melodie delle affinità comunicative relazionali sono le stesse tre variabili che la Poesia e la Musica contemplano e intorno a cui si muovono. Non sono mai stata capace di scinderle. Mi sono occupata di interazione e comunicazione sociale e per la stesura di argomentazioni sulla ‘Famiglia’ nei ‘Quaderni di ricerca dell’Università’ ho elaborato alcune mie considerazioni sociologiche. Ho pubblicato i seguenti volumi di poesia: “Luna, stelle…e altri pezzi di cielo”- Edizioni Scientifiche Italiane (anno 2003); “Tu che mi nutri di Amore Immenso” – Nicola Calabria Editore (anno 2005); “Nessuno sa che l’urlo arriva al mare” – Nicola Calabria Editore (anno 2005); “Ciliegio Forestiero” – Lietocolle Libricini da collezione di M. Camelliti (anno 2006); “Tra sbarre di tulipani” - Lietocolle Libricini da collezione di M. Camelliti (anno 2008 “Alle lumache di aprile” - Lietocolle Libricini da collezione di M. Camelliti (anno 2010 ).
La poesia Mettimi in rima è stata inserita nel poetico diario Il segreto delle fragole 2007 Lietocolle; Inghiottimi nella sera stanca è inserita nel poetico diario Il segreto delle fragole 2008 Lietocolle; Ho puntellato l’orlo della gonna e Eros e santità (scritta a quattro mani con Adelio Rigamonti) è inserita nell’Antologia Rosso 2010 Lietocolle; Sotto il salice è inserita nel poetico diario Il segreto delle fragole 2011 Lietocolle.
Molte liriche sono pubblicate in Antologie Poetiche Nazionali e vantano numerosi premi in concorsi letterari nazionali. E’ autrice, inoltre, di racconti erotici, racconti di carattere sociali e di letteratura per l’infanzia (filastrocche, fiabe, favole e quaderni operativi corredati da schede didattiche).
Tra sbarre di tulipani Lietocolle riceve la Menzione d'Onore con Medaglia per la Sezione Libro Edito - Poesia Premio Città di Bellizzi Sa anno 2010.
Luna, stelle…e altri pezzi di cielo”- Edizioni Scientifiche Italiane (anno 2003) I Premio Concorso Nazionale di letteratura e poesia 'Calicantus' Patti – Messina.
Ho appena terminato di scrivere il mio primo romanzo poetico e mi sto guardando intorno per il suo inserimento nel mercato editoriale attuale.
2. Secondo te perchè molti pensano che la poesia sia morta? Tu mi sembri viva e vegeta...
A questa domanda, se mi permette, vorrei rispondeLe con una riflessione che ho fatto ad alta voce in seguito a interrogativi provocatori e suggestivi che il Maestro Giorgio Linguaglossa aveva sollevato sul sito Lietocolle. L’argomento riguardava il rapporto tra l’italiano e i dialetti e la loro alienazione nel tempo. Trasferisco quella suggestione alla domanda altrettanto provocatoria che Lei mi pone in questo momento e parlando della morte della Poesia, in cui io non credo affatto, mi va di riportarle integralmente quella mia riflessione: (http://www.lietocolle.info/it/r_pacilio_in_risposta_a_linguaglossa_dialetto.html )
Rita Pacilio riflette ad alta voce dopo la lettura di
‘La questione del rapporto tra l'italiano e i dialetti' di Giorgio Linguaglossa
Nel passato storico ritroviamo società che credevano che gli eventi e le vite ritornassero. Non c'era preoccupazione alcuna per l'avvenire sociale. I Greci, per esempio, sentivano il futuro come un prosieguo e non un cambiamento della condizione umana. Quando in Occidente trionfò il Cristianesimo, che prometteva una vita dopo la morte, ci fu una fortissima concentrazione sulla conquista dell''eternità ed un deconcentrarsi sull'avvenire della società. Solo con il progresso scientifico è avvenuto un ridimensionamento tra la ragione umana che cercava di dissolvere mali sociali e la coscienza religiosa e quotidiana (Yves Bonnefoy). Eppure nel quadro inquietante in cui oggi tutti siamo gli autori, parliamo di poesia e di rapporto tra la lingua e i dialetti o di dove va la poesia e se c'è una post poesia. E così perdiamo la fiducia nelle intuizioni soffermandoci sulla decifrazione di contenuti concettualizzabili in una condizione di differita. 3. Con quale poeta faresti un bel pic-nic al parco?
Se potessi vorrei fare un bel pic nic nel parco con molti Poeti contemporanei che stimo molto, con Adelio Rigamonti per parlare tra un panino e l’altro, di tecnica poetica e di metrica; con Giorgio Linguaglossa (che oltre ad essere critico letterario lo ammiro anche come Poeta) per parlare di Poesia e Post – Poesia e di Poetica al femminile, di cui mi interesso ultimamente; con Annamaria Farabbi, Gianpaolo Mastropasqua, Lucia Pinto, Fabiano Alberghetti, non per ultimo il mio Editore–Poeta Michelangelo Camelliti.
Scelgo però per un picnic speciale l’Autore Claudio Moica che ho preferito avere accanto nella mia interazione poetica a quattro mani in un video ‘Volerti’ presente su youtube in cui le voci poetiche si alternano in una sequenza ritmica di emozionanti e suggestivi versi sfocianti in un dialogo poetico già strutturato in un percorso che è in programmazione Lietocolle per l’anno 2011. Poeta-Scrittore sardo Claudio Moica (1963) è nato in Sardegna. Ventenne si trasferisce a Firenze per poi tornare dopo circa vent’anni nella sua Isola d’origine. Fonda l’associazione culturale “Suergiu uniti nella cultura” di cui è Presidente e come Direttore Artistico organizza la “Fiera del libro del Sulcis-Iglesiente”. Affianca gli insegnanti delle Scuole Primarie nei laboratori di Scrittura Creativa. E’ stato Presidente di giuria e giurato in premi letterari nazionali. Nel 2008 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli concede l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana per meriti socio-culturali.
Ha pubblicato i seguenti volumi di poesia: “Vertigini di vita”- Lampi di stampa (anno 2004); “Oltre lo sguardo” – Edizioni Il filo (anno 2005); “Angoli nascosti” – Edizioni Il Filo (anno 2008).
Vincitore di numerosi premi letterari nazionali nel 2005 la poesia “L’uomo nella torre” risulta finalista alla Biennale di Poesia a Venezia, recitata successivamente dall’attore Arnoldo Foà.
Molte liriche sono pubblicate in Antologie Poetiche Nazionali. Ha collaborato insieme a personaggi del mondo della cultura e politica nazionale alla stesura del libro patrocinato dalla Presidenza del Consiglio della Regione Sardegna “Canne al vento in ricordo di Grazia Deledda”. Su di lui sono apparsi svariati articoli su testate giornalistiche nazionali (“La Nazione ” – “Radio corriere tv” – ecc.).
4. Com'è nata questa commistione tra poesia e musica, e in cosa consiste?
Quando ero bambina ascoltavo musica classica. In casa di domenica era abitudine ascoltare in silenzio religioso le Quattro stagioni di Vivaldi. Quando arrivava la Primavera io cominciavo a ballare e sentivo nell’aria un profumo che mi inebriava. Sono diventata mamma giovanissima e il mio primo parto oltre alla gioia di un bel bimbo mi ha anche portato una malattia rarissima e un coma. Quando sono uscita dal coma ho avuto tanto tempo libero che ho dedicato all’ascolto della musica e la grande Billie Holiday è stata la mia amica di stanza. Mi ha tenuta compagnia per un lunghissimo tempo. Avevo in casa tutti i suoi dischi in vinile, quelli di Ella, di Amstrong, ma anche di Patitucci, di Miles Davis e tantissimi altri. Così ho imparato con lei a tenere un tempo diverso. Tutto quello che avevo studiato prima e cantato prima sembrava appartenesse ad un altro emisfero. Ero entrata in un’altra dimensione. Billie parlava un linguaggio nuovo. Me lo diceva mentre ritardava sulle armonie e mentre cambiava le melodie dei brani. Improvvisava con una voce che non usciva dalla gola ma dall’anima. Cominciai ad avere voglia di saperne di più. Mi aggrappai alla vita di nuovo. Gli accenti del jazz mi avevano fatto uscire dalla depressione del post coma. Volevo capire cosa mi stava facendo quella donna che nella voce aveva lo strazio del mondo e che mi stava salvando la vita. Avevo solo 27 anni. Billie Holiday non lo poteva sapere ma stava diventando la mia Prima Grande Maestra jazz. Non appena cominciavo a riprendermi, ho cercato di mettermi in contatto con le Scuole Private del Jazz Moderno qui nel Sud Italia. Ho conosciuto Paola Arnesano e Luigi Di leone a Bari che sono i maestri della Scuola Il Pentagramma a Bari dove ho studiato due anni. Poi sono passata alle masterclass e ai Laboratori tecnici di Calo Lomanto presso il Noir a Napoli e a quelle di Jay Clayton ed Eva Simontacchi e G. Mena a Novate Milanese. Ho perfino superato gli esami di ammissione al II livello del Conservatorio di Benevento Classe Jazz, ma poi mi sono ritirata per motivi familiari. A Milano condivido lezioni studio con Claudio Fasoli, con cui ormai è nata una collaborazione di lavoro che ci porterà alla splendida realizzazione del nostro primo album che a breve registreremo. Fasoli ha scritto molti brani per le mie poesie e così abbiamo realizzato un progetto che vorrei presentare prima della fine dell’anno. E’ nel 2006 che è nato ‘Jazz in versi’: Poesia e musica jazz: contaminazioni.
Si tratta di una proposta progettuale ideata e curata da me i cui accompagnamenti jazzistici, l’utilizzo delle improvvisazioni degli strumenti e l’educazione al suono tecnico, colto e raffinato creano la giusta atmosfera per parlare attraverso la poesia un linguaggio universale: l’emozione.
La scelta del repertorio è legata alla voglia di proiettare con immediatezza il senso profondo dell’esperienza umana e musicale della tradizione ormai consolidata del jazz moderno. C’è la sottile ricerca della poesia jazzistica capace di conciliare con arcana naturalezza swing e colloquialità di fraseggio, immaginazione musicale e intimità comunicativa. Carisma. La Poesia quindi si fonde con la musica e completa la mia esigenza emozionale di esprimermi attraverso le due forme d’arte che mi appartengono da sempre.
Ho partecipato a manifestazioni di settore come “Sannio Fest”, “Ceppaloni jazz e blues”, “Quattro notti e più…di luna piena” “Artisticamente parlando”, Festival jazz ‘Special event’ al Doria a Milano, “Festival jazz di Torre Gaia”, ‘Ore di jazz’ al Club jazz Charleston ad Avellino, Estate a Roma 2009: “Roman’s lungo il Tevere”, Festival Padova jazz 2009. Semifinalista Kantafestival 2009.
Ascolto Scheila Jordan, F. D’Andrea, Luca Aquino, Paolo Fresu, Maria Pia De Vito, Massimo Colombo, Anne Ducros, Roberta Gambarini, Diana Krall, Judy Niemack.
5. . Il tuo scrivere segue delle regole o delle scelte precise?
Certo, la mia scrittura risente e ne è notevolmente influenzata, dalla lettura di Maestri, per me modelli di riferimento, e da Autori che percorrono con me il loro cammino poetico. Sono cresciuta dal confronto e dalla messa in discussione quotidiana del mio essere Artista ma soprattutto Persona. Ammiro le innumerevoli modalità di scrittura che ultimamente apprendo dai miei colleghi. Spesso sono severa nell’esprimere un mio modesto parere critico e mi sorprendo di ritrovare tanta presunzione e arroganza nella definizione dei propri elaborati espressivi. La Poesia è nobile e va salvaguardata, non sempre può essere tradita o maltrattata da chi vuole dire in poesia ma non ci riesce o non ci riesce completamente.
Avevo cominciato a scrivere utilizzando ‘il verso libero’ che avesse ritmo, melodia e armonia. Poi ho approfondito corsi di ‘scrittura creativa’ seguendo anche un percorso professionale attraverso lo studio dei lavori teorici di Cristina Balzaretti. Ho modellato la mia poesia e sono entrata nel mondo dell’enecasillabo, grazie al Poeta-Maestro Adelio Rigamonti, e del posizionamento del verso in terzine o quartine. Mano a mano mi sono accorta che acquisivo un mio stile poetico che si è andato strutturando nel tempo senza che il mio studio lo impoverisse di originalità contenutistica. ‘I versi sono per lo più endecasillabi forti, ritmicamente evocativi, anche nella loro impurezza metrica. Il rifiuto sistematico della sinalefe nel computo delle sillabe, con un conseguente arretramento degli accenti, diventa, a mio avviso una sorta di firma stilistica dell'autrice’ (dalla prefazione di Adelio Rigamonti ‘Alle lumache di aprile’ Rita Pacilio – Lietocolle) . Adesso sono qui, certa di non essere arrivata ancora a lei ma consapevole di aver avuto la fortuna di avela conosciuta.
Da ‘Alle lumache di aprile – Lietocolle 2010 e da ‘L’ustione della poesia – Lietocolle 2010 la mia descrizione poetica del mio essere ‘ustionata’ dalla Poesia:
Così rievocavo le identità e gli irresistibili impeti sforzandomi di consolare il disincanto dell’apparenza della mia identità e dei ruoli degli altri.
Avevo sei anni, forse meno. Cominciai senza la penna in mano. Senza fogli.
Mi apparivano i doppi fondi delle cose e ne ero in balìa: non conoscevo ancora il modo per diventarne padrona.
Ancora adesso non lo conosco.
Sapevo di essere una dissonante intuizione ma quel ‘pensiero’ nascosto mi esplorava dall’alba di ogni giorno.
Mi confortava spiazzandomi tra paradossi e aforismi.
Mi faceva male a volte, mi possedeva da uomo.
Sentivo l’ingenua e pessima traduzione dell’oltre e cresceva.
Si dilatava.
Si moltiplicava.
Gli occhi spalancati hanno guardato gli eccessi dell’interiorità e sentivo che niente mi capitava invano. La responsabilità del controllo e del crollo del mio essere ha elevato i sensi.
Ogni cosa di me era in movimento.
Mi riparavo nelle rientranze della mano ma la sporgenza delle dita mi proiettava nell’aria in modo deciso e austero.
La trasgressione è diventata portatrice dell’ansia della banalità dei luoghi comuni. Così si è tracciata una strada che percorrevo da sola e pur sapendo di cancellare ogni passo, non tornavo mai indietro.
Sfumata, fluida, flessibile, spesso irresistibile, ambigua, appariscente.
Perversa e arresa.
Umile.
Persa.
Senza scampo.
Guardare nel buco dal buco qualcosa che non sapevo di avere.
Mi intrigava il fastidio, l’imbarazzo dell’etichettamento. Mi spiazzava l’indifferenza e rimuovevo il ‘tutto è possibile’. Sapeva che ero sua schiava: mi faceva indossare il velo e poi mi spogliava di fronte allo specchio.
Abitava negli aspetti essenziali della mia identità.
Dava vita a forme autentiche di reciprocità. Sapeva che non volevo la tolleranza, ma avevo bisogno di essere rispettata e compresa.
Accolta: una virtù come una forma di passaggio simmetrica scandalosa e pudica. L’immaginario fiabesco rappresentava la mia infanzia adattata al mutamento del personaggio che ero diventata.
Lei mi modellava.
Era quasi un incesto.
E non mi sentivo colpevole se mi stavo innamorando di lei e lei di me.
Un amore sparso nelle vene del polso destro, dove solo i segreti degli amanti possono mettere in scena l’affermazione del simbolismo del piacere.
Ho soddisfatto i bisogni della dipendenza per avere in cambio le poche cose che fanno stare bene.
Ho goduto il dolore presente nel ricordare la passione passata.
Ho lasciato mi violentasse il tormento irragionevole per assaporarne la saggezza solitaria. L’ho idealizzata.
L’ho battezzata dea.
Le ho lasciato il gusto di adottarmi come figlia.
Nessuno mi ha fatto domande diverse e non ero pronta al rifiuto: così la reazione di carne ha evitato i misteri ed ha accumulato giorno dopo giorno la testimonianza delle radici future.
Qualcuno mi ha chiamata ‘piantina di vetro’. Una luce di fuoco traspare. Lei lo sa.
Ha avuto il coraggio di promettermi che mi aspetta.
Rita Pacilio
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