Il
linguaggio poetico dello schizofrenico
nota di Rita Pacilio
I malati di
schizofrenia non hanno la capacità di sorvegliare le parole che utilizzano, non
riconoscono i loro errori e non desiderano accettare le correzioni altrui. Seguendo
gli alti e i bassi della malattia il linguaggio assume una caratteristica
bizzarra e di disintegrazione molto approfondita dagli psichiatri, che ne
esaminano il comportamento governato da problemi e desideri rimossi, dagli
psicologi comportamentisti, che ne analizzano stimolo e risposta, e, infine,
dai linguisti che studiano il linguaggio dal punto di vista della produzione e
della mancata applicazione delle regole linguistiche. A prescindere le diverse
impostazioni cliniche, il linguista si pone il perché la malattia determini
quel particolare linguaggio. Chi ha sostenuto che il linguaggio degli
schizofrenici sia poetico è stato David V. Forest con il suo gruppo di
psichiatri. Forest partiva dal presupposto che tutto il linguaggio è metaforico
e solamente la psichiatria ne può interpretare il significato recondito e
profondo. Il senso del lapsus freudiano – dire ‘sì’ al posto del ‘no’ – ci
mette di fronte alla comprensione del livello inconscio di chi si esprime, che,
quasi sicuramente, voleva evidenziare l’affermazione della propria risposta. Ma
il linguaggio schizofrenico è molto più complesso del semplice lapsus. Infatti,
Forest riportando il discorso di un suo paziente che dichiarò: ‘Dottore, ho dolori nel petto e spero e mi
domando se la scatola mi si è rotta e il cuore batte per la mia anima e
redenzione e paradiso, amen’ dedusse che la sua espressione fosse dettata
dalla poesia che usa un linguaggio commovente e molto potente. Per questo
motivo lo studioso tradusse quel discorso in ‘Dottore, mi si spezza il cuore e sono disperato. La prego di salvarmi.
Aiuto’. Probabilmente il paziente aveva necessità di essere aiutato e
voleva esprimere esclusivamente questo semplice concetto dichiarandolo in
maniera bizzarra e originale senza pensare alla poesia e al suo significante.
Gli schizofrenici credono, pertanto, di parlare un linguaggio capace di
spiegare il proprio pensiero in maniera normale e seguendo un’organizzazione
formulata in modo comprensibile. Quando si ritrovano a riascoltare un discorso
fatto durante una registrazione di un loro evento psicotico, restano
meravigliati e asseriscono che quel dire è veramente incomprensibile,
addirittura che si trattasse di materiale distorto volontariamente oppure
disturbato da un inghippo tecnico. I linguisti asseriscono che il processo che
permette alla mente di rintracciare ogni regola grammaticale legata
all’utilizzo corretto delle parole, va decisamente in uno stato di avaria nel
caso di un malato di schizofrenia. Gli studiosi affermano che la disgregazione
linguistica può avvenire a più livelli, spesso combinati tra di loro: a livello
fonemico e morfologico dando vita a frasi disarticolate sia nel suono che nel
senso. Sembra che a volte lo schizofrenico vada fuori binario quando, dopo un
breve monologo corretto, aggiunge parole in rima o collegate da un apparente
connessione con la parola precedente, come se scattasse un meccanismo cerebrale
che va a cozzare con il discorso di partenza. Si può dedurre che la perdita del
controllo della scelta delle parole sia dettata da uno sfogliare in modo
arbitrario il proprio dizionario mentale dando vita allo pseudo-linguaggio formato
da associazioni e rime casuali senza rispettare nessuna regola grammaticale. Elaine
Chaika, linguista americana, riporta una breve descrizione fatta da una
schizofrenica in riferimento al farmaco assunto: ‘Ti accellera il metabolismo. Ti fa accorciare la vita. Ti fa
batacchiare il cuore. Ti seda se hai un metabolismo come il mio. Ho il cimurro
(distemper) proprio come i gatti, perché è proprio questo che siamo, tutte, dei
felini. Palle di gatto siamese. Sono speciali. Io avevo un gatto, un mannese,
sempre in giro qua e là. Si chiama Gijoe, è bianco e nero. Avevo anche un
pesciolino rosso, come un pagliaccio. Buon carnevale all’addiaccio’. Inizialmente
la paziente parla degli effetti del farmaco, poi sceglie erroneamente la parola
distemper per parlare della sua
malattia seguendo il valore etimologico (letteralmente ‘mal-umore’) e l’accezione in veterinaria: ‘indisposizione’. Così passa ai gatti, alla femminilità (‘gatta’ per dire ‘donna’) e al sesso (‘pesciolino rosso’). Il finale è una
similitudine con rima evocando, forse in modo accidentale, il linguaggio
poetico. Sembrerebbe che il linguaggio dello schizofrenico non riesca a
escludere i contenuti inopportuni del pensiero, quindi che non sia capace di
filtrare le parole dal senso associativo. Ma questo pseudo-linguaggio, secondo
gli studiosi, conserva anche un importante carattere di perseverazione: con
l’intrusione di un suono o di un significato, lo schizofrenico persevera lungo
un canale comunicativo che non riporta quasi mai al discorso iniziale. Ecco le
innumerevoli ripetizioni (le reiterazioni poetiche) come ritornelli temporanei
che disorganizzano la linearità del linguaggio somiglianti ai lapsus dei
discorsi normali, ma sicuramente più gravi. Quindi la linguistica moderna
sottolinea che il linguaggio schizofrenico sia altamente creativo e di ogni
frase ne va analizzato il significato autentico, il senso poetico.
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