Poesia - Bologna Rassegna VOCI DI POET-ESSE 6 giugno 2017 a cura di Graziella Sidoli - Rita Pacilio ospite
VOCI DI POET-ESSE
DallaNuovaZelanda;dagliStatiUniti:TexaseCalifornia;dall'Italia:Napoli,PesaroeBologna;daIsraele-attraversandodueoceanieunmare-arrivanovocielinguediverse:ebraico,spagnolo,inglese,italianoalserviziodellapoesiaedellaprosa.Questopomeriggiodistudiraccogliepoetesse,traduttriciestudioseintornoadalcunedomandecentraliacuiancheiltitoloallude,mettendoinrapportolacategoriadelpoeta(poet-)conquelladell’identitàpersonale(-esse).
6 giugno 2017, San Colombano
(via Parigi 5, Bologna), ore 16.30
a cura di: Graziella Sidoli
Interverranno:
Barbara Carle, Laura Corraducci, Tal Nitzán,
Rita Pacilio, Francesca Serragnoli, Victoria Surliuga
Respondent: Bernadette Luciano
Ingresso libero
Per informazioni: centrostudisaravalesio@genusbononiae.it
www.centrostudisaravalesio.com
DallaNuovaZelanda;dagliStatiUniti:TexaseCalifornia;dall'Italia:Napoli,PesaroeBologna;daIsraele-attraversandodueoceanieunmare-arrivanovocielinguediverse:ebraico,spagnolo,inglese,italianoalserviziodellapoesiaedellaprosa.Questopomeriggiodistudiraccogliepoetesse,traduttriciestudioseintornoadalcunedomandecentraliacuiancheiltitoloallude,mettendoinrapportolacategoriadelpoeta(poet-)conquelladell’identitàpersonale(-esse).
6 giugno 2017, San Colombano
(via Parigi 5, Bologna), ore 16.30
a cura di: Graziella Sidoli
Interverranno:
Barbara Carle, Laura Corraducci, Tal Nitzán,
Rita Pacilio, Francesca Serragnoli, Victoria Surliuga
Respondent: Bernadette Luciano
Ingresso libero
Per informazioni: centrostudisaravalesio@genusbononiae.it
www.centrostudisaravalesio.com
Approfondimento - La voce non sa mentire - a cura di Rita Pacilio
La
voce non sa mentire.
riflessioni sociologiche di Rita Pacilio
Osservando il
linguaggio non verbale si possono riconoscere le menzogne. Anni fa ad Harvard
un gruppo di ricercatori di psicologia sociale, hanno studiato centinaia di
soggetti per accertare in che modo riusciamo a celare la verità e, soprattutto,
a manovrarla nella nostra vita relazionale. Lo studio non ha avuto finalità
morali, bensì, interessi professionali sulla comunicazione non verbale. Quindi,
la preoccupazione, a differenza dei filosofi e dei teologi, non è stata etica
(fare differenze tra la bugia esagerata e quella piccola), ma comunicativa,
ecco perché l’interesse si è concentrato su come le insincerità sono, molto
spesso, necessarie per livellare le relazioni tra gli esseri umani. Lo studio
sulla menzogna è antichissimo, infatti già nel 900 a.C. in un documento si
trova scritto: ‘Egli non risponde alle
domande, o dà risposte sfuggenti. Dice cose senza senso, strofina l’alluce sul
terreno, si strofina con le dita la radice dei capelli’. Da questo si
evince che gli esseri umani sono sempre gli stessi e non sono mutati i modi di
percepire il bugiardo e l’inganno. La frode presuppone atteggiamenti quali
sorrisini, balbuzie, vaghezza, movimenti con le mani, lunghe pause o parole
pronunciate a valanga. Gli psicologi dell’area sociale si sono concentrati,
senza preventivare il pudore, sul perché una persona diventi abile nel dire
bugie e il motivo che rende abili, invece, coloro che sanno individuarle. A
questo punto la domanda è: esistono segnali/segni attendibili che svelano la
bugia? Gli psicologi chiamano (PONS) ‘profilo
di sensibilità non verbale’ il test che è in grado di valutare e interpretare i messaggi
non verbali. In questo studio ha avuto molto peso l’empatia in relazione alle emozioni di chi comunica. Va anche
sottolineato che la sincerità o la falsità la si presuppone in partenza, come
un preconcetto. Ecco perché il sospetto premeditato può essere fuorviante
nonostante molti lavori in tal senso ci portino a dedurre che l’attitudine a
smascherare la menzogna esiste ed è riconducibile ai risultati degli studi
intrapresi da Zuckerman, De Paulo e Rosenthal. La voce resta l’indizio più affidabile (anche al telefono oppure a
occhi bendati) rispetto al movimento corporale, infatti, molte ricerche mettono
in risalto che è più semplice scoprire i menzogneri attraverso l’utilizzo della
voce. La tonalità vocale e il suo impiego sono pregni di verità; per esempio,
quando riascoltiamo la nostra stessa voce registrata, ci capita di provare
sgomento o negazione, proprio perché siamo messi di fronte alle emozioni
(quelle relative al momento della registrazione e quelle del momento del
riascolto) e non solo al significato in sé, al contenuto esatto delle parole. Non
bisogna ricadere nel luogo comune che solo il corpo dà segni dei sentimenti
provati. Molte gestualità, anche se più di altri indizi, ci forniscono
sicuramente avvisi importanti, ma pur sempre ipotetici e difficilmente
controllabili in modo simultaneo con altri (per esempio si può ridere e parlare
con tono aggressivo o triste). Il bugiardo può controllare l’espressione della faccia e semmai sorridere per avvalorare
la sua tesi, ma dal tono di voce si possono cogliere
emozioni ben nascoste dagli atteggiamenti/comportamenti espressi con la
fisicità. Gli studiosi Paul Ekman e Wallace Friesen hanno approfondito lo
studio della mimica e hanno ipotizzato che il viso è il canale che sa mentire
meglio degli altri. Il volto è fornito di strumenti capaci di inviare messaggi
menzogneri, quindi certamente è meno credibile per smascherare la menzogna. Spesso
l’ingannatore studia bene la ‘parte’,
ecco perché la studiosa De Paulo sostiene che la bugia può essere premeditata e
difficile da scoprire esclusivamente nel linguaggio del corpo, mentre altre
avvisaglie importanti (la voce) non sempre vengono notate, prese in esame, né appropriatamente
considerate. Gli scopritori della bugia, cioè coloro che sanno riconoscerla,
non sempre mettono in luce i sentimenti reali del mentitore, sentimenti che
possono essere positivi o negativi. Conta, comunque, il sistema sociale in cui
molti esperti dell’interazione sono ottimi comunicatori, capaci di convincere
platee (politici, relatori, sacerdoti) ingannandole e manipolandole. L’ansia sociale e la sensibilità possono essere meccanismi interessanti per comprendere
la verità o la bugia. Sorprendentemente, pur essendo molto empatiche e
sensibili, le donne sono meno abili nello smascheramento degli inganni e
tendono a ignorare l’insincerità, troppo spesso, per decoro o per lasciare
andare avanti una vita sociale apparentemente soddisfacente.
(fonte: Bugie: possibile scoprirle? Di Daniel
Goleman, psicologo)
Rita
Pacilio (Benevento 1963) è poeta, scrittrice, collaboratrice
editoriale, sociologa, mediatrice familiare, si occupa di poesia, di critica
letteraria, di metateatro, di letteratura per l’infanzia e di vocal jazz. Curatrice
di lavori antologici, editing, lettura/valutazione testi poetici e brevi saggi,
dirige per La Vita Felice la sezione ‘Opera prima’. Sue recenti pubblicazioni
di poesia: Gli imperfetti sono gente bizzarra (La Vita Felice
2012), Quel grido raggrumato (La Vita Felice 2014), Il suono per
obbedienza – poesie sul jazz (Marco Saya Edizioni 2015), Prima di andare (La Vita Felice, 2016).
Per la narrativa: Non camminare scalzo (Edilet Edilazio
Letteraria 2011). La principessa con i baffi (Scuderi Edizioni
2015) è la sua fiaba per bambini.
Approfondimento - Il linguaggio poetico dello schizofrenico - a cura di Rita Pacilio
Il
linguaggio poetico dello schizofrenico
nota di Rita Pacilio
I malati di
schizofrenia non hanno la capacità di sorvegliare le parole che utilizzano, non
riconoscono i loro errori e non desiderano accettare le correzioni altrui. Seguendo
gli alti e i bassi della malattia il linguaggio assume una caratteristica
bizzarra e di disintegrazione molto approfondita dagli psichiatri, che ne
esaminano il comportamento governato da problemi e desideri rimossi, dagli
psicologi comportamentisti, che ne analizzano stimolo e risposta, e, infine,
dai linguisti che studiano il linguaggio dal punto di vista della produzione e
della mancata applicazione delle regole linguistiche. A prescindere le diverse
impostazioni cliniche, il linguista si pone il perché la malattia determini
quel particolare linguaggio. Chi ha sostenuto che il linguaggio degli
schizofrenici sia poetico è stato David V. Forest con il suo gruppo di
psichiatri. Forest partiva dal presupposto che tutto il linguaggio è metaforico
e solamente la psichiatria ne può interpretare il significato recondito e
profondo. Il senso del lapsus freudiano – dire ‘sì’ al posto del ‘no’ – ci
mette di fronte alla comprensione del livello inconscio di chi si esprime, che,
quasi sicuramente, voleva evidenziare l’affermazione della propria risposta. Ma
il linguaggio schizofrenico è molto più complesso del semplice lapsus. Infatti,
Forest riportando il discorso di un suo paziente che dichiarò: ‘Dottore, ho dolori nel petto e spero e mi
domando se la scatola mi si è rotta e il cuore batte per la mia anima e
redenzione e paradiso, amen’ dedusse che la sua espressione fosse dettata
dalla poesia che usa un linguaggio commovente e molto potente. Per questo
motivo lo studioso tradusse quel discorso in ‘Dottore, mi si spezza il cuore e sono disperato. La prego di salvarmi.
Aiuto’. Probabilmente il paziente aveva necessità di essere aiutato e
voleva esprimere esclusivamente questo semplice concetto dichiarandolo in
maniera bizzarra e originale senza pensare alla poesia e al suo significante.
Gli schizofrenici credono, pertanto, di parlare un linguaggio capace di
spiegare il proprio pensiero in maniera normale e seguendo un’organizzazione
formulata in modo comprensibile. Quando si ritrovano a riascoltare un discorso
fatto durante una registrazione di un loro evento psicotico, restano
meravigliati e asseriscono che quel dire è veramente incomprensibile,
addirittura che si trattasse di materiale distorto volontariamente oppure
disturbato da un inghippo tecnico. I linguisti asseriscono che il processo che
permette alla mente di rintracciare ogni regola grammaticale legata
all’utilizzo corretto delle parole, va decisamente in uno stato di avaria nel
caso di un malato di schizofrenia. Gli studiosi affermano che la disgregazione
linguistica può avvenire a più livelli, spesso combinati tra di loro: a livello
fonemico e morfologico dando vita a frasi disarticolate sia nel suono che nel
senso. Sembra che a volte lo schizofrenico vada fuori binario quando, dopo un
breve monologo corretto, aggiunge parole in rima o collegate da un apparente
connessione con la parola precedente, come se scattasse un meccanismo cerebrale
che va a cozzare con il discorso di partenza. Si può dedurre che la perdita del
controllo della scelta delle parole sia dettata da uno sfogliare in modo
arbitrario il proprio dizionario mentale dando vita allo pseudo-linguaggio formato
da associazioni e rime casuali senza rispettare nessuna regola grammaticale. Elaine
Chaika, linguista americana, riporta una breve descrizione fatta da una
schizofrenica in riferimento al farmaco assunto: ‘Ti accellera il metabolismo. Ti fa accorciare la vita. Ti fa
batacchiare il cuore. Ti seda se hai un metabolismo come il mio. Ho il cimurro
(distemper) proprio come i gatti, perché è proprio questo che siamo, tutte, dei
felini. Palle di gatto siamese. Sono speciali. Io avevo un gatto, un mannese,
sempre in giro qua e là. Si chiama Gijoe, è bianco e nero. Avevo anche un
pesciolino rosso, come un pagliaccio. Buon carnevale all’addiaccio’. Inizialmente
la paziente parla degli effetti del farmaco, poi sceglie erroneamente la parola
distemper per parlare della sua
malattia seguendo il valore etimologico (letteralmente ‘mal-umore’) e l’accezione in veterinaria: ‘indisposizione’. Così passa ai gatti, alla femminilità (‘gatta’ per dire ‘donna’) e al sesso (‘pesciolino rosso’). Il finale è una
similitudine con rima evocando, forse in modo accidentale, il linguaggio
poetico. Sembrerebbe che il linguaggio dello schizofrenico non riesca a
escludere i contenuti inopportuni del pensiero, quindi che non sia capace di
filtrare le parole dal senso associativo. Ma questo pseudo-linguaggio, secondo
gli studiosi, conserva anche un importante carattere di perseverazione: con
l’intrusione di un suono o di un significato, lo schizofrenico persevera lungo
un canale comunicativo che non riporta quasi mai al discorso iniziale. Ecco le
innumerevoli ripetizioni (le reiterazioni poetiche) come ritornelli temporanei
che disorganizzano la linearità del linguaggio somiglianti ai lapsus dei
discorsi normali, ma sicuramente più gravi. Quindi la linguistica moderna
sottolinea che il linguaggio schizofrenico sia altamente creativo e di ogni
frase ne va analizzato il significato autentico, il senso poetico.
Poesia - 'I nuovi anni' di Rita Pacilio
Non potrai mai
essere come me
non hai gli occhi verdi di marzo
quel silenzio pacato, tiepido
la fine del mio amore per l'inverno.
non hai gli occhi verdi di marzo
quel silenzio pacato, tiepido
la fine del mio amore per l'inverno.
Non potrai avere
capelli bianchi
ho impiegato anni per tenere riccioli
i ricordi. Copiare ciò che sono io:
le scale in ginocchio, il coraggio,
ho impiegato anni per tenere riccioli
i ricordi. Copiare ciò che sono io:
le scale in ginocchio, il coraggio,
preghiere
urlate, pianto la morte
degli uccelli caduti dai rami.
degli uccelli caduti dai rami.
Non sei madre
degli alberi
e ai limoni tu non sei mancata.
e ai limoni tu non sei mancata.
Queste rughe
le vedi? Non sono tue
ci vogliono secoli di scavo
per arrivare al calco di Pompei
un bacio segnato dalle dita
ci vogliono secoli di scavo
per arrivare al calco di Pompei
un bacio segnato dalle dita
dove non
porti il cerchio dell'anello.
L'atteggiamento sì, la copia falsa
quando il vestito compri uguale
al mio. La voce, il tono, passi lenti,
L'atteggiamento sì, la copia falsa
quando il vestito compri uguale
al mio. La voce, il tono, passi lenti,
la risata.
Non sarai il porto d’armi
chiuso nel
cassetto, labbra amare
attaccate
alla libertà, la bandiera
della paura.
Quella no, s’impiglia
alla miseria
del desiderio nefasto
consola lo
sfondo delle ossa inclinate:
domandare
alla guerra la fotografia.
Il petto disfatto
la mia miscela.
('I nuovi anni di Rita Pacilio)
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