Recensione - Gian Paolo Grattarola per 'Alle lumache di Aprile' di Rita Pacilio - LC 2010




Alle lumache di aprile

Rita Pacilio
Poesia - Lietocolle 2010

Articolo di Gian Paolo Grattarola

Poesia fortemente tramata sull’esistenza, sul male di vivere di chi ha scelto di stare ai margini di un’epoca di cui si riconosce estranea: “Mi affligge il mondo che osservo/ mi plasma nelle crepe senza pietà/ e sono piccola scheggia di legno/ nell’adipe di seme e di alito.” ; di chi rivendica la decenza di una solitudine: “Silenzi brevi… silenzi strappati/ come cenci, smarriti./ E che nessuno sappia quando li ricucio/ alle pareti nel brusìo della preghiera.” Ma che si pone dinanzi al lettore in elegiache tristezze senza mai indulgere al sentimentalismo: “E confesso la mia ragnatela/ recito davanti allo specchio/ mi infervoro di dubbi/ a fatica spalanco gli abissi./ Entro nella coscienza/ corrompo il corpo e lo spirito:/ sono l’opera del sole a sera/ triste fino alla radice scura.” In uno spettro di lettura che favorisce il ritratto, la trasfigurazione, il possesso e la perdita dell’altro: “… E se ti avessi riconosciuto/ fuori dal mio inverno di pietra/ avresti portato il mio fardello/ a passo lento calpestando semi./ Così tu mi raccogli tulipano/ fiorito come angelo austero/ con bocche scucite di amuleti/ calamite dell’amore perduto.”…
È un privato scomodo quello che Rita Pacilio , nata a Benevento nel 1963, offre all’attenzione dei lettori nella sua opera Alle lumache di aprile. Un testo composto da una densa raccolta lirica e dalle terzine di un breve poemetto dal titolo Nelle mie vene un falò, che si aggiunge – e aderisce variandola – alla prolifica produzione poetica che negli anni è andata di pari passo, sia pure in posizione primaria, alla prosa erotica e di contenuto sociale, alle favole per l’infanzia e alla musica jazz. Ci lasciamo tentare e rappresentare da un modo di vita interiore e sensibile che pone la voce dell’autrice in bilico tra narrazione e impressione, dalla stimmate di una condizione di sofferenza come dato ineliminabile della sua poetica, da riti e simboli, pulsioni e fantasie che si servono per la restituzione poetica di una ricerca stilista che privilegia l’impiego dell’endecasillabo e della quartina. Affidando al potere della parola, della scrittura e dell’immaginazione una ricomposizione non facile tra anima e natura, oltre la frattura che ha assegnato al poeta un posto scomodo.

http://www.mangialibri.com/node/11594


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