Recensione - Maurizio Alberto Molinari su Rita Pacilio 'Non camminare scalzo' - Edilet Edilazio letteraria 2011






'NON CAMMINARE SCALZO' 
monologo teatrale di Rita Pacilio Edilet Edilazio letteraria


Lettura critica di Maurizio Alberto Molinari

Io non ho camminato scalzo su Rita. Lei ha camminato scalza sulla mia emozione.
Conosco Rita da quasi 3 anni grazie ad un fine settimana letterario-poetico in quel di San Giorgio del Sannio – evento a cura di LietoColle - con grande “presenza” organizzativa di Rita. Questo incontro è stato fondamentale per me. Prezioso per l'opportunità di venire a contatto con molti poeti provenienti da tutta Italia, di puro piacere per la possibilità di entrare “realmente” nei loro versi e loro nei miei, per sfiorare timidamente le loro vite.
Con Rita non è andata così, no, proprio no! La simpatia e la sintonia si sono manifestate dal primo saluto, dallo sguardo pulito e intenso che regalavano i suoi occhi, dalla gradevolezza dei suoi versi, dalla passione smodata del suo Amico Jazz…
Così è cominciato un percorso di rifrangenze letterarie, poetiche, musicali, tensive che si depositavano sempre di più ad ogni incontro letterario, riflessi poetici che si scambiavano vicendevolmente nei nostri versi e nelle nostre sintonie.
La sofferenza è un tema che ci accompagna da lungo tempo e questo suo monologo “non cammina scalzo” nelle nostre vite, le sonda e le ricompone ogni giorno con una maggiore intensità e bellezza. 
La scelta di raccontare il suo Nulla non mi trova impreparato. Conosco e amo la sua sensibilità, sono semmai sorpreso dalla bellezza del suo coraggio, della pulizia del suo verbo.
Il suo Nulla è un percorso che molti non hanno il coraggio di intraprendere, una strada impervia che attraverso la fantasia - e stracci di realtà – disegna un nuovo modo di concepire il verbo significante e significativo, una originalità che appartiene all'Artista Pacilio.
La padronanza della lingua, la scelta dei vocaboli e dei suoi sensi, la sensazione di essere tracciati e definiti nella notizia, la sintesi vigorosa e sensuale che sceglie l’erotismo come verità, l’orgoglio di una fiaba acromatica in cui il bianco sposa il vuoto e il dolore, dove il sesso è figlio di orrore e piacere.

“Sembra una stanza organizzata / solo per maschi: sento / testosterone ovunque. Dappertutto / ci sono orsetti maschi / gli armadietti hanno nome: passerotto / orsacchiotto, delfino, canarino; / sono disegnati tutti animali maschi… / e anche l’orologio è maschio. / Il termometro, il … / il comodino con il bicchiere poggiato su. Il tavolo / è maschio; c’è una sedia azzurra, / ecco l’unica femmina qui dentro.” (pag. 52).

In questa opera di Rita la poesia e la prosa poetica si ritagliano uno spazio importante per regalare perle musicali che sembra di sentire sotto la propria pelle: “mi sono chiesta mille volte / cosa ha da dire un cane alle campane / della Chiesa, quando scende la notte.” … “Non mi sfidare. Non mi fare domande. Chissà quante notti passeranno stanotte.” (pag. 21). “(Non camminare scalzo sul petto che grida). Chiedimi le forme, le angolature, ogni piega che mi possa rappresentare… E poi ti prego, dopo avermi aperta, sfogliata una ad una le ciglia, purifica le spine della mia schiena. Fanne corona per le notti d’amore che ti chiedo nascosta. /Fammi lamento.” (pag. 23).

Questo viaggio nel Nulla sceglie la Notte, la forza dell’avvenimento (il mondo maschio ruota intorno a labbra dominanti e dominate dalla violenza), lo stupore di essere vittima e carnefice del proprio sangue, di scorgere la bellezza persino nel dolore più feroce, accecata dal buio del silenzio, tradotte in versi senza fine (Fammi lamento).



“Non camminare scalzo” è un meraviglioso spazio aperto in cui ad ogni pagina ci possiamo lasciare cullare dalla sua melodia o dobbiamo nasconderci alla realtà, dal “buongiorno di sorrisi in SMS” (pag. 27), alle “cosce come fate del tempo sudato” (pag. 29), ad un padre che “quando arrabbiato si trasformava: diventava una bestia. Affondava le unghie nella carne, si faceva spazio. Graffiava e incideva. Lasciava solchi nelle vene, senza pietà, senza remore” (pag. 43), all’amica Assunta “Rabbiosa come una gatta che graffia il suo pesciolino rosso tra le unghie”, del suo “Bevi con me! / Un brindisi all’erezione di un sorriso che fa mostra di cicatrici e vuoti” (pag. 66).

E’ un universo in piena il cammino di Rita! 
“Sono pioggia di una primavera di lacrime, sono pioggia dell’inverno lungo che è passato, sono tanta pioggia sui vetri dei miei occhi…”, “Ti racconto parole che non ti ho detto, ti racconto quasi decomposta, i miei cent’anni e più”. E’ realmente un sogno senza fine, la differenza è che queste parole hanno il potere di separarci dal tempo, di allontanare le circostanze dalla sostanza, di aprire spazi oltre il reale, di rendere leggero persino il tempo del dolore e della morte dell’amore.
E’ nella Luce vera della risurrezione che Rita compie il gesto più nobile, ci regala un sipario che si apre ad una esclusiva prima fila: “In questa luce vedo gli angeli. Non hanno contorni o materia. Sono figure diluite nelle sfumature. Sono colorati ma danno l’idea del bianco: una contraddizione cognitiva.” … “L’aura di cui sono circondati sembra un’ala gigantesca. Mi indicano passi da seguire e sorridono…” (pagg. 76-77).

Una vita rinnovata che si riscopre nel bianco infido di un avido-afono verbo malefico, capace di resistere alla tentazione della fuga per combattere la propria storia, ricusando il finto chiarore, “ma quel candido sapeva di sporco. Quel silenzio faceva rumore.” (pag. 81) per giungere infine alla sua chiusa, quel “Lasciami camminare scalza”, quel “voglio sentire il freddo della terra, prima che mi inghiotta” (pag. 84).

Non vedo l’ora di rivederla per donarle un abbraccio da Amico Vero e di riscoprirmi nel suo sorriso.


By Maurizio Alberto Molinari

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