Recensione - 'Di ala in ala' Pacilio/Moica - LietoColle 2011

 

 

F. Della Porta su Di ala in ala

22 aprile 2011

R. Pacilio, C. Moica: Di ala in ala, Lietocolle, 2011

Alla svolta del millennio si affaccia alla ribalta letteraria una schiera di giovani poeti che disattendono le reliquie del novecento, ossia le torsioni esistenziali ed esistenzialistiche e il senso di una Parola poetica che -vedi per es. Ungaretti- tutto potesse e dovesse contenere.
Con le nuove generazioni, l’espressione si lega al lessico in una maniera spontanea e naturale, tanto che ogni termine indica esattamente quello che rappresenta, pur nella forma della metafora e dell’allusione, tipica della poesia.
Ci troviamo così al cospetto di una ventata originale che si va ampliando, ma che non deve essere confusa con un’arte poetica d’improvvisazione. Fare poesia per i nostri, significa piuttosto filtrare la propria esperienza per innalzarla al livello dell’arte, partendo da un dato privato, nel proprio itinerario di crescita e maturazione.
Nella silloge in esame, scritta a quattro mani, notiamo innanzi tutto il lavoro che ha anticipato la scrittura e ha permesso ai due poeti di convergere verso basi condivise, al punto che non si apprezzano dissonanze nell’argomento optato, nella scelta prosodica e metrica - in questo caso, la strofe è costituita da una quartina- nel ritmo sempre quieto e nell’uso senza parsimonia della metafora.
Ci sembra di leggere, quindi, un unico canto, una sorta di poemetto o cantico d’amore, particolarmente unitario nel contenuto e negli intenti, in quanto, ripeto, il cammino ritmico-emotivo-linguistico è stato preceduto dalla confluenza sugli stessi punti metrico-stilistici oltre che contenutistici e psicologici.
Incentrato sul sentimento d’amore, entrambi gli autori declinano l’argomento in varie accezioni, dipanandolo in allegorie originali, che non cadono nello stucchevole.
E si sa quanto è insidiosa la poesia d’amore, sia per gli illustri precedenti sia per la trappola dello sdolcinato e del luogo comune.
I nostri schivano l’insidia e segnano le pagine di un buon equilibrio, evitando i due poli opposti dello svenevole e dell’erotico.
L’amore cantato è ricco dei suoi significati: il dolore per la lontananza, gli inganni, i tradimenti e così via. Dunque, non manca l’amore carnale, ma credo che il senso profondo della silloge sia soprattutto il tentativo riuscito di definire l’amore come il sentimento che giunge alla radice della propria natura, dove si riversa in trasparenza quello che si è. E, difatti, il messaggio che sembra trapelare è abbastanza netto: solo attraverso l’amore si raggiunge consapevolezza di sé e si tocca la completezza. In questo senso il luogo degli amanti è anche luogo di fusione, in un crogiuolo che faccia argine alla difficoltà.
Io mistero alla gente che mi guarda, scrive Moica, mentre confonde le sue emozioni e i suoi confini con un altro essere.
Rita Pacilio in controcanto:
Dammi la mano per posare l’altra/ fissa il sistema solare ad est/ lascia che il sole sia sempre nuovo. / Non sia mai notte!
Il dolore in agguato è sopportabile portandone il peso in due e l’indugio in attesa dell’amato è momento di pace quando si sa che il desiderio non andrà deluso. In un contrappunto continuo, i due poeti si cercano e si definiscono attraverso un tu, spesso invocante l’altro dalla propria lontananza e solitudine.
Si diceva che si tratta anche di amore di carne, ma la sensualità palesata è delicata, anzi sono più frequenti gli intrecci con la spiritualità, con regolari accenni al divino. Il confidare nella sfera del sovrasensibile si manifesta in un ricco vocabolario del sacro: Dio, altare, banchi della chiesa, paradiso, cattedrale, magnificat, Cristo….
Si coglie nella silloge una sorta di armonia tra il mondo della materia e quello dello spirito, con le creature ripiegate su stesse, che attraverso l’amore ritrovano la propria ricchezza interiore e la propria posizione nel cosmo.
E voglio terminare proprio con una quartina che dichiara la serenità della Pacilio nell’accettare la propria terrena condizione, esplicata in preghiera che implica la lode, il ringraziamento e l’omaggio dell’essere al suo Creatore:
Là fuori c’è il mare. / Tutte le cose restano uguali / e mi basta il crepuscolo chiaro / mentre l’altare diventa preghiera. (R.P.)

Fortuna Della Porta


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