Prima di andare
Poesie di
Rita Pacilio
Mi piace percorrere il
ritmo serrato del ritroso nel tempo del vissuto, che si universalizza in un
discorso umano non trascurato, rivelato e contemporaneamente rivelatore di
radici che trovano il giusto aggrappo nell’infinitesima parte del sentire oltre,
il nobile femminile.
I versi di Rita Pacilio
sono versi ‘specchio’e ‘specchi’, riconducono a pluralità di verbi significanti
e accenti, in un passaggio alternato tra passato “dicevi-sei stato-mi ripetevi”
e immediata apertura al presente “tu conosci -tu sei – sei tu”. Quel ‘Tu”esistito
che sotterraneamente esiste ancora, fa di uno solo, il “Noi”(“noi segnati sulle
mani così che il palmo diventa labbro che fermenta maree”). Quel Tu, diventa
soggetto basico di tematiche aperte alla riflessione.
Con sublime
concretezza, la poetessa crea il tramite di segmenti e pluralità interiori, e
lo fa attraverso la nudità di versi vivificanti che reclamano la sostanza
acquosa più in grado di rendere cristallina l’idea della vita, che tenta ancora
di salvarsi, ritrovandosi sottilmente e con premura, in un lavoro lento di candela,
il mare del pensiero aperto nella Prima Lettera, al quale la protagonista
rivolge una richiesta diretta all’interno della sua stessa anima, slacciata
dall’essere ‘anemos’, soffio o vento, per divenire invece principio offerto
alla coscienza, tanto è vero che la bellissima chiusa dell’ultima poesia della
sezione è sottile invito a interrogarsi intelligentemente senza cedere allo
spreco quotidiano della “recita di un compito”.
L’infinitesimalità e il
tutto: “eri il braccio d’edera..una collina intera”, sono le vertebre di
passaggio impresse nella prima sezione “Ti scrivo dal mio niente”, dov’è
avvertito il divenire della felicità umana espressa in mille forme e direzioni,
che dunque ci coglie mossi e smossi, a fronte del contrappunto della memoria,
la sola a rendere possibile quell’allungamento teso e a farci scuotere di dosso,
ciascuno, “le nostre piccole grandi condanne”, proprio perché “capiterà a tutti
di essere una boa in mezzo al mare”.
Il passaggio alla
Seconda Lettera è inevitabilmente relazionato al ricordo nel tentativo riuscito
di tenere accesa la passionalità permeante l’amore, in una seconda rinascita , in
un giro aperto alla tematica del ritorno e all’accenno al ‘fuoco’ del riverbero
smisurato della luna che ripete le cose vive del mondo. Le memorie assumono la
caratteristica dell’indelebile infinitezza, della “scintilla lunga chilometri
lasciata dalla Cometa”, perpetuata nella seconda sezione “Guardare il vento,
sapere il vento” lasciando spazio “alla coda dell’ultimo perdono” a seguito
degli abbandoni subiti, nello sforzo di riconoscere ciò che è stato nei momenti
“di assenza di saggezza” prima di diluirsi nella fragilità umana.
I versi acquistano la
forza della meditazione, elevati e puliti allo stesso modo della prosa nelle
lettere, prosa poetica per la ricchezza delle immagini che continua nella Terza
Lettera e nella sezione del “Riaffiorare”. Non sempre la vita permette di
soffermarsi sugli attimi vissuti, così saranno “le scivolate nel vuoto” che
vorremo rincorrere a distanza, questo ci esprime la protagonista del percorso
umano a ricordare che la memoria è “amare le cose che sono state amate da chi
noi abbiamo amato”. La tematica della morte sorvola lucida, amara, consapevole,
fa del tempo una parabola d’eterno, di attese e forse, della presa di visione
che il perfetto non esiste e i precipizi possono essere inattesi. Il
riaffiorare, riecheggia l’autunno, le stagioni della decadenza, “dello sciame
irresistibile esiliato nel cuore” ma anche il riuscire ad avvertire il
cambiamento dentro di noi, fatto di stagioni diverse, in cui la parola diventa
l’abitazione possibile e unica che ci può abitare. Restano le parole e “le
piccole promesse”.
“Si fa così l’amore
fiutando le raffiche delle vertigini”, così chiude la Quarta Lettera che apre
la sezione “Nel posto dove volano gli uccelli”: ci si chiede quale sia,
sconosciuto, inattaccabile, fatto di smarrimenti e direzioni, tanto in alto
quanto il resto di ciò che rimane dell’essere stati, forse proprio a metà
strada, “tra la fronte e le chiavi della notte”, il luogo in cui non esiste
dimenticanza, che ci scopre indifesi, regno della preghiera, del silenzio e del
caos, dove la speranza ha il suo rituale, il luogo dell’affidarci alle mani e
agli occhi di chi possa custodirci, dove la paura non ha piu’ ragione di esistere.
Alla Quinta Lettera si
giunge solo dopo essere passati per il posto dove volano gli uccelli, perché è
solo alla fine che ci sarà nutrizione dell’oro che ci ha imbevuto di vita per
chiamarci liberi e per dirci“umanità”, tumultuosa somma di perdono e tenerezza.
Grazie per aver nutrito
il mio cuore e la mia lettura.
Adua Biagioli Spadi
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