“Gli imperfetti sono gente bizzarra”
di Rita Pacilio – edizioni La Vita Felice
“Gli imperfetti sono gente bizzarra”, di Rita Pacilio, è una silloge poetica il cui fulcro tematico è il disagio mentale; o meglio, è il segno grafico dell'impatto crudo e sofferto contro quella dimensione altra, “bizzarra”, dove i paradigmi di normalità, razionalità, pragmatismo, deflagrano, non reggono più, non assolvono più alla funzione di essere viatici della relazione dell'Io col mondo, la più coerente possibile. E' la visione-trascrizione angosciante del Kaos che travolge e soppianta il Logos, e la Pacilio sembra esserne lucidamente consapevole. Ma contrariamente a un Dante che sa, fin dall'inizio del suo viaggio ultra, che tornerà a rivedere le stelle, qui l'Autrice è assolutamente cosciente di un itinerario che non prevede uscite, miracoli, purgazioni redentive, teofanie possibili; sa in anticipo dell'impossibile 'lieto fine' che riscatterà l'orrore di una storia tragica: “Io mi trovo qui dove non si torna indietro.” dice; un verso lapidario, ultimativo, un lasciate ogni speranza davvero definitivo per coloro che inciampano nell'abisso infernale dell'alienazione.
Del disagio mentale possono dire,
parlare, la psicopatologia, le più moderne neuroscienze o la poesia; le
prime col loro linguaggio scientifico-medico necessariamente
descrittivo, etiologico, distaccato, l'ultima in quel suo codice
linguistico fatto di simboli, metafore, allegorie, analogie,
similitudini e persino le insensatezze che tanto spesso follia e poesia
hanno in comune (si pensi alla visionarietà di un Poe, di un Rimbaud o
del nostro Campana). Rita Pacilio ne parla in poesia, vale a dire che ci
mette testa e cuore, tanto cuore, con una compartecipazione così
estesa, ampia, che arriva a sconfinare com-passionevolmente in quel
reietto della postmodernità che si chiama anima.
E' difficile davvero tentare di mettere
in evidenza alcuni aspetti topici del testo-libro, antologizzare a uso
del lettore qualche singola poesia più perfetta di altre o addirittura
versi di maggiore spicco e incisività semantico-formale, tanto costante è
il continuum espressivo, emozionale, cognitivo, che regge l'intera
struttura, il disegno totale, il passaggio di testo in testo. E dice
bene Rondoni nella prefazione quando scrive che in questo libro non si
corrono “i rischi del ripararsi, del coprirsi dietro la letteratura, i
luoghi comuni, lo stereotipo”. Sono d'accordo: in questo libro non c'è
letteratura, scuola di scrittura, compiacimento estetico, estetizzazione
della parola o l'ormai conformistica e mimetica neosperimentazione
linguistico-grammaticale, il pastiche babelico di un Novecento postumo;
in questo libro la letteratura è ciò che ontologicamente deve essere la
letteratura autentica:
un pretesto per dire, raccontare l'esserci nella sostanza di carne e sangue, intelletto e cuore che noi siamo; in altri termini, dire, raccontare la vita. Anche quando la vita è parola crudele, dolore afono, urlo. “Bizzarro” o savio che sia.
un pretesto per dire, raccontare l'esserci nella sostanza di carne e sangue, intelletto e cuore che noi siamo; in altri termini, dire, raccontare la vita. Anche quando la vita è parola crudele, dolore afono, urlo. “Bizzarro” o savio che sia.
Francesco Palmieri
http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-f-palmieri-per-r-pacilio-1239.html