di Michelangelo Camelliti
Commento di Rita Pacilio
Mi hanno detto che le poesie conservano il carattere di indovinelli perché davanti ad una parola scritta il lettore cerca di interpretarla e la contestualizza in una direzione altra. Il suo significato più oscuro si identifica in una realtà immortale coltivando una situazione più concreta e sfumando, a mano a mano, le allegorie sottese. A dire il vero credo che ogni poesia ‘vera’ non svelerà mai del tutto il suo segreto e ne ho ulteriore conferma dalla lettura de ‘I colori dei precipizi’ di Michelangelo Camelliti. Questi, che ho di fronte, sono versi che tratteggiano rivelazioni e che si trasformano poi in un dialogo serrato e che sfugge. La narrazione poetica è intensa e pacata e attraversa generazioni intere di sofferenza diradandosi tra corpo e mente. Le immagini non sono da guardare dall’esterno, ma vanno intessute alla regolare quotidianità delle piccole minuzie della vita. ‘Non c’è poeta, vero poeta, che non abbia una superiore sensibilità per la vita quotidiana, che non tocchi e ritocchi il canovaccio dei giorni con una intimità e una pietà sorprendenti’ (Daniele Piccini).
Con i suoi suggestivi versi liberi, Michelangelo Camelliti ci avvicina a Marinetti, Prezzolini, Gentile, Campana, Bo, aiutandoci a superare le tante divisioni e ricomposizioni esistenti nel percorso della sofferenza umana. La membrana si scosta dalla cellula e il progetto poetico si risolve nella centralità della vita esperta di ragioni e di scelte arrese alla prospettiva del dono liberatorio. Non è assolutamente ingenua la conversazione con il tempo interno del poeta, pronto a frangersi in minutissime particelle in cui è drammatico il ritrovare la parola nascosta nei paradigmi formali del verso scritto. Se esiste la ‘quiete terribile’ (Gonzalo Rojas) esiste, quindi, il rispetto silenzioso che sublima, verbalmente, ogni verità taciuta.
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