La poesia come ‘ardente ordito fonetico’ sopravvive alla sofferenza fisica e psicologica nello spazio chiamato ‘io’ resistendo ai ‘però’ e ai ‘nonostante’ di tutti coloro che si sono sforzati di evadere dal male. Molto spesso produzioni poetiche sontuose e scenografiche restano in ombra perché, oltre a sfuggire ai tentativi di inquadramento, pesa su di esse il giudizio anomalo dei critici che sono molto rigorosi sull’ ‘evasione’ creativa del poeta. Eppure rimane tanto da salvare e tanto da distruggere. La poesia è un atto di fede che sa come riemergere alla illusione provocatoria dell’autore di voler vedere i propri versi sopravvivere a se stesso. Chi scrive sa come risalire ‘con la mente alla origine della propria ispirazione, ma non è possibile riferire come si è caratterizzata in quel preciso momento o in quell’esatto modo’ (Luigi Lo Cascio). Quindi, c’è un tempo non calcolato, che rimane oscuro anche a chi scrive oltre che a chi legge: un tempo che funziona come un occhio cinematografico in cui vive la successione delle cose che non possono essere tenute sotto controllo. Ci si può avvicinare alla poesia, ma nessuno può entrare nel suo tempo creativo e nessuno può visualizzarne le innumerevoli e impercettibili facce del suo essere presente nella vita. Si tratta di un movimento velocissimo di inquietudini e del bisogno di avvicinarsi disperatamente all’altro contemplando gli elementi conoscitivi dell’esistenza intera. Credo, invece, che il critico, spesso troppo al fianco della poesia e meno ‘dentro’, rinuncia agli altri da sé con un atto di riservatezza e di prepotenza ad un tempo, sottraendosi alle necessità e alle offerte del poeta, senza, però, mai nascondere la sua presenza nelle cose poetiche. Fidarsi dell’affiancamento critico, come una presa in carico rivelatrice, rimane una speranza di connotazione e una illusione di ipotesi di dialogo tra le parti. Sono i sensi contraddittori delle parole che restano a tutelare il ruolo poetico centralizzando la realtà scelta, come un’avventura di tipo emblematico. Tutti gli autori scrivono per somiglianza o per differenza tentando un elaborato anomalo e innovativo per commuoversi e per commuovere mettendosi alla prova, spesso, in modo tortuoso e complicato e interpretando se stessi. Qui faccio un appello alla lettura, non solo come momento di confronto e crescita personale, ma come creativa esperienza per dare più tempo e luogo al personaggio immaginario che vive in noi. Una lettura creativa che consiste nella comprensione del rapporto dentro/fuori o urlo/silenzio o ancora distanza/vicinanza. Un passo, dunque, da percorrere prima della poiesis intesa come atto del produrre. Credo che l’autore, come il lettore dell’età post moderna debba imparare a guardare alle cose dal di fuori prima di imbattersi nelle forme poetiche strutturate per semplificare i percorsi interpretativi migliorandone, così, il modo di stare nel mondo.
Rita Pacilio
http://www.lietocolle.info/it/press_poesia.html
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