COME INNO DELLA LINGUA
ABITERÀ AMORE
Dona Amati & Rita Pacilio
Giovanned’arco di Animus e Anima
ovvero
Poetare il corpo del desiderio
Desiderare il corpo della lingua
Inventare l’argilla dei corpi amorosi
Dopo anni di assurda banalizzazione – ahinoi – della poesia “al femminile” (inevitabile e consacrato frutto delle rivendicazioni femministe e di tutte le rivalse psico-socio-culturali dei decenni di lotta contro le sciagurate ma concrete disuguaglianze, perfino a livello, diciamo così, “artistico” e “creativo”!), fa piacere poter tornare a leggere poesie di poeti “donne” con la gioia bipartizan di un vero approdo espressivo, che per fortuna spiazza e spazza via ogni accezione, collocazione, menzione, porzione, limitazione… di Verità.
Finalmente BASTA! con le ormai vetuste categorizzazioni e agnizioni delle Donne in Poesia e compagnia bella, che ci hanno educato, formato, entusiasmato, ma a lungo andare anche stancato, oberato, fuorviato dal ’68 in poi, nella provvida fornace civile, etica ed emotiva dei progressisti – manichei? – anni ’70, impennati ma anche invischiati di urgenze velenose, faziose… La poesia, se ha sesso, ha quello insieme dell’Anima e del Corpo: o meglio, per usare una grande intuizione di Sabina Spielrein (allora amorosamente legata a Carl Gustav Jung, diciamo, come paziente in transfert, ma anche musa di un appassionato contro-transfert), di Anima e Animus – uscendo definitivamente da ogni sterile pretesa o categoria scientifica… Correlate, eppure in fertile, calamitante distinguo, esiste dunque un’anima corporea, infibrata d’impulsi e pulsioni, desideri, eventi e avventi del dio Eros; così come una suggestione, una presenza, una strenua valenza corporale, una densa ipoteca fisica, tattile, epidermica, viscerale, umorale della medesima anima anche mentre si libra eterea ad amare e farsi amare…
Due libri recenti, uguali e contrari, di due brave poetesse contemporanee, Dona Amati e Rita Pacilio, mi hanno appunto riportato alla salvezza e salvazione di questi opposti – tra metodo e contenuto che è insieme psichico e formale, lirico ed esistenziale: il concetto junghiano (e alchemico) di vaso ermetico (e cosa lo è più di un’opera, di un libro!), in cui possa avvenire la trasfusione, la distillazione, la coniunctio oppositorum, e si compia l’opus, cioè la trasformazione, diciamo pure la sublimazione del mistero degli opposti… Dove ogni poeta, sia ben chiaro, dà a questa valenza il nome, il senso che più gli aggrada: Anima e Animus, Corpo e Spirito, Femminile e Maschile, Poesia e Prosa, Volontà e Ragione, Essere e Tempo, Arte e Storia, Idealismo e Realtà –: ma tutto in sapienza, vorticante assieme, libero e redento…
Per obbedire al corpo, vuol proprio dirci Dona Amati (Riguardo all’obbedienza – Poesie dal corpo), dobbiamo essere per davvero signoreggiati dall’anima – e ancor più signoreggiarla…
Ti desidero la linea
l’eruzione della pelle
farti tramontare la lingua
all’orizzonte del seno
io zitta come
casualità bianca di scogliera
che cerca spinge
carnalità messaggere
dell’incanto del mondo.
Attenzione: “Poesia dal corpo” – non “del” – poesia dunque che ci giunge dal corpo, ma non del tutto gli appartiene, se si fonde e trasfonde all’energia, all’anima stessa dell’amore; se si transustanzia in un rito o sacramento che entrambi li prende, ci esige all’unìsono:
Sto portando fuori dal corpo
singolarmente
le oscillazioni insonni
dell’osmosi viva
del sesso sonoro.
Un’unica cellula rossa
s’addensa di noi
e appesantisce le tue mani
della sapienza femmina
che t’invocai quando nuda
inventavo l’argilla dei nostri corpi.
Ha ragione Letizia Leone nella lucida, partecipe post-fazione, “Centralità del corpo”, a ricordare le ipoteche maligne di tanta e tale – incommensurabilmente sana, benedetta! – energia d’Eros… Ma anche a invocare, riconoscere la potenzialità salutare e terapica di “questa ampia distesa metafisica” che “attraversa la poesia carnale”, e la riscatta, l’arricchisce finanche in qualità espressiva, istintiva genialità di forma : “Qui la dimensione energetica dell’erotismo coincide in pieno con la qualità primaria della poesia che è puro piacere della forma, un percepire sensoriale che riporta le parole alla loro dimensione concreta e tattile, sensuale”…
Ricordiamo del resto un saggio fondamentale di Freud, “Contributi alla psicologia della vita amorosa” (1910-1918), capace al solito di svelarci assai scomodi e talvolta obbrobriosi arcani della Psiche (specie di quella, ahinoi, maschile):
“… La principale misura protettiva presa dagli uomini contro il verificarsi di un disturbo del genere a causa di questa scissione del loro amore, consiste in una devalorizzazione psichica dell’oggetto sessuale, riservando così la sopravvalutazione che normalmente gli si rivolge, all’oggetto incestuoso e ai suoi rappresentanti. Non appena si realizza la condizione di devalorizzazione, la sensualità può esprimersi liberamente e si possono sviluppare notevoli capacità sessuali e un alto grado di piacere.”…
Incredibile dictu: “devalorizzazione psichica dell’oggetto sessuale”… Quando tutto il ruolo e il sogno e il bisogno della poesia sono perfettamente all’opposto! È tempo, è tempo da troppo tempo – ci direbbe Dona Amati (nomen omen! Dona agli Amati! Amati doni!) – di trasformare l’oggetto in soggetto, di essere sempre oggettivamente soggettivi!
Ora sei tu che scivoli come
un’unghia che ha sacrificato la presa,
non ci salva più la fretta anchilosata sul sesso
i corpi marciscono al primo orgasmo, la voglia
dismette la sua sete, una bancarotta ai sussulti del piacere.
È quella foga di andartene, il soldo di latta del tuo bottino
che pretende pagar d’ufficio la mia rabbia.
Resto, indigente – e illesa – come un dio infame.
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Ancor più ci consola e s’accanisce a innamorare, eccitare il Bene la poesia di Rita Pacilio, non meno ardua e coraggiosa di quella di Dona nello sdoganare le antiche, vetuste formule delle convenzioni e convinzioni… Gli imperfetti sono gente bizzarra è molto di più di un elogio dell’imperfezione, è la consacrazione e il ribaltamento di ogni fallace dogma di ciò che è equilibrio, canone, misura, metro campione, recta via – direbbero i dediti uomini di fede, sapienti sia dell’Altissimo che dell’altrove…
Ha tolto lo spillo dalla costola
dove la Santa si scioglieva rossa
nello specchio del cielo cotonato
nell’orologio che lo ignora.
Che è un gioco del dio cieco
sotto le crepe limpide di acqua
rimodella i collant
mezza sorda di perdono e vita.
C’è insomma una fede (“una sola fede diventare burrasca”), un miracolo nella dismisura, nella ferita, nella Imperfezione che ci avvince d’anima e risana il corpo, omeopaticamente, dello stesso male contro cui si agiva, che ci impediva di agire…
Conosco tragitti della mancanza
che dividono a metà le braccia
il dubbio è nell’angolo destro
se questa è l’estate dei saluti.
Rientra in gola l’urlo e la lancia
nella cella pietrifica l’anima
si tengono strette due rose bianche
chiavi e chiavistelli il sigillo.
“Il libro è visionario e intimo,” – scrive nella prefazione un ammirato, fervido Davide Rondoni – “ma in forza di una speciale capacità di composizione e di concentrazione, evita tutti i rischi che si incontrano in un corpo a corpo così stretto con l’abisso. Voglio dire i rischi del ripararsi, del coprirsi dietro la letteratura, i luoghi comuni, lo stereotipo.”…
L’abilità di Rita Pacilio è insomma di parlare al corpo – il suo, quel del suo uomo, ma anche di tutti gli altri da sé, cittadini, degenti, pazienti, lettori d’ogni seme infuriato, di tutte le foglie sulla via o le file di formiche sui bordi – sempre e solo con l’anima. E al contempo di convocare sempre e solo l’anima con prove e dedizioni corporali, turgide estasi o sfinite estenuazioni fisiche (una ininterrotta contro/estasi di Santa Teresa? – inopinata ma berniniana come il neo-barocco sinuoso, danzante, dei suoi versi, madornali e sacri, bruniti e lampanti di misticismo)…
È la caviglia che porta l’altra me
o un tacco, un colpo lascivo
potrai inalare muschio dai reni
forse sono stata senza errori
nell’isolamento.
Ma allora? Di che cosa parliamo quando parliamo d’amore? titolava Carver una sua asciutta, lapidaria raccolta di short stories, nemmeno troppi anni fa (1981). Gli rispondiamo, ci affabuliamo con due risposte in versi delle nostre due amiche e campionesse, giovanned’arco d’amore.
Rita: “L’amore prevede due bugie / una crepa nel monte / un verbo finito sul petto / dove i canneti hanno smesso di dire. // Lontano dal battito dell’altro.”
Dona: “L’amore non è mai innocente, nemmeno / fatto di tempi morti. / E se scortica l’anima a blandi pezzi, / è risulta di facili bocconi d’eros. / Non più giaciglio di sinapsi.”
Per tornare davvero a inventare l’argilla dei nostri corpi; per rimeritare ogni inquieto goduto amplesso come rito d’anima, cielo in una stanza, abisso di sole: “se nasci nuovamente giovinezza / senza le rughe mi farai l’amore”.
Confessava Sabina Spielrein al suo Diario, in data 15.1.1911: “Dopo un prolungato stato di depressione, ora sono tranquilla. Voglio affrontare il destino piena di speranza. Da quando amo la vita sinceramente, credo che i demoni nella mia anima non abbiano il coraggio di litigare: questi ‘cattivi’ saranno sconfitti. Ma che cosa si deve intendere per ‘cattivi’? ecc. ecc. Per ora lasciamo da parte la filosofia. Adesso, destino, mi affido a te!”.
Plinio Perilli
- Dona Amati, Riguardo all’obbedienza – Poesie dal corpo, FusibiliaLibri, Roma, 2013, pp. 72, Euro 13,00.
- Pacilio, Rita, Gli imperfetti sono gente bizzarra, La Vita Felice, Milano, 2012, pp. 48, Euro 10,00.
http://poesia.lavitafelice.it/news-recensioni-plinio-perilli-dona-amati-rita-pacilio-giovannedarco-di-animus-e-anima-2616.html