nota di Rita Pacilio
La poesia prevede di riconoscere scenari antropologici ed epici
capaci di attraversare, inesorabilmente, la corporeità umana, nelle
diverse sfumature,
riconducendo il passato e il presente a un messaggio, spesso,
incompiuto, destinato a coloro che sanno leggere gli innumerevoli
significati nei diversi
futuri possibili. Marco Onofrio, nel suo lavoro poetico Ora è altrove,
Lepisma 2013, ribadisce le attribuzioni sovrapponibili dei sensi delle
esistenze. Le singole parole stampate formano un collage di potenti
realtà e fantasticherie tali da farci rispecchiare nelle mutevoli facce
del mondo, con
consapevolezza, senza sottrarci al fallimento di doverne subire il
collasso, l’emorragica bolgia. Lo sguardo dell’autore è rivolto verso
ogni arco, ogni
lapillo, ogni curva o spiraglio di vita o di memoria. L’indagine è
attenta, meticolosa, accurata: viene attraversato ogni tessuto
umanizzato, ogni dominio
artistico, infatti le forme si espandono e diventano cosmiche
dilatandosi fino a diventare suoni. Il vocativo si impenna
nell’esperienza onirica con un
occhio che guarda altrove, oltre, mentre i discorsi interiori si
muovono per cercare e scoprire la realtà nascosta negli attimi terreni,
nelle funzioni
delle cose. Ogni poesia è un incontro con un luogo, con un tempo,
con una stagione o con un sogno. L’anima è in continua corrispondenza
con i paesaggi e si
astrae perché i suoi dialoghi sono assolutamente complessi, spesso
contraddittorii. La forma della poesia è strettamente interconnessa con
la struttura
della realtà, quindi la poesia è collocata nelle cose, come
esperienza: resta il dubbio del tempo che ci spinge oltre il cerchio del
concreto. Onofrio
eleva coscienza e intelletto spingendosi verso la tridimensionalità
della percezione: una forzatura, forse; oppure una capacità di guardare,
inventare.
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