Aky Vetere per Rita Pacilio e "Gli imperfetti sono gente bizzarra"
Il testo: Gli imperfetti sono gente bizzarra,
può essere visto come il canto di una sorella lontana che (anche come
madre e donna), incontra la corporeità del proprio fratello malato e lo
illumina con tutto il suo femminino. In questo abbraccio c’è solo una
donna che è capace di sentire e offrire il seno di ciò che per origine
le appartiene: l’amore.
Rita Pacilio conosce la sua frequenza,
la sua vibrazione. Allegoricamente lo si può guardare simile a una
stringa che vibra nell’etere e incrocia, con la sua mobilità, un’elica
nucleare capace di trasmettere, generazione dopo generazione la sua
copia fedele. Trasversalmente lo si può guardare d’infilata e vederlo
apparire invece in forme separate, così come se fosse possibile separare
la poetica dal melos, dal canto. La realtà non è così. Il
canto di colui, o di colei che ama, si sviluppa con un solo corpo
creativo lirico, a tratti ossianico e nascosto, in cui la mente come
fosse una gola d’acqua tra due promontori neri, ingoia la risacca per
riprenderla bianca come spuma marina. Verso nord-ovest aumenta la
scogliera/ si arrampicano le acque/ dove si posa la clemenza/ le alghe
consegnano umori tra dita./ Convulsi baci a pieni polmoni/ all’abisso
che rimane tra i denti. E’ questa la mente notturna, la mente che
nel solco della follia poetica recupera l’imperfezione lavandola con
l’amore che, paradossalmente e contro le leggi dell’evoluzione
darwiniana non scarta, ma affina, sublima. Gli imperfetti sono gente
bizzarra/ lasciati nell’arena, non so dire esattamente,/ come un
silenzio, un ghigno./ Ho pensato che Dio ama l’insicurezza/ e le
sfumature dei dirupi. Ma per capire tutto questo è necessario
seguire delle tappe affinchè la magia dell’amore possa transustanziare
una virtù riservata agli eletti, i soli testimoni di quella pietra
scartata che diverrà la pietra angolare dei Vangeli. Ecco perché Rita
Pacilio contempla la notte ovunque nel suo percorso incrocia il
silenzio. Anzi, come nell’artificio dell’inclusione, la notte si
riassorbe in solitudine e la solitudine in sogno. L’autrice si domanda: Chissà come sogni quando tutto tace.
Tutto il proscenio allora si ambienta, abbiamo detto, entro il canto
notturno. Ma è un notturno freddo, autunnale che ha in sè l’ombra della
morte. Solo l’amore può contemplare quella oscurità. Un disegno fatto di assenze, è il progetto dove, finalmente, l’autrice riesce a configurare il senso profondo dell’amore come Phos,
luce che, a ritroso (qui è la magia), circoscrive nella consolazione il
valore del vuoto freddo e silenzioso per illuminarlo di fuoco divino.
http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-a-vetere-per-rita-pacilio-846.html