Il canto delle farfalle
Francesco Artuso
Commento di Rita Pacilio
Emergono scene in tonalità pastello, a volte turbate dall’amarezza di una penna che si abbandona all’oblio, agilmente ritmate da una rara capacità di dinamica linguistica in un lirismo strutturato tra strofe classiche e versi liberi più vicino a Montale o ai poeti del 2000. E’ Il canto delle farfalle, esordio LC di Francesco Artuso, che appare una performance che dà risalto ai valori del tempo e della memoria sensoriale. Nel moto ondulatorio delle ali troviamo l’estensione orizzontale della condizione febbrile del desiderio di conoscenza, come parte necessaria dello strumento-poesia, che si immerge nella creatura-poeta, per diventare tangibile funzionamento comunicativo. La discesa in verticale nel tempo permette al lettore la visione di ciò che per l’Autore è contatto fisico/creativo del processo difficile e misterioso che è l’esperienza complessa e terribile dell’incontro con l’io-muto interiore.
Non si tratta di una poesia intellettuale perché non è solo la ragione che muove il linguaggio o l’espressione che trovo, in questo lavoro ben riuscito e che mi riporta a il ‘Colloquio con il cielo’ di Sylvia Platb, ben ritmata e densa di armonici stemperati ad arte. Molte immagini, mormorii, al di là del significato semantico delle parole, legate al dolore esistenziale, si trasformano in canti espressi in speranze destinate ad ammutolire i destinatari per restituire forza ed incitare a procedere oltre: abbandono le cicatrici/al sale, poesia come sublimazione della sofferenza (Katarina Frostenson).
Il punto di vista è sicuramente antropocentrico, le cose si trovano in spazi aperti: il nostro mondo interiore si scompagina ed esce fuori all’istante, diventa macro e diviene multi-esperienza diluendosi nel mondo in micro particelle. Solo il poeta sa che da quelle parti una voce risponde: scomporre gli attimi/…per scrutare ogni nuova trasparenza/….lo svuotarsi dell’anima/….il distacco da un sorriso/…sospendo il vuoto/….dove sgretola l’intonaco del tempo….
Francesco Artuso rispetta le leggi metafisiche mettendo a dura prova il lettore che deve accettare che, tutto il tempo precedentemente trascorso, venga convogliato verso il ‘qui’ inteso come una nuova apertura, uno spalancamento o, se vogliamo, un misterioso ‘abisso’ in cui sottendere il canto verticale come lampo o dogma della dura e meravigliosa realtà poetica.
Rita Pacilio
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