Recensione - Augusto Benemeglio per 'L'amore casomai', racconti di Rita Pacilio - LVF, 2018



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UNA TRASCENDENZA MANCATA
LA PAROLA
Rita Pacilio mi inviato il dono di un suo libro, “L’amore casomai” – ed. La vita felice Milano, 2018. Come indicazione , sotto il titolo, c’è scritto “Racconti”, ma in realtà è un prosimetro, in cui la poesia e la prosa si intersecano, si incontrano e si scontrano, si confondono,  un po’ come accade nei sogni. Ogni parola – scrive Margherite Doubois – è un racconto. Ogni parola una poesia.
Devi sapere il mio segreto.
Porto nella pancia la pietra del mondo. (pag.74)
Ogni parola, potremmo dire, insieme a Victor Hugo –  è un essere vivente più potente di colui (o colei) che la usa. Ogni parola scaturisce dall’oscurità. “Lettura, quella della Pacilio  – scrive Luigi D’Alessio – che ti sbalestra tra un fosso e un dosso”
“Lì la casa era fatta di alberi infilati nel soffitto. Su ogni tronco impiccati pensieri compresi”.(pag.7)
Ogni parola  crea il senso che vuole,  essa stessa è quello – e anche di più – va oltre il pensare , il vedere, il sentire: è colore, notte, gioia, sogno, rabbia,  violenza, solitudine, infinità, vento.
“…bisogna scuotere il vento, diventare tempesta” (pag.7)
Ogni parola è amore, o, meglio, sesso,  talora sfrenato, “corpi alla ricerca dell’anima”:
“La carezza occupò la schiena, salì con la voce fino al mattino nel bidè. Mitezza trasformata in uragano. La prese fiancheggiando il lato del letto, sponda di uno schermo in cui finì arrotolata…La poesia a contatto di gomito” (pag.7)
LA SANTITA’ NELLE RUGHE
Ci sono parecchi richiami letterari, uno citato da lei stessa:  Novalis,  Barthes, Lacan, forse Mallarmè, ma soprattutto, a mio avviso,  Rimbaud , a cui bisogna fare riferimento se si vorrà comprendere l’idea della forza d’iniziativa del linguaggio. Ma altrettanto importante è la teoria del grottesco di Diderot, che è espressione che discende dalla pittura e stava a indicare l’intreccio ornamentale di un quadro:
“Fece arrivare la cena in sacchetti di plastica. E rose rosse al centro del tavolino. La lingua caduta sulla lingua era il battesimo. L’unione a sigillare la storia. La mezza luna attenuò il disarmo. L’urlo trasformò il viso dopo lo schianto. Dentro.
In quel momento lo chiamò  amore” (pag.8)
Al grottesco appartengono – diceva Schlegel – una parte della teoria drammatica , ma anche l’ironia, il caos, l’agilità eterna, la frammentarietà, la buffoneria trascendente.
“La santità  nelle rughe macchiate…Portava o’ muccaturo sulla testa. La sottomissione all’ordine delle cose. Coprire il capo ai riccioli indomati. 
Vaje cu ‘a Maronna.
Il bacio dell’addio. L’accompagnamento. Ti lascio nelle braccia della madre” (pag.9)
UNO SGUARDO TI SPIA
La scienza del dolore e dell’angoscia innalzata a meta dell’arte, che interpreta la scissione spirituale , la coscienza della decadenza, il distruttivo o l’autodistruttivo, il morboso, un misto di cinismo e di  dolore, la banalità del male , che diventa lamento, sui pericoli della tecnica e del kitsch che minacciano l’anima stessa della poesia. Poi il concetto del nulla di leopardiana memoria che viene rielaborato da Mallarmè e Rimbaud e comincia ad assumere la sua importanza. “Temi nel cieco muro . Uno sguardo ti spia”, scriveva de Nerval.
Mezza finestra aperta. Combattere con il fato la fine di Tebe. Farsi riconoscere . Sanguinare questo dolore e placarsi. Celare , per un senso di vergogna o protezione, la mano stanca e fumare dieci sigarette in un’ora. Fumare e basta. (pag.12)
L’immagine dell’incompiuto, dell’incompleto, del disarmonico. Ma l’incompletezza è il mezzo più adatto per essere armonico, diceva Rimbaud. Il grottesco deve liberarci dal peso della bellezza con la stridula sua voce e mettere da parte la monotonia.
Diventare sottili nel filo di saliva. Distendersi nel tempo arrotolato della pellicola. Respirare in modo spudorato nell’auricolare. Un film già visto.Anticipano i preparativi con un sms… sbottonare i pantaloni. Tirare giù le mutande. Invocare l’apertura per l’estensione umida e grossa. 
Il nome. La parolaccia.  (pag.13)
LA SOLITUDINE 
Dissoluzione. Prostituzione. Concetti che significano abbondanza di sè stessi, illecito trascurare il destino spirituale, fuga dalla parte avversa, tradimento, diserzione, sono tutti i segni della nostra civiltà, i pericoli di fronte ai quali occorre premunirsi. La solitudine è una necessità per tutti gli scriba.
era un uomo solo. Disperato
A metà,  senza volto.
nonvogliopiùsentirmichiamarepiù (pag. 24)
Alla vena giugulare hai tolto le parole/una ad una le hai recise dall’aggettivo/forme di pudore che avevi previsto anni fa/quando impiccai al solaio lo sdegno/la totalità dei pensieri...((pag.25)
I poeti hanno sempre saputo che il dolore si scioglie nel canto, fin da  Omero. E’ la coscienza della catarsi della sofferenza mediante la sua trasformazione in una parola di forma elevata.
Non sapeva dare un nome all’amore (pag.27)
Parlava con le poesie sui muri. 
Qualcuno si accorge della solitudine?
Raccoglieva le margherite lungo i marciapiedi. La gioia fragilissima di un tempo nuovo. Un tempo in cui il coraggio è in equilibrio funambolo  dello spazio largo. Un suono…
E la mente è fatta di rombi su rombi. Ci sono geometrie che non si possono dire…(pag. 17)
IL GRANDE TUTTO
Scomponendo i fenomeni in frammenti, esso esprime il grande “Tutto”, che è da noi afferrabile esclusivamente come frammento. Giacchè il tutto non concorda con l’uomo. Ma quale Tutto? Non c’è una risposta, o è confusa. Alla fine è solo una vuota trascendenza.
Nessuno può dire  cosa ho intorno all’anima …
improvvisamente invecchiò di cent’anni. (pag.20) 
Venerare le difficoltà emotive, essere sacerdotessa. Inginocchiarsi al piacere (pag.18)
Spegnere la luce per la preghiera. (pag.19) 
Il grottesco rispecchia la dissonanza tra gli stati animale e quelli superiore dell’uomo. Diventa smorfia , eccitazione provocata e stimolo costante di una inquietudine a cui l’anima moderna aspira più che alla distensione. Le stimmate di Baudelaire , i componimenti arlecchineschi di Verlaine, la poesia ghignante di Corbiere, l’umore nero di Lautremont , precursore dei surrealisti, tutto serve a quell’oscuro fine di indicare una trascendenza in dissonanze e frammenti , una trascendenza la cui armonia e interezza nessuno può afferrare, una trascendenza mancata.
Guardare la luna. Seduta sul marmo del balcone. Scalza.
…Quella strana scia di un aereo  come stella in cammino. Bere birra fresca e canticchiare Moon River ./ Entrai in casa / crederla mia. Era settembre /poi una fotografia in bianco e nero/ forse il libro sulla scrivania/ chissà quale pagina appartenuta a un’altra/ Quella canzone , il vino rosso/ un tavolo per due. E io non c’ero.  (pag.76)
IL CORPO
 La parola chiave di tutta l’opera è: “corpo”, che tende (serve) al godimento, come diceva Lacan. Ma  rimane un corpo estraneo. Tutto ciò lo mette in rilievo Pasquale Rossi, nella sua post-fazione:  “Tutti i personaggi di Rita Pacilio sembrano mettere in scena continuamente  la dicotomia insanabile tra parola e corpo”.
Qui nessuno si abbraccia (pag. 23)
Si allontanò dal corpo e lo spinse verso l’uscita (pag.29)
il dolore del piacere e il piacere del dolore (pag.30) 
I piedi divennero radici. Parlavano i rami. I presagi e la clorofilla. Le spine…Tra questi alberi, sotto queste pietre nere qualcuno si è amato…(32)
E tutto ci rimanda ancora a Rimbaud, a questo bambino prodigio che in soli quattro anni sconvolse la letteratura con le sue intuizioni, le sue folgorazioni, le sue illuminazioni. La parola chiave di Rimbaud era, infatti: “esplosione”.
Qua e là si versa l’eterna ansia…
Non è possibile cucire l’amore addosso.
Quanto tempo è passato dall’amore amato. (pag.33)
La sua opera cominciò con versi legati, passò poi al verso libero, disarticolato, e di qui alle poesie in prosa, dal rimo asimmetrico. Questo spianamento delle forme avviene a favore di una lirica dinamica che si serve tanto del concreto quanto del formale – a piacere – come di un medium della sua libertà.
Farsi cristallo prezioso.Desiderio e attesa.Godere e non soffrire  con la testa ferma….Lui agile come un uccello. Lei natiche (pag.36)
Il percorso della Pacilio – fatte ovviamente le debite proporzioni – in qualche modo  rievoca  quello assetato di libertà, di fantasia, di trasgressioni , di colui che fu definito il “roveto ardente” della poesia, o “l’angelo in esilio”,  nella sua breve vita,  più volte alle  prese con la polizia per atti  di  oscenità.
S’innamorò della sua ruga , quella che porta tra gli occhi, un po’ più su del naso. Era in quel posto  che veniva bene la rabbia e il godimento…(pag.44)  
Tensioni come animali selvatici./ Aprì la lampo. Leccò. Urinò nei jeans. Prese anche il mestruo./ Sei bella, sei mia. (pag.45)
UNA TRASCENDENZA MANCATA
Anche nei personaggi del libro  di Rita Pacilio ci sono dissonanze , fratture,  intrecci talora confusi, e un’eccitazione sessuale in continua ebollizione.
Il segreto e un cappello sul collo. Erano vento. Bufera sulle lenti scure…Puttana davanti a lui e all’altro. Si udivano parole nella penombra. Vennero tra le mani sporche. Sudati.il lampione trivoltava pieghe della camicia Ti amo verbo impegnativo. (pag.38)
E’ una poesia in prosa che non produce trame. Bensì frammenti, linee spezzate, immagini sensitivamente acute ma reali. E tutto questo caos che in lei vibra vuole, anzi “deve”   farsi linguaggio
Da lì il grigio abbraccia il mondo…
Si scompare così, per solitudine/quando più nessuno ti parlerà di me ((pag.41)
Il fine ultimo è trasformare le parole  nell’unità sonora di una trascendenza, che diventa una musica strana , morbosa, erotica, lacerante, piena di cocci e vetri di bottiglia montaliani nel cuore ,  che pervade tutto: disarmonie e armonie.  Frantumare l’ordine sintattico , stendersi come pece  su contenuti erotici-drammatici,  o in periodi semplificati fino alla primitività.   Tutto trova la sua necessità nell’ esprimere situazioni “interiori”, saldare la frattura tra materia e anima, tra corpo e spiritualità, come capita ad ogni vero poeta,  quasi “condannato” a scrutare l’invisibile, a udire l’Inaudito, dire l’Indicibile , cercare di giungere nell’Ignoto.
Augusto Benemeglio
Roma, 7 dicembre 2018